Aeronautica militare italiana nella seconda guerra mondiale
- Autore: Gianni Rocca
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Rusconi Libri
- Anno di pubblicazione: 2023
L’Arma navale e quella aerea nella guerra 1940-45, l’Italia invasa dal luglio 1943, il generalissimo Cadorna, Stalin, il giovane Napoleone alla conquista dell’Italia. Sono alcune delle opere di saggistica storica realizzate da quel grande giornalista ch’è stato Gianni Rocca (Torino 1927-Roma 2006). Negli anni Ottanta, affiancò un’eccellente attività storiografica a quella magistrale nella carta stampata.
Prima della riedizione del volume Fucilate gli Ammiragli, titolo di Rusconi Libri La Marina Militare italiana nella seconda guerra mondiale (2023), la casa editrice di Sant’Arcangelo di Romagna ha pubblicato alla fine del 2022 Aeronautica Militare italiana nella seconda guerra mondiale (collana Storica, 324 pagine), un saggio apparso inizialmente nel 1991, per un altro editore e allora intitolato: I disperati. La tragedia dell’Aeronautica italiana nella seconda guerra mondiale.
Gianni Rocca è scomparso nel febbraio 2006, a 78 anni, dopo una lunga malattia. Mossi i primi passi da giornalista nella città natale, era stato all’Unità, poi caposervizio agli esteri a Paese sera, caporedattore al Giorno. Con Eugenio Scalfari aveva fondato Repubblica, di cui è stato caporedattore, vicedirettore e condirettore, fino al 1996, tornando all’Unità come editorialista. Partigiano da giovanissimo, era stato iscritto al Pci, abbandonato dopo i fatti d’Ungheria.
Amava la politica, lo sport (calcio e ciclismo) ed era anche uno storico, autore di biografie e saggi, come questo, in cui volle raccontare quelle che riteneva le pagine tragiche scritte da un’intera generazione di aviatori costretti dal regime a morire nei cieli dell’Africa, d’Europa, del Mediterraneo. Nessuna guerra è mai stata bella, premetteva al suo lavoro trentadue anni fa, tanto meno per quei piloti e avieri mandati a volare dal 1940 al 1943 su aerei sorpassati, in condizioni di costante inferiorità tecnica, organizzativa, qualitativa e quantitativa.
Un’insufficienza, rispetto allo scopo, evidente già prima dell’inizio della guerra, figurarsi se poteva mai essere colmata durante il conflitto, considerato il potenziale industriale tanto modesto, con le aziende strategiche sotto i bombardamenti alleati e nella mancanza di materie prime aggravata da anni di autarchia.
Nell’agosto 1939, Mussolini fu costretto a comunicare a Hitler che l’Italia non sarebbe entrata nel conflitto imminente, a meno che la Germania non avesse fornito subito i mezzi bellici per sostenere l’urto che i franco-inglesi avrebbero diretto prevalentemente contro di noi. Il 26 mattina, a Palazzo Venezia, i capi di Stato Maggiore chiarirono la condizione deficitaria in cui versavano le tre Armi. Desolante l’elenco dei fabbisogni proposto da Giuseppe Valle, che dal 1933 guidava la Regia Aviazione: le scorte di carburante non superavano i quaranta giorni; mancavano aerei nuovi e competitivi, ancora in costruzione perchè l’ammodernamento era stato compromesso dalle campagne di guerra in Etiopia e in Spagna; l’industria era impegnata dalle commesse con Francia e Inghilterra, incentivate per incamerare valuta pregiata. Per Valle, occorrevano almeno due anni per completare i programmi ed essere in grado di fronteggiare un grande conflitto.
Dopo diciassette anni di propaganda ed enormi spese militari, Mussolini prese atto che anche la “fascistissima” delle Armi, quella dei primati, dei raid e delle trasvolate invidiate da tutto il mondo, lo costringeva alla neutralità, per lui umiliante, sia pure camuffata dall’artificio dialettico della non belligeranza.
“Un’aquila senza ali”, osservava efficacemente Gianni Rocca. Un abisso separava la forza aerea italiana da quelle dei maggiori Stati europei e il suo potenziale diventava ridicolo allargando il confronto alle potenze mondiali: Usa, Urss, Giappone.
Si pensi che la Regia Aviazione progettò un bombardiere strategico quadrimotore solo di poco inferiore ai Lancaster britannici e alle fortezze volanti B17 americane, fatto sta che del Piaggio P.108 la debole industria nazionale riuscì a costruire non più di 24 esemplari, mentre in Gran Bretagna completarono 7.377 Avro Lancaster e negli USA ben 12.731 Flying Fortress.
Numeri da capogiro in confronto all’Italietta e si trattava di un solo esemplare appena, nel contesto di flotte aeree che contavano decine e decine di modelli, tutti prodotti in grandi quantità.
Quello che non faceva difetto era il coraggio di equipaggi e personale, che sconfinava nell’abnegazione. Il lavoro di Rocca è dedicato al loro sacrificio e copre l’intera storia dell’Aeronautica italiana, prima e durante la seconda guerra.
Fin dall’inizio, i nostri piloti supplirono alle manchevolezze con la forza d’animo. Nascosto in una profonda tomba romana in Libia, a Cirene, ben lontano dal fronte, il maresciallo Graziani lamentava le condizioni in cui operavano i reparti di terra e di cielo.
Sorprende come tutti i capi militari scoprissero sempre con meraviglia l’inefficienza di un apparato bellico da loro stessi creato.
I nostri caccia nel deserto erano ancora i biplani CR42 (contro gli Hurricane!). Con il Mediterraneo da coprire, mancavano gli aerosiluranti. Si scartò l’adattamento del CA311: nato ricognitore, dava i brividi in volo, al solo abbandonare la cloche andava in picchiata o saliva.
Venne aggiunto alla lista degli aerei da demolire, come il BA 88, bimotore d’assalto, radiato dopo la prima esperienza in Libia, perchè inaffidabile anche al decollo. La rarefazione atmosferica derivata dalle alte temperature desertiche impediva ai deboli motori di raggiungere la potenza necessaria.
Ci si aspettava qualche risultato dai bimotori da picchiata SM85, ma prevalse la considerazione che le perdite sarebbero state altissime, per gli avvitamenti in fase di “tuffo” e per il tempo lunghissimo di richiamata.
Finirono in demolizione, mentre le linee di produzione ne stavano approntando un’altra sessantina...
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