Alfredo Baldi, nato a Roma dove vive, ha lavorato tra il 1968 e il 2007 al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove ha diretto la Scuola Nazionale di Cinema, quindi la Cineteca Nazionale. È stato docente di Linguaggio cinematografico all’Università La Sapienza di Roma. Studioso di storia e di tecnica del cinema è autore e curatore di numerose pubblicazioni e di un centinaio di saggi, in particolare sul cinema italiano degli anni ’30 e ’40, sulla censura cinematografica in Italia e sulla storia del Centro Sperimentale.
Nel 2013 ha pubblicato con la casa editrice ETS di Pisa Le nove vite di Valentina Cortese, con l’affettuosa partecipazione di Valentina Cortese, interessante e documentato saggio biografico sulla vita di una delle più grandi attrici italiane dallo “straordinario talento”.
- Professor Baldi, in quale occasione ha conosciuto Valentina Cortese?
Ho conosciuto Valentina Cortese diciotto anni fa a una cena a casa di Franco Zeffirelli, nella sua bellissima casa sull’Appia Antica, alla quale ero andato perché mia moglie Milena Vukotic è molto amica sia di Zeffirelli e sia di Valentina (li conosce da quarant’anni). Valentina era l’ospite d’onore di quella cena.
- Nel corso degli anni ha intervistato parecchie volte la diva. Per quale motivo ricorda “con particolare vivezza i racconti che Valentina mi ha fatto nella sua casa in montagna un’estate di tanti anni fa”?
Prima di tutto perché era un’ambientazione eccezionale, in montagna a 1200 metri d’altezza. Inoltre eravamo all’aperto in una bellissima giornata d’agosto sotto una bella tenda bianca che ci riparava dal sole seduti tutti intorno a un tavolo a mangiare. Intorno c’erano queste montagne dolomitiche straordinarie, eravamo a San Virgilio di Marebbe, un cielo non azzurro ma blu, i prati verdi, gli abeti color smeraldo scuro e Valentina in costume tirolese che faceva da anfitrione a tavola raccontando tantissimi episodi della sua vita personale e professionale. Io con un registratore mezzo nascosto rubavo tutti i suoi discorsi. Un’occasione straordinaria che non posso assolutamente dimenticare.
- Rievocare le vicende private e pubbliche di un celebre personaggio come la Cortese corrisponde, secondo Lei, a raccontare un lungo periodo della vita culturale e artistica del nostro Paese?
Sicuramente. Ripercorrere la vita di Valentina Cortese equivale al racconto di almeno mezzo secolo della vita culturale e artistica non solo italiana, perché l’attrice ha conosciuto personaggi importanti in tutti i campi della cultura, a cominciare dalla musica. Il primo amore di Valentina Cortese è stato il direttore d’orchestra Victor De Sabata che a detta di molti è stato tra i migliori direttori d’orchestra italiani e non solo, del Novecento. Un altro grande amore di Valentina è stato Giorgio Strehler, senza dubbio uno dei maggiori registri teatrali italiani del secolo passato. Al cinema l’attrice ha lavorato con registi quali Visconti, Antonioni, Zeffirelli, personaggi al culmine dell’arte e della cultura.
- Ha scritto che Giorgio Strehler ha “valorizzato appieno le qualità drammatiche di attrice di Valentina”. Desidera approfondire il Suo pensiero?
Il metodo di lavoro di Strehler era quello di riuscire a tirare fuori dall’attore tutto quello che l’attore aveva dentro e che non sapeva di possedere. Strehler a volte lavorava per un’intera seduta di prove su una sola battuta, finché l’intonazione dell’attore non era esattamente quella da lui voluta. Il regista è riuscito così a valorizzare le notevoli potenzialità interpretative di Valentina.
- Ci sono un film e un’interpretazione teatrale dell’attrice che predilige?
Per quanto riguarda le interpretazioni teatrali ho visto quasi nulla dell’attrice, perché Valentina recitava soprattutto a Milano ed io vivevo a Roma. Ho visto una registrazione televisiva della commedia Il giardino dei ciliegi sua bellissima interpretazione. Riguardo al cinema, memorabili le interpretazioni per esempio di Effetto notte (1973) regia di Francois Truffaut che è valsa a Valentina una nomination all’Oscar come miglior attrice non protagonista, oppure Le amiche (1955) di Michelangelo Antonioni per la quale l’attrice ha ricevuto il Nastro d’Argento per la migliore attrice non protagonista. Io però vado controcorrente e scelgo istintivamente il film Roma città libera (La notte porta consiglio) di Marcello Pagliero del 1946. Un’interpretazione di Valentina molto semplice, spontanea e anticonformista.
- A chi accusa il cinema italiano di essere “provinciale, autoreferenziale”, com’è recentemente accaduto alla 67esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, che cosa si sente di replicare?
Molte volte è stato così soprattutto in passato ma lo è ancora oggi, perché il cinema italiano è ancora fondamentalmente un cinema d’autore, cioè il regista è anche soggettista, sceneggiatore e a volte anche montatore, quindi è un cinema autoreferenziale. Gli autori fanno riferimento a se stessi e alle proprie esperienze. Però ci sono delle eccezioni, penso a film di Gianni Amelio La stella che non c’è (2006) ambientato in Cina, recentemente La migliore offerta di Giuseppe Tornatore ambientato in una località imprecisata con attori internazionali e con una trama non provinciale. Educazione siberiana di Gabriele Salvatores e Paolo Sorrentino con This Must be the Place con Sean Penn, ce ne sono tanti in questo periodo tra i maggiori che fanno un cinema non provinciale o non autoreferenziale. Venticinque anni fa la pellicola Compagni di scuola (1988) di Carlo Verdone con un’ambientazione italianissima anzi romana è stata paragonata a Il grande freddo (1983) di Lawrence Kasdan.
- È tornato nelle sale per tre giorni in versione restaurata Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), diretto da Elio Petri e interpretato da Gian Maria Volonté e Florinda Bolkan. È stato girato in questi ultimi anni un film di denuncia che può essere paragonato a questa pellicola che allora scatenò un violento dibattito politico?
Sicuramente Gomorra di Matteo Garrone (2008) è stato un film che ha suscitato non solo scalpore ma un dibattito e delle controversie sicuramente paragonabili a quelle del film di Petri. In misura minore ciò è accaduto nello stesso anno con Il divo di Paolo Sorrentino sulla vita di Giulio Andreotti. Penso ad autori meno noti che hanno fatto film di denuncia come Giuseppe Ferrara: Segreto di stato (1995), una specie di docu-fiction sulle stragi italiane, o I banchieri di Dio – Il caso Calvi (2002), che già nel titolo spiega di che cosa si tratti.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Alfredo Baldi
Lascia il tuo commento