Allenatori
- Autore: Paolo Negri
- Genere: Sport
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
Gli allenatori contano nel calcio? In caso affermativo: quanto contano? La risposta, stiano certi i fan dello sport nazionale, è nero su bianco in calce al volume “Allenatori”, appunto, pubblicato dall’Editoriale Sometti di Mantova ad agosto 2017 (pp. 136, euro 10,00). Autore è il settantaduenne Paolo Negri, un semplice appassionato del pallone, nessun passato di spicco nel mondo del football, al di là di qualche cimento come trainer delle giovanili, di cui dà conto in un capitolo speciale in coda al testo.
Oltre alle sue considerazioni, di un “tifoso qualunque” quale si considera, ci sono ventisei profili di mister della grande serie, in ordine alfabetico, da Massimiliano Allegri a Zdenek Zeman. Quindici gli italiani. Gli stranieri che non hanno mai allenato in Italia risultano solo sir Alex Ferguson e Arsene Wenger, considerato che Pep Guardiola ha se non altro un trascorso di calciatore nel Brescia e per breve tempo nella Roma.
Ritratti biografici, palmares, ma anche qualche accenno a pregi e difetti dei singoli, secondo il punto di vista strettamente personale dell’autore e con maggiore ampiezza di informazioni e dettagli nei riguardi di una delle due squadre di Milano, di cui Paolo è un irriducibile tifoso. Non riveleremo quale, per non scatenare un derby tra i lettori, ma va detto che Paolo Negri confessa lealmente la sua fede calcistica nella presentazione.
Quanto ai ventisei re delle panchine, il presupposto iniziale è che ci possono essere degli allenatori che fanno la differenza in meglio, ma altri non la fanno affatto, nel senso che con loro o senza di loro la classifica della formazione non cambierebbe, ed altri che la fanno addirittura in peggio. Insomma, esistono i bravi, i mediocri e gli scarsi, come in tutte le attività della vita.
Qualcuno ne esce esaltato, come Ottavio Bianchi, scudettato col Napoli di Maradona, ma non amato dal team azzurro. Per Paolo Negri era un ottimo tecnico e un grande motivatore.
Qualcuno è stroncato, come Sven Goran Eriksson,
“uno che non era buono a vincere niente”
e che ha strappato un tricolore, con la Lazio, nel 1999-2000, per lo strappo sfrontato delle regole da parte dell’arbitro Collina. Era stato costretto a sospendere una partita, in un campo reso impraticabile da un acquazzone torrenziale, ma la fece riprendere ben oltre i sessanta minuti di interruzione dopo i quali da regolamento avrebbe dovuto decretare il rinvio dell’incontro. Per la cronaca, l’acquitrino era il prato dello stadio “Renato Curi” di Perugia e l’incontro vide soccombere la Juventus, scavalcata all’ultimo minuto dalla squadra capitolina. A furor di popolo, ma con fiero sprezzo delle regole.
Non ne esce bene nemmeno il grande Arrigo Sacchi (la sua carriera nel difficile mondo del calcio è stata molto breve, dopotutto), nonostante la sua firma nel primo Milan stellare del presidente Silvio Berlusconi, allora rampante imprenditore.
Un allenatore fortunato il “maestro dei maestri” di Fusignano. La fortuna è stata quella di incrociare sulla sua strada un gruppo eccezionale di giocatori, molti cresciuti nel vivaio rossonero e alcuni presi dopo, che avevano imparato dal vero “maestro dei maestri”, Nils Liedholm. Per non dire del trio olandese: Rijkaard, Van Basten, Gullit, oro colato per ogni trainer.
Alla fine, gli allenatori contano o non contano? La risposta di Paolo Negri è “Ni”, ma nemmeno questa è da prendere come un dogma: non gli garbano “i depositari della verità, quelli che solo loro capiscono di calcio e che hanno sempre delle certezze”. Anzi, si vergognerebbe “molto” d’essere scambiato per uno di loro.
Paolo Negri è uno come tanti, ha una certa età, segue il calcio dagli anni Cinquanta e non nasconde la nostalgia per “la vecchia cara” numerazione da 1 a 11, per i calzoncini a mezza coscia al posto dei “mutandoni della nonna”, introdotti su importazione dal basket americano.
Un’altra moda che non gli va è il ritiro del numero di maglia per ricordare un calciatore che nel suo ruolo ha fatto la storia di una squadra. Quello, a suo avviso, è proprio il miglior modo per dimenticarlo. Per i ragazzini è un motivo di orgoglio portare sulla maglia il numero e il nome del calciatore che vogliono emulare.
Un altro esempio? Lo fa sempre Paolo Negri, che cita il Grande Torino, l’epico squadrone granata la cui storia si infranse contro la basilica di Superga. Nei cinque scudetti consecutivi vinti fino al 1948-49, quella grandissima formazione vide alternarsi cinque allenatori: Kuttik (sostituito da Janni), Ferrerò, Sperone e Lievesley, ma gli undici calciatori in campo rimasero pressoché gli stessi.
Insomma, il campionato lo vincono i campioni.
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