Comincia da Maria di Nazaret la storia della salvezza e al tema dell’Annunciazione Pier Paolo Pasolini si accosta nell’omonimo componimento composto nel 1943, presente nella raccolta L’usignolo della chiesa cattolica.
Dagli evangelisti – si sa – Lei è rappresentata come presenza tangibile del piano divino per l’umanità e il suo ingresso nel Nuovo Testamento avviene con la chiamata da parte di Dio attraverso l’arcangelo Gabriele. Maria accetta la proposta che il messaggero le fa, rispondendo con un “Sì”.
D’ora in poi sarà la madre di Gesù fino all’accettazione della Croce, della pena dell’“Uomo dei dolori”.
Nonostante l’adesione al marxismo, Pasolini non restringe il suo angolo visuale o il suo individuale esistere in un tempo già avviatosi alla negazione del sacro.
Con pathos e onestà intellettuale scopre un’altra storia, interrogandosi e abbandonandosi alla meditazione del grande mistero dell’incarnazione, annodandolo alla concretezza del vivere.
Tante le domande e tanti i punti di sospensione come a volere indicare l’incertezza d’ogni risposta. Ma non nascono dal bisogno di voler conoscere il “sacro mistero” i suoi versi; è piuttosto lo stupore ad accostare il poeta alla comprensione psicologica, allo stato d’animo della Donna.
“L’annunciazione” di Pier Paolo Pasolini
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Pasolini ritiene che Maria, a seguito della lieta novella, abbia mutato, non senza un turbamento, il modo di gestire la sua vita.
Gli sembra che la Vergine, sofferente, nasconda qualcosa nel suo “riso stanco” e che non ha più la bellezza e l’innocenza di un tempo: quando venivano serenamente vissute le domeniche antiche fresche di cielo insieme agli incensi e ai maggi.
L’ingresso nella maternità l’ha resa diversa, avendo dovuto lasciare la spensierata giovinezza. Su tale constatazione, condotta con toni e strutture d’una sacra rappresentazione, il poeta esprime fino in fondo il suo desiderio: che Lei possa restare fanciulla nella sua nuova severa vita; che possa mantenere l’innocenza di un tempo. Coinvolgente ci pare, proprio nel cuore d’una poetica siglata da un persistente impeto religioso, la prima parte dialogica, in cui i figli, voce plurale e universale indicante l’umanità, tra cui il poeta, così Le si rivolgono:
- I FIGLI
Madre, cos’hai
sotto il tuo occhio?
Cosa nascondi
nel riso stanco?
Domeniche antiche,
fresche di cielo,
antichi maggi
rossi negli occhi
delle tue amiche,
antichi incensi...
Ora, al tuo letto,
tremiamo per te, madre, fanciulla,
per le domeniche,
gli incensi, i maggi.
Tu eri tanto bella e innocente...
Madre... chi eri
quando eri giovane?
E Lui, chi era?
Madre, che muoia...
Ah, sia fanciulla
sempre la vita
nella severa
tua vita fanciulla…
Siamo nell’archetipo della madre-fanciulla che, contrapposta alle pulsioni sessuali e corruttrici, conserva l’assoluta purezza perduta a seguito del rapporto con l’amante al quale viene desiderata perfino la morte.
Nella seconda scena è l’angelo annunciatore a parlarle. Chiedendole d’ascoltare le parole dei figli, la chiama col vezzeggiativo “lodoletta” a indicare la Sua voce melodiosa che si effonde in un’alba di interminabile amore.
- L’ANGELO
Non senti i figli?
O lodoletta canta in un’alba di eterno amore… La lirica termina con le parole enigmatiche ancorché rassicuranti di Maria. L’ innocenza rimarrà, Lei dice, risolvendo in modo salvifico il dissidio tra peccato e candore. E aggiunge che sarà vergine per i figli vergini.
- MARIA:
Angelo, il grembo
sarà candore.
Pei figli vergini
io sarò vergine.
A chiarificare l’epilogo è il bel commento di Ferdinando Castelli:
Ai suoi figli – anche a quelli curvi sotto il fardello della miseria umana – la “Madre” si presenta sempre nella sua bellezza e innocenza di fanciulla. Alla richiesta dell’Angelo di ascoltare la voce dei figli, le risponde che pei figli vergini lei sarà “vergine”.
L’espressione è ambigua, ma il senso di candore e d’innocenza, diffuso dalla Madre, illumina gli sfondi (tratto da F. Castelli, I così detti “poeti maledetti” invocano Maria, in “La Civiltà cattolica”, maggio 1999).
La poetica mariana di Pasolini
Pare opportuno dire che la poetica mariana di Pasolini si conclude con Litania: un poemetto di sette segmenti; ciascuno ha un titolo che, desunto dalle note Litanie Lauretane (risalenti al XIV secolo e diventate famose per l’uso che se ne fece nella Santa Casa di Loreto a partire dalla prima metà del secolo XVI), viene illustrato in due strofe di quattro versi.
Il primo, a mo’ di esempio, si intitola Janua coeli, dove l’essenzialità scenica si armonizza con lo stato d’animo del poeta, reso oscuro dalla metafora della pioggia serale nel cielo di nuvole.
La porta celeste però si apre quando la Vergine, simbolizzata da un raggio di sole, appare in tutta la sua luminosa trasparenza (indicata dall’aggettivo “nuda” per nulla dissacrante) per specchiare nell’umidità lasciata dalla pioggia il suo viso azzurro.
La porta s’apre / quando la pioggia / marcisce la sera. // Allora un raggio / rompe dai nuvoli. // Tu nuda, o Vergine, / specchi nell’umido / il viso azzurro.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “L’Annunciazione” e le altre meditazioni religiose di Pier Paolo Pasolini
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