Rifiutato ed esecrato dai suoi contemporanei, Friedrich Nietzsche (1844-1900) si presenta nella storia del pensiero filosofico come un unicum concettuale e come un fenomeno singolare che, con le sue teorie, costituì uno spartiacque tra i ventitre secoli precedenti e il Novecento e segnò un punto di non ritorno della riflessione filosofica occidentale.
Sebbene fossero già maturati consistenti tentativi – quelli di Schopenhauer e Kierkegaard – di distruzione del pensiero sistematico, il cui massimo apice è raggiunto nelle filosofie di Kant e, soprattutto, di Hegel, la filosofia di Nietzsche si pone sia come la prima, compiuta, decostruzione dei valori dell’occidente cristiano, sia come esperimento archeologico attraverso il quale emergono i veri moventi che hanno animato la filosofia e la religione, dall’Ebraismo e da Socrate fino al momento in cui Nietzsche scrive.
Le critiche che Nietzsche mosse alla filosofia sistematica, fin dalla Nascita della Tragedia dallo spirito della musica (1872) - il suo primo testo propriamente, anche se non dichiaratamente, filosofico - non vennero immediatamente comprese per vari ordini di ragioni. Si trattava del tentativo di un outsider: non un filosofo ma un filologo di professione, un giovane docente di Filologia Classica che articolava le sue riflessioni muovendo dalla tragedia greca e dalla filosofia socratica. Si trattava, inoltre, non di un teoreta puro che procedeva con speculazioni logiche ma di un critico dei valori che nascondeva i suoi filosofemi dietro la comparazione dei testi, la ricerca etimologica e la riflessione sociologica applicata all’antichità.
Apollineo e Dionisiaco
Sempre nella Nascita della Tragedia, Nietzsche individua due principi elementari, due impulsi della natura, due forze costitutive della realtà stessa, che spiegano anche il fondamento dell’arte e che si sono manifestati nella realtà storica occidentale. Da un lato viene posto l’Apollineo come impulso rappresentativo, senso della misura, del limite e della forma a cui sono associate sia la poesia e le arti plastiche, sia il sogno come forma di rappresentazione (seppur inconscia), sia i codici, le leggi e le istituzioni morali, quindi, la filosofia come coscienza razionale e scientifica, tendente a individuare, cioè categorizzare, distinguere e classificare la realtà.
Di contro trova posto il Dionisiaco, caratterizzato da un profondo legame con la terra e la fecondità, con la natura e con il mondo dei morti, con il vino e l’arte divinatoria. Il Dionisiaco è anche l’impulso non figurativo, il principio della forza istintiva e della salute, del corpo, del vigore prorompente e della passione sensuale, in definitiva, dell’ebbrezza e dell’emozione che trova la sua espressione più compiuta nella musica, nella danza e nel canto. Il Dionisiaco è anche il simbolo dell’idea nietzscheana di vita, traducibile in un pulsare di centri di forza in perenne contrasto tra loro, e della rottura delle gerarchie, del disordine che annulla il principio razionale di determinazione e individuazione (soggettivizzazione) per ricondurre a un’universale armonia.
Il Tragico
Entrambi i principi sono alla base della realtà e, quindi, anche dell’arte e per un certo periodo della storia greca, convivono in un equilibrio esemplificato dalla tragedia di Eschilo e Sofocle: in questa fase della civiltà greca presocratica esplode un vigoroso senso tragico della vita, che è accettazione ebbra della vita, coraggio dinanzi al fato ed esaltazione dei valori vitali; l’arte tragica è un coraggioso e sublime dir di sì alla vita. Ciò fino ad Euripide e, ancor più a Socrate, che segna il prevalere dell’Apollineo sul Dionisiaco, la negazione di ogni impulso in favore del rigido controllo razionale. Con Socrate inizia la storia della civiltà e del pensiero occidentali, quel pensiero che negherà la realtà contingente delle cose per affermare, come unica realtà propriamente reale, quella trascendente, non l’ambito fenomenico e rappresentativo del molteplice ma l’ente metafisico, l’uno originario.
Dal punto di vista propriamente teoretico, la rivoluzione nietzscheana - presente in nuce già nella Nascita della Tragedia ma compiutamente tematizzato in Così parlo Zarathustra e, ancor più, nei Frammenti Postumi – consiste nella negazione di questa contrapposizione, propria di tutta la filosofia precedente, tra mondo apparente e mondo vero, tra mondo dei fenomeni mutevoli e mondo delle idee e nella conseguente affermazione che la vera e unica dimensione della vita è quella dell’apparenza, quel viluppo di impulsi e desideri in perenne lotta tra loro che è il mondo delle rappresentazioni nel suo costante divenire.
Il senso tragico della vita è proprio l’accettazione di questa verità, in altre parole, l’accettazione che l’unica vera realtà è quella del divenire, che l’unico vero essere è il divenire stesso e che tale divenire non va negato e superato in una superiore trascendenza ma accettato, goduto e potenziato in quella condizione che nelle ultime opere di Nietzsche prenderà il nome di amor fati.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Apollineo, Dionisiaco e Tragico: Nietzsche e i concetti chiave della sua filosofia
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