“La memoria di un luogo è ben oltre la nuda fisicità delle sue testimonianze fisiche, architettoniche o storico-artistiche”.
Sono queste le parole con cui il saggista Luca Nannipieri firma il suo pamphlet contro la distruzione islamica del patrimonio storico-artistico. Una lectio edita per Rubbettino che già dal titolo Arte e terrorismo denuncia il suo obiettivo: riflettere su ciò che il mondo è costretto a subire per mano della follia dei terroristi islamici.
L’elenco delle distruzioni è assai lungo, non vengono risparmiate neanche le millenarie chiese di Tikrit o le mosche di Mosul, le biblioteche di Tripoli o i sepolcreti di Gurgi e della Karamanli. Nannipieri si scaglia duramente contro l’indifferenza dell’Occidente, contro l’immobilismo a cui sembriamo eternamente condannati, forse perché il nemico non è ancora abbastanza vicino a noi, o forse semplicemente perché ci ostiniamo a restare pigramente seduti tra le mura di casa, indignati sì, ma fermi, quieti.
All’apparente menefreghismo made in Italy, Luca Nannipieri oppone un solido ed efficace contributo, volto alla mobilitazione di squadre di specialisti pronti a scendere, accanto ai militari, sul campo di battaglia per documentare distruzioni e saccheggi: il materiale raccolto andrebbe poi spedito a un’istituzione competente che sia in grado di vagliarlo e di rielaborarlo, analizzando cosa è andato distrutto e cosa è ancora possibile salvare.
Soluzioni fattibili, applicabili nel momento in cui si prende davvero atto dell’orrore a cui assistiamo ormai quotidianamente.
In questa intervista Luca Nannipieri, firma culturale di Panorama e de Il Giornale, ci spiega quanto sia importante l’Arte per la storia di ogni individuo e cosa è necessario fare per difenderci dalla barbarie terroristica.
- Arte e terrorismo è certamente un pamphlet molto diretto e molto duro, che
inveisce, in primis, contro l’indifferenza del mondo Occidentale nei riguardi di quella che si sta dimostrando una delle più catastrofiche azioni di distruzione del patrimonio storico e artistico da parte dei terroristi islamici. Perché, secondo te, siamo costretti a parlare di indifferenza? Perché non siamo ancora stati in grado di attuare soluzioni come quelle che proponi tu all’interno del testo – ossia coinvolgere i nostri specialisti nella conservazione del patrimonio culturale, mettendoli al seguito dei contingenti militari? Crediamo, forse, che la minaccia sia ancora lontana da noi? Non abbiamo abbastanza paura del nostro “prossimo”, per usare le tue parole?
L’indifferenza è la più comoda delle posizioni, che fa da sorella allo sdegno, all’indignazione, anch’essi sentimenti comodi, perché innocui. Cosa significa indignarsi? Significa stare fermi, sdegnarsi è il verbo della passività. L’indignazione non agisce come motivazione, si ferma alla condanna, alla condanna impotente. L’indignazione è la condanna dell’impotente, dello sterilizzato. Finora non ci muoviamo perché, appunto, abbiamo delegato la politica internazionale attorno al patrimonio storico-artistico mondiale all’Unesco, che è l’organizzazione per antonomasia della non-volontà, della non-potenza. Si muove ancora stilando convenzioni che rimangono lettera morta, come se scrivere "bisogna che tutti gli Stati firmatari proteggano il patrimonio culturale" significhi di fatto che Vladimir Putin o Bashar Assad o Al Sisi, se hanno deciso di bombardare un popolo o un esercito o una nazione, stiano attenti a non toccare gli affreschi o i tappeti antichi perché sono protetti dall’Unesco. Banalità. E’ la Storia stessa che conferma le impotenze dell’Unesco.
- Distruggere significa estirpare la memoria, sradicare un passato che è base fondamentale dell’identità di un individuo. Distruggere vorrebbe dire azzerare l’uomo e ricondurlo ad una condizione di originaria ignoranza, sulla quale ricostruire un’identità fittizia, che possa essere facilmente influenzabile. È dunque vero che noi siamo ciò che abbiamo progettato, costruito, edificato? Cosa rappresenta l’Arte per l’individuo, e perché ci turbano così tanto le immagini di distruzioni e saccheggiamenti? Quale punto della nostra sensibilità identitaria viene scalfito?
Basta leggere Eric J. Hobsbawm per capire che le tradizioni che ci sembrano o si pretendono antiche hanno spesso un’origine piuttosto recente e, talvolta, sono inventate di sana pianta. Ad esempio il paesaggio di piccoli borghi, castelli, dimore antiche che viene venduto come l’essenza più autentica e identitaria dell’Italia, è in verità il tentativo di attribuire a qualche aspetto storico o a qualche aspetto della vita sociale «una struttura immobile e immutabile», come se ciò che è stato per secoli debba proseguire ad esserlo per altrettanti, in virtù dell’evidenza stessa del passato che si vuole imporre come doverosamente immutabile. Detto questo, cioè preso atto che le tradizioni sono sempre in riscrittura, e che non esiste il passato, ma variazioni costanti nelle interpretazioni del passato, il patrimonio storico-artistico ha una fecondità di senso, di significati, di memoria, di potere, che non può essere gettato nella spazzatura come una lattina di Coca-Cola. Ciascuno potrà avere le considerazioni che crede sulla mafia o sulla sua storicizzazione, ma il Memoriale di Giovanni Falcone a Capaci deve essere preservato, conosciuto, tramandato. Quanto all’arte, il grande poeta Rainer Maria Rilke scriveva che il bello (e per bello non intendiamo le forme graziose, ma l’inquietudine artistica) è l’inizio del terribile:
“[...] il bello è solo / l’inizio del tremendo, che sopportiamo appena, / e il bello lo ammiriamo così perché incurante / disdegna di distruggerci”.
A nessuno di noi verrebbe in mente questa definizione di bellezza come inizio del tremendo. Cos’è il tremendo, il terribile? Ciò che scuote nel profondo, ciò che è massimamente inquietante. Ci cattura l’arte, perché ci scuote nel profondo.
- Nella tua lectio poni il lettore di fronte ad una riflessione specifica, dicendo: “Una cosa è certa: noi non sgozziamo, non tagliamo la testa di un prigioniero (…). Gli omosessuali non li buttiamo di sotto dai palazzi; (…) non uccidiamo una donna se ha sedotto un uomo diverso dal suo. E se viene stuprata, non diciamo che è colpa sua, come ha detto lo sceicco Taj El-Din al-Hilaly”.
È vero, noi non siamo tutto questo, ma è anche vero che, se non li buttiamo dai palazzi, a volte gli omosessuali (o presunti tali) li pestiamo a sangue, li induciamo al suicidio con la nostra omofobia - ricordo il caso eclatante del giovane 21enne che, nel 2013, si gettò dall’undicesimo piano di un palazzo in via Casilina a Roma. Ed è anche vero che non uccidiamo una donna per essersi intrattenuta con un uomo diverso dal suo, ma è pur vero che, una buona parte di opinione pubblica, ha tuonato un secco “Se l’è cercata”, o addirittura “Bisogna vedere come stanno i fatti, qualcosa non convince”, contro la giovane donna stuprata da un militare italiano lo scorso luglio a Roma.
Come consideri episodi di questo tipo?
Il conflitto tra i due sessi non sarà mai acquietato, perché il desiderio (non solo sessuale, ma psicologico, creativo, sociale, ideologico) nasce spesso dall’esacerbazione del conflitto. Molti artisti hanno vissuto nella contraddizione, e la contraddizione è conflitto, è un confliggersi di più sensi, di più significati. Molte ideologie non sono nate per superare i conflitti ma per produrli. Detto questo, fatto salvo cioè che la conflittualità sia costituente l’essenza umana, uno stupro deve e dovrà sempre avere, nelle società mature come la nostra, una sola conseguenza giuridica: la condanna senza attenuanti dello stupratore.
- In Arte e terrorismo prendi le distanze dalle affermazioni che fa Magdi Cristiano Allam riguardo l’inesistenza di un Islam moderato. Ti chiedo, dunque, cosa pensi proprio riguardo a quell’Islam moderato che tu, invece, pensi che esista, chi è e come si pone di fronte a noi, all’Occidente?
Non esiste l’Islam, ma esistono tanti islam. E lo si vede benissimo nella nostra vita: condanniamo l’Isis quando decapita individui e abbatte siti archeologici, ma il Padiglione più ammirato e più visitato all’Expo di Milano è quello degli Emirati Arabi. Tifiamo una squadra, e se questa squadra viene comprata interamente da uno sceicco non ci poniamo problemi. Evidentemente capiamo che ci sono diverse gradazioni nel testimoniare la parola di Allah. Non sentire queste sfumature è come ridurre il Cristianesimo ad una storia di Papi corrotti e preti pedofili. Sono accomodature di convenienza, non riflessioni critiche.
- Luca, tu curi la rubrica SOS patrimonio artistico in onda al Caffè di RaiUno, rubrica che sta facendo letteralmente muovere più di 200 associazioni, comitati, fondazioni che inviano le foto dei luoghi che vorrebbero salvaguardare, o semplicemente immagini dei luoghi d’Italia più belli e più amati. Ti sei occupato anche di quella che tu chiami La bellezza inutile, per citare il titolo del tuo saggio uscito per Jaka Book nel 2011. Quanti sono, ad oggi, i luoghi in Italia che hanno un potenziale artistico elevato e che, tuttavia, vengono ignorati, se non quando addirittura deturpati, vittime dell’abbandono e dell’incuria? Perché un Paese come l’Italia, ricco di opere d’arte, di bellezze millenarie, non si preoccupa adeguatamente del mantenimento e della cura del suo patrimonio artistico e culturale, nonché storico?
Non esiste chilometro quadrato dove non si possa fermarci ed ammirare una pieve, un’abbazia, un castello, un santuario, un palazzo storico, un sito archeologico. L’altissima densità del nostro patrimonio storico-artistico non esiste a prescindere dal suo territorio. Anzi chiese, tabernacoli, piazze, saloni affrescati, rovine, non sarebbero pensabili senza il luogo in cui stanno, ma il luogo non è disabitato. E’ fatto di persone, di associazioni, di comitati, di aziende, di banche, di scuole, di università, di confraternite, di istituzioni. Ecco il patrimonio storico-artistico potrà rinascere quando si ricongiungerà il legame osmotico tra il monumento e le comunità. Quanto più sapremo coinvolgere nei musei, nelle basiliche, nelle dimore storiche, le libere determinazioni e i corpo sociali che si costruiscono tra le persone tanto più il patrimonio storico-artistico si risolleverà, ovvero rinascerà in memoria e sperimentazione. Il filosofo francese Claudel scriveva che: "dire ti amo significa dire tu non morirai". Ecco, il patrimonio è vivo soltanto nell’atto della nostra attenzione. Solo nell’atto del nostro amore, della nostra cura, una persona o un manufatto d’arte sopravvive alla sua inevitabile morte. "E morte non avrà dominio" scriveva Dylan Thomas: non siamo immortali, ma lo siamo nell’attimo della nostra cura a ciò che abbiamo di caro. Solo in queste esperienze, in questa tensione di amore e dedizione, la morte perderà il suo dominio.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Arte e terrorismo: a tu per tu con il saggista Luca Nannipieri
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