Ascetica del quotidiano
- Autore: Biagio Accardo
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2019
Siamo nel IX secolo, in Irlanda. Un monaco filosofo in sospetto di eresia, Giovanni Scoto Eriugena, mille secoli più tardi molto caro a Jorge L. Borges, dichiara che Dio ignora alcune cose e, tra le altre, Dio ignora se stesso nelle cose create. È la visione del deus absconditus dovunque, rivelato nuovamente nella profondità dell’uomo. Nessuno come Eriugena aveva portato la visione fino alle sue estreme conseguenze, fino a dichiarare l’ignoranza dell’Essere a se stesso, prefigurando la moderna concezione dell’inconscio.
La prima dichiarazione in tal senso si trova in Isaia 15, 15:
"Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio di Israele, salvatore".
La cosiddetta "teologia negativa" ne fa il cardine della sua fede.
Meditazioni di questa natura si trovano nella bella silloge di Biagio Accardo, professore e poeta, che pubblica con Samuele editore Ascetica del quotidiano (p. 70, 2019) con prefazione di Massimiliano Bardotti il quale, nella sua introduzione, richiama due versi dell’autore, molto significativi:
"Provo a scalare il mondo / per scendere a Dio".
La discesa fa subito riferimento a un abisso. E ci riporta a una famosa frase di Einstein: "Sottile è il Signore, non malizioso". Con ciò il geniale fisico intendeva chiarire che il Signore si nasconde alla nostra ragione non per farci un dispetto, ma per la sua sottigliezza, sublimità, il suo essere sub limen, sotto la soglia della nostra percezione abituale. Sarà forse per questo che nella tradizione sciamanica la conoscenza soprasensibile diventa accessibile attraverso l’uso di sostanze psicotrope che alterano lo stato di coscienza. È come dire che la conoscenza non può prescindere da un atto immaginativo. Scrive Accardo:
"Bisognerà immaginarselo/ questo Dio, bisognerà / abituarsi al suo lungo silenzio".
Dando con ciò implicitamente ragione a Borges quando afferma che la religione è parte della letteratura fantastica, e senza alcuna irriverenza, piuttosto con ammirazione.
Può la poesia, con la sua natura essenzialmente misterica, avvicinarci almeno un poco a Dio? E se sì, in che modo può compiersi l’ascesi?
Accardo lo suggerisce nel titolo: immergendosi totalmente nel qui e ora, nella quotidiana esperienza in contatto amoroso con le cose, attraverso la legge di attrazione del desiderio.
"Raccogliersi, provare / a richiamarsi; appellarsi / a tutte le lande della vita / e vedere se rispondono, se corrispondono / a essere una sola cosa con quello / che in un momento ci è chiesto di vivere. / Sono pochi gli attimi in cui possiamo / sapere veramente chi siamo".
Magnifiche parole, nelle quali la ricerca religiosa si palesa come un processo conoscitivo, anzi il processo conoscitivo per antonomasia, e un totale atto d’amore. C’è in Accardo un’accettazione totale dell’esistenza, così come ci è data, e questa devozione, bakti yoga direbbero gli orientali, porta pian piano alla rivelazione, all’illuminazione, perché l’anima si riempie del Tutto e la parte contiene il Tutto:
"La vocazione è la quotidianità / e tutta la verità sta bene dentro / una mela selvatica".
È moto estatico, estasi, uscire fuori di sé, che significa coltivare il silenzio, atteggiamento sottolineato spesso. Per accogliere tutto il bene e la sua mancanza, tutto il "male" sempre relativo, sempre correlato al suo contrario:
"Quando cammino il mondo si schiarisce / e la nube lascia il posto al sole, / ma sono grato alla nube, / perché senza l’oscuro non c’è il chiaro; / sono grato alla polvere / perché la polvere aiuta a capire / la vera vocazione del mondo; / sono grato perfino al dolore, / perché solo il dolore insegna e riparare / e a rialzare".
La vocazione è schiarire, proprio come per Montale: "Tendono alla chiarità le cose oscure".
A cosa conduce l’ascetica frequentazione del quotidiano? Il poeta lo dice in versi straordinari:
"Imparo la dura lezione / del congedo. Tutto / è sempre altrove, / mai dove ci troviamo. / L’orma è la nostra casa, / il solo nostro approdo".
Siamo segni, ricordi, impronte...
Sono versi di una trascendenza assoluta, sebbene tutta la meditazione del libro parta dall’immanenza. Intrisi di sofferta malinconia, eppure alla fine la chiusa del libro è felice, perché "la ferita si chiude e anche se viene notte / è solo un’aperta luce".
La luce, ancora, come esito ultimo. Come il girasole di Montale, appunto, che ha rischiarato i nostri giorni dall’adolescenza sui banchi di scuola.
Può la poesia avvicinarci a Dio? A farci accettare lo "svanire" (sempre Montale) e il "congedo"? Le domande si equivalgono.
Accardo risponde affermativamente.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Ascetica del quotidiano
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