Il 3 dicembre 1938 moriva Antonia Pozzi. L’assenza è una condizione che segna profondamente non solo la poesia, ma anche la breve e tormentata vita della poetessa, voce sensibile e delicata, troppo a lungo dimenticata o sottovalutata dal suo tempo, dagli amici, dagli studiosi e solo da alcuni decenni meritatamente riscoperta.
Troppo pochi i giorni di quell’esistenza pulsante e libera che scelse di darsi la morte volontariamente, a soli ventisei anni, quando la giovinezza ancora vibrava nella sua anima. Se a quella vita mancarono il tempo e le stagioni, tuttavia non mancò la vivacità intellettuale, testimoniata dai tanti interessi che catturarono la sua attenzione – dalla fotografia, all’assistenza ai poveri, fino alla montagna –, né mancò la profondità dello sguardo, capace di contemplare il silenzio, di sprofondare nella vertigine dell’interiorità, di volgersi all’infinito, così da approssimarsi all’essenza del mondo e della vita.
Altre sono le assenze che affannarono la sua figura esile e minuta: troppa poca la cura che di lei ebbe chi gli stava accanto, troppo poca l’attenzione riservata ai suoi sentimenti e ai moti della sua anima, nonostante l’ambiente colto e aristocratico nel quale trascorse l’infanzia e l’adolescenza, e affinò la sua sensibilità.
Mancò, infatti, ad Antonia Pozzi la benedizione del padre, e più in generale della famiglia, per l’amore con Antonio Maria Cervi, il suo professore di latino e greco al Liceo ginnasio Manzoni di Milano, che fu solo idealizzato, anche per la decisione di Cervi di rompere con la giovane.
L’assenza cantata in questo componimento potrebbe alludere, in prima battuta, all’insopportabile vuoto per una vita solo “sognata”, per quell’amore che permane incancellabile nella sua anima, ma, più probabilmente, anche a quella ricongiunzione mistica col divino, che aveva segnato, come un fiume carsico, tutta l’esistenza della poetessa.
In occasione dell’anniversario della morte, scopriamo, allora, insieme testo e significato della poesia Assenza di Antonia Pozzi.
Assenza di Antonia Pozzi: il testo della poesia
Il tuo volto cercai
dietro i cancelli.
Ma s’ancorava in golfo di silenzi
la casa,
s’afflosciavano le tende
tra i loggiati deserti,
morte vele.
Al largo,
a sbocchi d’irreali monti
fuggiva il lago,
onde verdi e grigie
su scale ritraendosi
di pietra.
Lenta vagò,
sotto l’assorto cielo,
la barca vasta e pallida:
vedemmo
in rosso cerchio crescere alla riva
le azalee, cespi muti.
“Assenza” di Antonia Pozzi: analisi e significato della poesia
Per comprendere compiutamente il messaggio di questo componimento, datato al 5 maggio 1935, dobbiamo tener presente che l’amore per Cervi è visto da Pozzi come viatico per giungere alla percezione del divino. La purezza di quell’amore idealizzato, il candore della tonalità del bianco, che Pozzi usa spesso nei suoi componimenti, per descrive sé stessa e i moti della sua anima, sono i tratti distintivi di una condizione che non viene mai compiutamente raggiunta e realizzata.
Soprattutto negli ultimi anni della sua vita, infatti, Antonia Pozzi si muove tra un crescente anelito all’appagamento religioso e l’attenzione per le vicende terrene, che la distolgono dalla sua ricerca spirituale. La stessa morte, per la quale infine si deciderà, viene considerata come l’unica soluzione per uscire da una condizione frustrante, per l’impossibilità di riuscire ad abbandonarsi completamente al divino.
Antonia Pozzi nelle sue liriche tenta di capire quali siano gli atteggiamenti preferibili per giungere a Dio: in questo percorso accidentato solo dopo le rinunce, la sofferenza lancinante e le perdite, l’autrice potrà aprirsi e concedersi del tutto all’infinito. Il Dio di Pozzi, poi, non ha nulla di trascendente: traluce continuamente nel mondo reale, attraverso immagini fugaci che, per la loro estemporaneità, solo la poesia riesce a cogliere e a fissare in versi. La poetessa, dunque, si pone in dialogo con il divino proprio mediante la poesia, che assume un valore quasi sacrale, e diviene momento imprescindibile di una ricerca tutta spirituale.
Questo componimento, poi, si configura come un unicum, dal momento che qui riesce a tematizzare e nominare apertamente quell’assenza e il bisogno di un più alto appagamento spirituale che, pur essendo tema centrale che riecheggia in tutta la produzione di Antonia Pozzi, era presentato prima sotto le mentite spoglie della solitudine e del silenzio, quasi a voler manifestare il timore provato verso quest’assenza di dio che, quindi, preferiva non menzionare.
Il tema dell’assenza, inoltre, ha profonde risonanze bibliche e riecheggia in tutta l’esistenza dell’autrice, costantemente segnata dalla mancanza e dalla solitudine.
È chiaro il legame tra la tematica cantata nella poesia e l’immagine, anch’essa ricca di rimandi all’universo religioso, con cui si apre la poesia: il “volto” ricercato (nel primo verso), l’incontro mancato e ancora atteso, che rimanda a un’alterità che va oltre la condizione umana. “I cancelli”, invece, potrebbero, verosimilmente, indicare i limiti della condizione terrena, la dimensione claustrofobica del quotidiano.
Come Giobbe nella Bibbia, l’io lirico sembra volgersi avanti e indietro, a destra e a sinistra, senza riuscire ad assaporare la presenza di Dio. La casa, confusa e assimilata a una barca, pare essere un luogo inadeguato per intraprendere quell’approssimazione al divino alla quale aspira Pozzi: è costretta in una dimensione di immobilità, incagliata, la navigazione non procede (“morte vele”), gli spazi domestici sono il luogo dell’isolamento, della solitudine, dello sconforto (“loggiati deserti”).
È nella lontananza (“al largo”) che il lago, forse una metafora del divino stesso, associato a un elemento naturale, fugge; rimanda a vette inusitate (“irreali monti”), a una superiore elevazione, ed è refrattario alla dimensione terrestre, a quelle “scale di (…) pietra”, dalle quali si ritrae.
I versi successivi (vv. 12-14) paiono quasi un bilancio degli ultimi anni della poetessa (che abbandonerà la vita poco più tardi), la faticosa ricerca di quel ricongiungimento tanto anelato (“lenta vagò”), l’incertezza di un’esistenza contrassegnata dallo sconforto di fronte alla solitudine (“vagò”, “vasta”, “pallida”).
L’immagine del cerchio rosso, tratteggiato dalle azalee sulla riva (nei versi finali), sembra un malinconico presagio di allarme e pericolo, un’implorazione al sostegno davanti al silenzio che contraddistingue le piante (“cespi muti”), rivelativo di quell’inadeguatezza a ricevere il divino che la poetessa sentiva insistentemente dentro di sé.
Analisi metrica e stilistica della poesia
Assenza si compone di un’unica strofa di 19 versi liberi di lunghezza variabile. Anche se non presenta rime, il componimento accoglie numerose assonanze che evidenziano i legami semantici tra i versi:
- “cancelli”, “silenzi”, “deserti” (vv. 2-3-6) sono termini che alludono alla condizione terrena di Pozzi, segnata dalla chiusura, dal silenzio e dal vuoto;
- “tende”, “vele” (vv. 5-7): sintagmi che, di per sé, rimandano a un movimento aereo, ma che qui indicano la difficoltà di avanzare, una condizione di immobilità opprimente;
- “pallida”, “riva” (vv. 16-18);
Per quanto riguarda le figure retoriche la lirica presenta un ricorso copioso alle inversioni, all’interno dello stesso verso, e agli iperbati: entrambi gli artifici stilistici hanno la funzione di porre in risalto alcuni termini, in particolare i soggetti di alcune frasi, collocati alla fine delle proposizioni.
Interessante e ardita la similitudine implicita “s’ancorava in golfo di silenzi la casa” con la quale le mura domestiche vengono paragonate a una barca, per evidenziare la loro instabilità e la loro incapacità di costituirsi come un porto sicuro.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Assenza” di Antonia Pozzi: significato della poesia da rileggere nell’anniversario della morte
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Antonia Pozzi News Libri Poesia Storia della letteratura
Lascia il tuo commento