La nuova gioventù, ultima raccolta delle poesie friulane di Pier Paolo Pasolini, è pubblicata da Einaudi il 17 maggio 1975 con una dedica a Gianfranco Contini che riprende quella della silloge La meglio gioventù:
Ancora a Gianfranco Contini / e sempre con “amor de loinh”.
“La nuova gioventù” di Pier Paolo Pasolini
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Il volume, la cui copertina reca una foto del poeta da giovane, si compone di tre sezioni. La prima, edita e intitolata La meglio gioventù (1941-1953), riporta 77 testi con l’aggiunta di diverse poesie tratte da diverse “plaquette friulane” (“Tal còur di un frut”, “Dov’è la mia patria”, “Poesie dimenticate”).
La seconda, inedita e intitolata Seconda forma de “La meglio gioventù (1974), raccoglie 37 testi che riscrivono la poesia friulana della giovinezza con vistosi rifacimenti orientati al senso della perdita e del lutto.
Chiude la sezione Tetro entusiasmo (Poesie italo-friulane, 1973-1974): il titolo è mutuato da Dostoevskij e le poesie, adottando uno sperimentalismo che mescola l’italiano al friulano e la poesia alla prosa, rivelano un atteggiamento polemico verso il presente.
L’ultimo componimento è Saluto e augurio: una sorta di testamento in friulano, in cui il poeta invecchiato consegna a un giovane fascista, Fedro, il fardello dei suoi valori perduti.
Complessivamente per Franco Fortini è:
un libro atroce di un morto vivente
per il disperato rifiuto della modernità, dove lo sfruttamento avanza.
Bel giovanino di Pier Paolo Pasolini: testo e analisi
Emblematica in tal senso la poesia Biel zuvinin. Un apologo in versi potremmo definirla, una parabola che parla di un povero ragazzo con il peso addosso della croce della disoccupazione e che ha la sua versione più propriamente narrativa in un testo intitolato Spiritual, pubblicato in Un paese di temporali e di primule (Ed. Nico Naldini, Parma: Guanda. 1993).
Una favola triste di una terra dove padroneggiavano i soprusi al punto da derubare perfino il “corpo” del ragazzo; una storia morale in cui i possidenti rastrellavano perfino il terreno biologico dell’essere umano.
Sarebbe piaciuta al demologo di Chiaramonte Gulfi, in Sicilia, Serafino Amabile Guastella che narrava i modelli culturali delle classi subalterne, dopo avere appreso dalla viva voce del popolo parabole e storie.
Grandiosamente Pasoliniapre le proprie diramazioni su un territorio d’abbandono esistenziale. Nini, il più bel ragazzo, è il protagonista che entra in scena. Con nove fratelli e i genitori è colto nel suo ambiente: un borgo senza strade lungo l’argine del Tagliamento, detto Malafiesta.
Malgrado la miseria non mancava il gusto del vivere: ragazze e ragazzi ballavano la domenica in un grande stanzone davanti al campanile che dagli abitanti era stato costruito con tronchi di pioppo.
Lo sfondo di partenza è quello di un flusso malinconico:
Nelle luminose mattine di primavera, quando i suoi compagni tenendo per il manubrio le biciclette, passeggiavano per il borgo, oppure filavano via verso San Michele, Morsano o Latisana, coi vestiti della festa e le sciarpette intorno al collo, egli si sentiva morire di malinconia.
Ecco una sintesi, utilizzando la traduzione in lingua del testo poetico e insieme la versione narrativa:
Bel giovanino stava sull’orlo del Tagliamento e il suo cagnolino abbaiava, anche lui contento. Passa per di lì il padrone: “Heila, bel giovanino, te lo pago cento lire, quel tuo cuoricino allegro”.
“Ah si, si, signor padrone, per cento lire te lo do, sarò allegro lo stesso anche se non riderò.”
Trascorsi i sette mesi, il bel giovanino se ne sta sul Ponte del Tagliamento, col cagnolino accucciato. Passa di lì la signora che vede i suoi bei ricci rilucenti al sole come il fiore del narciso.
“ Quei riccetti d’oro se tu me li dai, bel giovanino, ti trovo un posto per lavorare.”
“Prendeteli tutti, signora, che noi siamo poveretti, e anche senza ricci siamo contenti lo stesso.”
E tutto contento se ne va al ponte del Tagliamento a portare sulla schiena blocchi di cemento. Passati sette mesi, il ponte è costruito e il giovanino sempre più nel suo cuore è finito. Da solo, a Trieste, sta seduto sul bordo del barcone del guado a guardare l’acqua verde. Deserto il luogo:
i gabbiani volavano radi tra le canne, lontanissime, al di là del greto, suonavano le campanelle di Staccis.
Un insostituibile luogo di confronto l’acqua, dove egli, specchiandosi, si vede con i suoi indumenti e con la bella faccia di contadino:
Egli aveva stupendi capelli d’oro, ma d’un oro massiccio, striati di luce che gli cadevano sulla fronte con una grande onda. Mentre li guarda, si sente chiamare. “Cosa fai qui a Trieste, bel giovane intimidito?”
“Sono disoccupato, e porto la mia croce.”
È la voce del fattore del suo padrone che gli avanza una proposta: pagargli il biglietto del ballo in cambio della sua salute. Anche da lavorare gli offre al Tagliamento per la costruzione del ponte distrutto dai tedeschi, ma dopo un anno, a opera ultimata, resta senza lavoro.
“Dami la to salut, ch’i ti fai lavora”.
Ciapa la me salut i ài pur di mangia
. Sunàit, puoris ciampanis, sunàit PAimaria, che il zuvinin al torna plen di malincunia, sunàit, puoris ciampanis, sunàit il Matutin, che oramai al è veciu chel biel zuvinin
Nella traduzione:
“Dammi la tua salute, che ti faccio lavorare”. “Prenditi la mia salute, devo pure mangiare”. Suonate, povere campane, suonate l’Avemaria, che il giovanino torna pieno di malinconia, suonate, povere campane, suonate il Mattutino, che ormai è vecchio il bel giovanino.
Qui Pasolini coglie il massimo frutto: suoni e parole si fondono, ed è il suono delle campane, che anche gli viene da reminiscenze pascoliane (per esempio, L’ora di Barga dei Canti di Castelvecchio) ad annunciare il senso profondo del dramma. Anche l’anafora produce la sonorità della parola, la cui immagine si slarga verso l’infinito.
Non ha più voglia di tornare a Malafiesta, giovanino:
Si mise sull’argine del fiume, seduto sull’erba sporca, sotto un freddo solicello. Sorrideva Nini. Passando di lì la padrona, avanza la sua proposta:
“Se mi dai il tuo sorriso”, gli disse […] “ti do mille lire e ti trovo lavoro a Trieste”.
Quello che viene colto è una disperazione nelle fasi di una tragica sorte nella dimensione del vivere:
Dopo pochi giorni era a Trieste, e faceva il facchino nel porto. Lavorava da mattina a sera e mandava quasi tutto quello che guadagnava a casa […] Si sedette sotto un castagno, sull’orlo dell’aiuola, e si guardò disperato intorno. Era senza capelli e senza sorriso, ma in mezzo al volto gli restavano come due pietre preziose, i suoi occhi turchini.
L’itinerario ha il suo punto più intenso in una specie di “espressionismo” a cui approda la scrittura legata a un’idea di disumanità.
L’invenzione in sostanza passa per la realtà e l’invenzione l’attraversa. Di questi scambi continui vive la creatività di Pasolini nutrita dalla presenza della violenza, nonché della malvagità carnivora.
Passa infine davanti al ragazzo un vecchio signore con il cane al guinzaglio e si ferma a contemplare la luce cupa e dolce delle pupille. Lo invita a pranzo in un albergo lussuoso frequentato dai ricchi e alla fine gli dice:
“Hai degli occhi stupendi...” […]
“Se me li dai”, continuò il signore, “ti regalo un vestito, una bicicletta e un orologio d’oro.”
La conclusione suscita un senso penoso e si fa strada la forza della parola che scolpisce un lucido struggimento umanitario ed etico:
Così tornò a Malafiesta; dopo pochi mesi il vestito nuovo era tutto stracciato. La bicicletta e l’orologio dovette venderli per comprare altre scarpe e qualche medicina per i fratelli piccoli. Ormai, rugoso, calvo e cieco, anche la gioventù, unica sua ricchezza, era nelle mani dei padroni.
Il ritorno al paese si distende tra l’angoscia e il senso incombente della morte: un brano davvero cruciale, essenziale e crudele. Certamente fra i più suggestivi dell’intero racconto che appare nella sua nuda verità.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Bel giovanino”: la favola triste di Pier Paolo Pasolini
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