Nel 1956 Bertolt Brecht non pensava a morire, come ricorda Rossana Rossanda in un famoso articolo su Il Manifesto. Era il 14 agosto del 1956 quando il “il più grande poeta del secolo”, come lo definì Lukács, fu stroncato improvvisamente da una crisi cardiaca a soli cinquantotto anni. La verità sulla morte di Bertolt Brecht è ancora da scoprire, di recente un ricercatore inglese di letteratura tedesca, Stephen Parker, ha ricostruito i suoi ultimi mesi di vita in una appassionante trama a ritroso degna di un romanzo di inchiesta.
Oggi di Brecht ci rimane una scrittura acuta e regolare, le sue celebri poesie contro la guerra, la capacità di riformulare il teatro postbellico trasformandolo in un nuovo scenario dove ad avere voce erano i reietti, gli esclusi, gli antieroi che Bertolt Brecht amava tanto perché la Storia non dava loro voce, non li rendeva protagonisti. Il teatro brechtiano aveva un intento pedagogico, quasi socratico, e nasceva dalle macerie della guerra, dalla ferita insanabile del nazismo e invitava l’umanità a ricostruire, a ricostruirsi, a partire delle crepe, dalle rovine.
Scopriamo la vita e le opere del drammaturgo tedesco.
Bertolt Brecht: la vita
Brecht era nato ad Augusta nel febbraio del 1898, figlio di una famiglia dell’agiata borghesia tedesca. Fin da giovane frequentò gli ambienti dell’avanguardia artistica, appassionandosi in particolare alla letteratura: avrebbe abbandonato gli studi universitari in medicina per dedicarsi interamente all’attività letteraria. Già da ragazzo componeva poesie e drammi: un suo poema, dal titolo La leggenda del soldato, gli procurò guai quando era appena uno studente per l’esplicita condanna della guerra che conteneva. Negli anni Venti del Novecento Bertolt era appena un ragazzo, ma aveva già vissuto gli orrori della Prima guerra mondiale e condannava la guerra come un ordigno orchestrato dai potenti ai danni dei più deboli: le sue opinioni non piacquero, lui non smise di esprimerle.
Iniziò a collaborare al giornale socialista Ausburger Volkswille, dopo essersi stabilito a Berlino. Le sue opere, sempre politicamente schierate, iniziarono a catturare l’attenzione di Hitler. Nel 1928 ottenne un certo successo con la sua celebre Opera da tre soldi, che per la prima volta metteva in scena il mondo del sottoproletariato - aderendo anche al linguaggio rappresentativo di quel mondo - con un intento provocatorio. Una delle innovazioni teatrali del drammaturgo tedesco fu quello di abbattere l’effetto “quarta parete”, rivolgendosi direttamente al pubblico, interrogando gli spettatori.Gli scritti di Brecht erano invisi dal regime, considerati pericolosi proprio per la loro capacità di parlare alle masse. Le questioni etiche e sociali del tempo erano considerate la trama stessa, la linfa vitale dell’opera brechtiana, così come la politica veniva chiamata in causa con chiaro intento provocatorio.
Infine, nel 1933, con l’ascesa del nazismo, Bertolt Brecht è costretto a fuggire dalla Germania. Iniziò così la sua lunga fuga attraverso le capitali europee: da Parigi a Vienna sino alla Danimarca. Avrebbe composto le sue opere più famose da esule nelle regioni scandinave, mentre nel cuore dell’Europa infuriava la Seconda guerra mondiale. Si sarebbe trasferito in Russia e poi negli Stati Uniti prima di fare ritorno, soltanto a guerra conclusa, mentre le macerie delle città rase al suolo erano ancora fumanti.
A Berlino Est, nel dopoguerra, Brecht avrebbe fondato - insieme alla sua compagna, l’attrice Helene Weigel - il Berliner Ensemble, una delle maggiori compagnie teatrali con analogo complesso di riferimento che avrebbe rinnovato l’arte drammaturgica in lingua tedesca. In quel contesto veniva maturata l’idea di un nuovo teatro, un teatro - come lo definì lo stesso autore - che fosse epico. Eppure era un teatro popolare, popolato di antieroi che si reggeva, esclusivamente, sull’antifrasi e il paradosso. In verità ciò che l’arte di Brecht metteva in scena, ogni volta, era la grande contraddizione del proprio tempo, scenario di guerre, miserie, tragedie. Il suo teatro, così come i suoi versi poetici, si misuravano sempre con una realtà dura, contraddittoria, spesso inenarrabile.
Drammi e contraddizioni che appartenevano agli uomini di metà Novecento e ai loro tempi oscuri ma, a ben vedere, riflettevano gli uomini di ogni tempo: tanto che le poesie e i testi teatrali di Brecht continuano a parlare al presente, traducono la banalità del male, il non senso delle guerre di oggi così come quelle di ieri. Al centro della scena, in verità non erano solo le persone come protagoniste, ma la parola nuda, violenta.
Bertolt Brecht morì improvvisamente nell’agosto del 1956 mentre tentava ancora di tradurre il dolore del mondo in versi, convinto di non aver ancora scritto la sua ultima parola.
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Il teatro di Bertolt Brecht e l’antieroe
Della poesia è stato detto molto, ma spesso si tende a trascurare l’innovazione teatrale apportata da Brecht. Era un teatro coraggioso che fece storia proprio per la sua capacità di mettere in scena la realtà storico-sociale dell’epoca; ma non solo, Brecht non si limitava a raccontare, rendeva lo spettatore partecipe, lo chiamava a riflettere. Nel teatro brechtiano troviamo la perfetta sintesi tra il dialogo socratico e la catarsi aristotelica: assistere a una sua opera equivaleva a sentirsi protagonisti della propria epoca e anche a liberarsi del peso delle proprie passioni.
La drammaturgia di Brecht seguì una progressiva evoluzione: da teatro didattico a teatro epico, non intendeva insegnare qualcosa ma gettare i presupposti utili per un ragionamento, una riflessione. Era questo lo scopo dell’arte di Bertolt Brecht: favorire lo spirito critico, invitare le persone - spettatori compresi - a pensare con la propria testa. Aveva capito lui, cresciuto nella Germania nazista, che non c’era modo migliore per estinguere l’insorgere delle dittature. Il teatro di Brecht, così come le sue poesie e i suoi scritti invitano a ragionare, a riflettere, incoraggiano l’anticonformismo.
Il suo antieroe prediletto, non a caso, era Galileo Galilei, protagonista della Vita di Galileo (1943), una delle sue opere di maggior successo, replicata in più versioni. Perché il padre della scienza moderna aveva ispirato Brecht? Semplice, Galiei era il perfetto prototipo di antieroe: quando il Santo Uffizio gli intimò di abiurare la sua teoria lui abiurò, invece di essere martire o condannarsi in nome di un’idea. Brecht metteva in scena il grande scienziato con tutti i suoi umanissimi difetti, mostrandolo pusillanime, vile, ma anche egoista, vanitoso, astuto che seppe sfruttare l’adulazione per sopravvivere. Nella vita di Galileo riviveva, al contempo, il dramma di una società governata da un potere - nel Seicento l’Inquisizione, nel Novecento il Nazismo - che opprime e controlla, favorendo l’ignoranza delle masse per ottenere una maggiore omologazione.
Galileo era semplicemente un uomo in un mondo senza eroi, come ribadisce Brecht che mise in bocca allo scienziato più rivoluzionario della storia proprio queste parole:
Sventurato la terra che ha bisogno di eroi.
Il grande talento letterario di Brecht è che, pur raccontandoci di un mondo al rovescio, oscuro, senza eroi, ci ha insegnato l’umanità, il coraggio e la speranza attraverso la virtù luminosa dell’intelligenza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Bertolt Brecht: vita e opere del drammaturgo antieroe
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