

Il dottor John W. Polidori (1795 -1821) nella sua breve vita scrisse alcuni drammi e qualche novella, ma per molto tempo il suo racconto più importante, Il vampiro, fu attribuito a George Byron (1788 - 1824), il più famoso poeta romantico inglese dell’epoca e membro della Camera dei Lords, e così dovette rassegnarsi a rimanere nell’ombra, come oscura e tragica fu la sua precoce morte dopo aver assunto una dose letale di acido prussico.
Nella nuova edizione del 2024 dell’editore Santelli, oltre al testo di Polidori, troviamo La sposa delle isole. Racconto fondato sulla leggenda popolare del vampiro, attribuito a un anonimo inglese.
Lord Byron, il bel diavoletto zoppo che affascinò Polidori
Byron, uomo affascinante e bello, nei primi anni di vita era stato colpito da una paraplegia spastica a una gamba, che rendeva la sua andatura claudicante, ed è per questo che da bambino era stato chiamato il diavoletto zoppo.
La sua vita sentimentale e sessuale aveva scosso la morale vittoriana dell’epoca. Ebbe una moglie e molte amanti, tra cui una lunga relazione incestuosa con la sorellastra Augusta, da cui ebbe una figlia. Gli storici narrano pure della sua omosessualità e il suo ultimo amore, non ricambiato, fu quello per un ragazzino greco.
Politicamente diede scandalo tra gli aristocratici quando alla Camera dei Lord, il 27 febbraio 1812, pronunciò uno storico discorso difendendo la classe operaia condannata per gli episodi di luddismo. Il suo comportamento – quello di un aristocratico ribelle e anti borghese – e le sue opere hanno dato vita alla figura letteraria dell’eroe byroniano, incarnando l’atteggiamento intellettuale e lo stile di vita del dandismo. Quest’uomo affascinò il giovanissimo dottor Polidori.
Polidori, medico e scrittore al servizio di Byron
John Polidori, prima di essere scrittore, fu anzitutto un medico studioso del sonnambulismo, ma per qualche mese fu pure il medico personale e segretario del poeta e drammaturgo Lord George Byron, uomo sprezzante e volubile, con cui non andava d’accordo.
In pubblico Byron lo umiliava chiamandolo Polly Dolly, e forse tra i due c’era pure una latente pulsione omosessuale. Anche suo padre, l’italiano Giovanni Polidori, poeta ed editore, fu per quattro anni il segretario particolare di Vittorio Alfieri. Strano destino per un letterato, quello di servire, da padre in figlio, poeti e aristocratici cotanto famosi e di essere ritenuti dal grande pubblico solo lumicini al loro confronto.
Nel 1816 Polidori accompagnò Lord Byron nei suoi viaggi in Europa, tra cui quello sulle rive del lago di Ginevra, trasformato in una leggenda della storia della letteratura.
La sfida letteraria a Villa Diodati
I due, nel giugno del 1816, soggiornarono per tre giorni nella bellissima Villa Diodati del comune di Cologny e ospitarono il poeta e baronetto Percy Bysshe Shelley, consumatore di laudano, e la sua fidanzata diciannovenne Mary Wollstonecraft Godwin e Claire Clairmont, sorellastra di Mary e amante di Byron.
Per passare il tempo, costretti dalla pioggia, su proposta di Byron scrissero delle storie sulla falsa riga degli otto racconti tedeschi dell’antologia gotica Fantamasgoriana.
Così ricorda Mary, la futura signora Shelley, nell’Introduzione all’edizione di Frankenstein del 1831:
L’estate fu umida e spiacevole, e una pioggia incessante ci costrinse spesso a casa, per giorni. Ci capitarono per le mani alcuni volumi di storie di fantasmi tradotte dal francese in tedesco. [...] “Ognuno di voi scriverà una storia di fantasmi”, disse lord Byron. Eravamo in quattro. Il celebre autore iniziò un racconto, del quale pubblicò un frammento alla fine del suo poema Mazeppa.
In realtà non scrissero molto e la sfida letteraria fu una delusione; lo stesso Byron scrisse solo qualche pagina, ma Mary Shelley in quei giorni ideò il personaggio del romanzo Frankenstein o il moderno Prometeo, pubblicato nel 1818 e poi modificato nell’edizione del 1831.
Anche Polidori, ma solo dopo il breve soggiorno a Villa Diodati, riprendendo un’idea di Byron – il famoso frammento –, diede vita al personaggio di Lord Ruthven, Conte di Marsden, il Vampiro. È il primo non morto succhiasangue moderno, molto diverso dalla tipologia dei vampiri, rozza e popolare, della tradizione slava, descritta fino ad allora dalle superstizioni e dalle numerose storie dell’antichità, come è riferito dal prezioso studio Dissertazioni sopra le apparizioni de’ spiriti, e sopra i vampiri, o i redivivi d’Ungheria, di Moravia e di Silesia del benedettino francese Augustin Calmet (1762-1757).


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Il Vampiro descritto da Polidori è un aristocratico, abile nel gioco d’azzardo, un maestro nell’arte della seduzione e della perdizione.
Ecco l’incipit:
Durante un inverno, proprio nel pieno della dissipata e frenetica stagione mondana londinese, iniziò a farsi vedere nei salotti più altolocati un aristocratico che, per i modi e la nobiltà delle sue origini, suscitava curiosità in molti. [....] egli poteva vantare lineamenti bellissimi e le donne, smaniose di farsi notare da lui, provavano con ogni mezzo a strappargli quantomeno un cenno d’assenso [...] quelle donne virtuose che Lord Ruthven aveva ammaliato, dopo la sua partenza si erano abbandonate alla lascivia più sfrenata e a ogni sorta di perversione.
Villa Diodati diventa soggetto cinematografico
Quei giorni, romanzati nella loro ricostruzione sia da Shelley che da Polidori, nonché da molti studiosi, hanno ispirato il regista Ken Russell con il film del 1986 Gothic e il romanzo Hautend Summer (1974) della scrittrice americana Anne Edwards, da cui nel 1988 il regista ceco Ivan Passer ha tratto il film L’estate stregata.
Inoltre, sempre nel 1988, il regista spagnolo Gonzalo Suárez ha diretto Remando nel vento. Nel 2017 esce il film Mary Shelley. Un amore immortale, diretto dalla regista saudita Haifaa al-Mansour.
Storia del “Frammento” di Byron
Frammento di un romanzo (Fragment of a Novel) o La sepoltura: un frammento (The Burial: A Fragment) sono poco meno di dieci pagine scritte da Byron a Villa Diodati il 17 giugno del 1816 e poi pubblicate nel 1819 in coda al poemetto Mazeppa dello stesso Byron.
Il dottor Polidori per scrivere il suo breve racconto Il Vampiro si ispirò a quelle pagine. Oltre a ciò, poi, Polidori introdusse nel suo racconto pure alcuni elementi del romanzo autobiografico Glenarvon di Caroline Lamb, ella stessa un’amante di Lord Byron con il quale ebbe una difficile relazione. Il personaggio che dà titolo al libro, Ruthven Glenarvon, è di fatto un ritratto crudele di Byron e la Lamb, nelle pagine di Polidori, diventa il personaggio di Lady Mercer.
Lady Mercer [...] mise in campo tutte le armi di seduzione in suo possesso per carpirgli anche un solo sguardo [...] Il suo prodigarsi, però, fu vano.
Storia editoriale de “Il Vampiro”
Dopo il breve e burrascoso periodo trascorso al servizio di Lord Byron, Polidori completò Il Vampiro in tre mattine e lo consegnò alla contessa di Breuss, la quale l’affidò a un’altra signora e il testo fu pubblicato nell’aprile del 1819, sembra all’insaputa dello stesso Polidori, sulla rivista “New Monthly Magazine”; ma per un errore – forse voluto – del direttore, l’opera fu attribuita al Lord Byron.
Il racconto ebbe un grande successo e fu tradotto in diverse lingue e pure Goethe dichiarò che quello era uno dei migliori lavori del poeta e drammaturgo inglese. È importante ricordare che Lord Byron, nel poema Il Giaurro, frammento di un racconto orientale del 1813, aveva introdotto per la prima volta nelle sue opere la figura del vampiro.
[…] il tuo cadavere sarà strappato dalla tomba, e mandato sulla terra sotto forma di vampiro; poi, turberà, spettrale, il luogo della tua nascita, e succhierà il sangue di tutta la tua gente; là, dalla figlia tua, da tua sorella, da tua moglie, succhierà, a mezzanotte, la linfa della vita.
[da Il Giaurro, traduzione di Anna Benedetti, UTET, 1966]
Detto ciò, nacquero tra Byron e Polidori alcune schermaglie sulle pagine dei giornali per l’attribuzione del romanzo gotico. In una lettera al direttore del “Galignani’s Messenger” del 27 aprile 1819, Byron scrive:
Signore [...] Non sono l’autore e non avevo mai sentito parlare dell’opera in questione fino a questo momento. [...] Vi sarò grato se vorrete cortesemente accondiscendere alla mia richiesta di smentita.
Polidori scrive al direttore del “Morning Chronicle”:
Signore[...] il racconto fu scritto sulla base di una storia proposta e iniziata da Lord Byron [...] Appena pubblicato, me ne procurai una copia; e, avendo constatato che era proprio quel mio ghiribizzo quasi caduto nel dimenticatoio, ho scritto a voi per sottolineare la minima parte che ha avuto Lord Byron in questo lavoro. Questo fu venerdì sera, dopo la sua pubblicazione. Contemporaneamente, scrissi sia agli editori dell’edizione separata, che a quelli della rivista per impedire la vendita del racconto sotto il nome di sua signoria.
La storia è ancora più complessa, come scrivono Giovanna Franci e Rosella Mangaroni nell’Antefatto a Il Vampiro (Edizioni Studio Tesi, 1984):
A parte i riferimenti personali a Byron dava fastidio che quello sciocco di Polly Dolly, come ormai lo chiamava, lo avesse plagiato tanto sfacciatamente e, per dimostrare l’originalità della sua idea, fece subito pubblicare il frammento in appendice al suo poemetto storico Mazeppa.
Del resto il personaggio antagonista de Il Vampiro, l’Aubrey che racconta del mostro, è l’alias dello stesso Polidori, così tanto disprezzato dal misterioso, affascinante e crudele Lord Ruthven alter ego di di Lord Byron.
La prostrazione di Aubrey si faceva sempre più grave e le incessanti emorragie erano ormai chiaro sintomo dell’approssimarsi della morte.
La maledizione del “Vampiro” e la morte di Polidori
Il povero dottor Polidori, dopo aver tentato a Londra la carriera forense e cercato nel 1820 pure di intraprendere la carriera ecclesiastica, non riuscì a risalire la china, cadde in miseria e depressione e il 24 agosto 1821, non potendo saldare un debito di gioco, si avvelenò assumendo acido prussico. Finì la sua vita come la finirono i giovani descritti nel suo romanzo Il Vampiro:
tutti coloro che beneficiavano della generosità di Lord Ruthven scoprivano che, ad essa, era vincolata di maledizione, perché o finivano di lì breve al patibolo, o precipitavano nella più abietta miseria.
Quella strana compagnia di letterati, che nei giorni di Villa Diodati aveva evocato i fantasmi, nel giro di qualche anno ebbe un tragico destino: dopo Polidori, il poeta P. B. Shelley morì annegato nel 1822 e Lord Byron morì di febbri reumatiche nel 1824. Anche alcuni loro familiari morirono tragicamente: Harriet, la prima moglie di Shelley si suicidò, come fece Fanny la sorellastra di Mary. Ci furono poi le morti per malattia di Clara e William, i giovani figli di Mary.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il Vampiro”: storia del racconto di Polidori attribuito a Byron
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