

Bugie su mia madre
- Autore: Daniela Dröscher
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: L’orma editore
- Anno di pubblicazione: 2025
Bugie su mia madre, un successo internazionale di Daniela Dröscher (L’Orma editore, 2025, traduzione della bravissima Flavia Pantanella ), descrive con una prosa cruda e precisa una storia forte e drammatica, il peso corporeo della madre.
Una donna bellissima, ma per il marito troppo grassa, che dovrà perdere peso ed esposta, giorno dopo giorno, a continue umiliazioni psicologiche e familiari. Una biografia della madre tra realtà e aspetti inventati per amore della conoscenza. L’autrice racconterà in prima persona la sua vicenda personale e privata, a volte spettatrice e spesso complice delle invettive del padre, e delineerà con delicatezza un ritratto intimo della madre, il suo complesso universo emotivo e la drammaticità dei suoi vincoli matrimoniali in un paesino della Renania degli anni Ottanta. Daniela Dröscher, scrittrice tedesca, per i suoi romanzi, saggi e opere teatrali è stata insignita di numerosi riconoscimenti letterari, e Bugie su mia madre, suo ultimo libro, è stato tra i finalisti del Deutscher Buchpreis. Per le tematiche non solo sociali e per la sensibilità nel raccontare, Daniela Dröscher ricorda molto e appropriatamente Annie Ernaux.
Mia madre in una bara non ci sta: è troppo grassa.
La frase d’inizio del racconto di una figlia sulla madre e sulla sua obesità. Una spettatrice involontaria dei litigi giornalieri tra i suoi genitori. Il padre si lamentava dei chili di troppo della madre iniziando la mattina presto, al momento della colazione. La terribile bilancia che troneggiava affinché si potesse leggere il suo peso.
Vidi mia madre tenere stoicamente le lacrime in bilico sulla linea sottile delle palpebre.
Calorie e diete erano gli spettri nella casa, declinati dal padre tutti i giorni, mentre la madre sentiva il costante senso della vergogna: era cresciuta consapevole di non essere grassa. “Il corpo di mia madre rappresentava la visibilità in un mondo che puntava tutto sull’invisibilità”. Non era ben vista neanche dai suoceri, per via della sua famiglia di origine: tedeschi che venivano dalla Polonia, “tedeschi di Slesia”, una minoranza di immigrati cresciuta nel divieto linguistico di parlare tedesco in pubblico. Sua madre, infatti, aveva imparato a scegliere bene le parole con cura e non usare mai espressioni volgari. Guardava con importanza all’indipendenza economica delle donne nelle proprie famiglie e non voleva che sua figlia giocasse con le Barbie, le donne normali non erano così. Lavorava come corrispondente in lingue estere in una ditta di pelletteria e aveva ripreso gli studi per essere promossa a segretaria di produzione: il nuovo impiego l’avrebbe portata fuori di casa per il lavoro.
Il padre era uno di quei giovani cresciuti nel dopoguerra che avevano abbandonato l’agricoltura per cercare di realizzarsi in una professione rispettabile. Ai tempi del nazionalsocialismo il grasso incarnava la decadenza. Quando i suoi genitori sedevano al tavolo della cucina, il padre era l’unico a parlare, di diete, di lavoro o di politica: Helmut Kohl non gli era simpatico, forse perché era in sovrappeso.
Mio padre non staccava gli occhi dal corpo di mia madre.
Per lui la bellezza significava armonia, e insicuro com’era il corpo della moglie era diventato un’ossessione che lo rendeva ancora più insicuro. Sua madre cercava di ignorare i suoi sguardi che la amareggiavano e la rendevano infelice. A guardare bene intorno poteva sorprendere di quanto fosse invece bella e attraente.
Come si erano conosciuti i suoi genitori? E quando ebbe inizio questo dramma? si chiederà l’autrice. Perché sua madre non aveva un’amica; forse perché non poteva invitare nessuno a casa. L’assenza di spazio era il simbolo della sua vita matrimoniale. Nel suo sguardo brillava una solitudine grave e grigia come il piombo, chiusa nel suo silenzio, un mantello che la rendeva invisibile. Si chiederà perché non lo avesse lasciato. In un matrimonio che non aveva futuro i figli rappresentavano la protezione.
La sicurezza affettiva di cui aveva bisogno non era scontata né all’interno del matrimonio con mio padre né nei rapporti con la gente del paese. Andava d’accordo praticamente con tutti, eppure le persone le rimanevano estranee.
Forse erano questi i motivi per cui l’autrice aveva cominciato a scrivere. La scrittura come miglior forma per indagare l’animo umano, trovandosi ai margini di un campo di battaglia qual era il matrimonio dei suoi genitori.
Bugie su mia madre è una storia privata tragica di dinamiche familiari, dal 1983 al 1985, raccontata con gli occhi di una bambina che saprà alternare le riflessioni di una donna adulta. Un padre tormentato dal peso corporeo della moglie: la sua obesità la riteneva responsabile di tutto ciò che non riusciva ad ottenere, dalle promozioni in azienda alla stima nella piccola comunità. Una mentalità patriarcale persistente nella società e non solo in quella tedesca; da noi vigeva ancora il delitto d’onore, negli anni vivaci di un dilagante femminismo, di lotte moderate e meno, una via obbligata nel voler superare una società maschilista che cancellava o ignorava l’individualità femminile. Bugie su mia madre è una lettura coinvolgente, che lascia sgomenti per la sua durezza e che interroga le nostre emozioni e la nostra storia.

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