Café Julien
- Autore: Dawn Powell
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Fazi
- Anno di pubblicazione: 2015
Café Julien, romanzo appena pubblicato da Fazi in italiano con la traduzione impeccabile di Silvia Castoldi, ha una lunga storia, come la sua autrice Dawn Powell, che ci viene raccontata con il suo stile brillante da Natalia Aspesi nell’esauriente prefazione che precede il romanzo. La Aspesi ci aiuta a ricostruire un ambiente fatto di scrittori, artisti, critici, giornalisti, mercanti d’arte, donne in cerca di celebrità e di solida collocazione sociale che vissero nel quartiere bohémien di Manhattan, in quella parte intorno a Washington Square, tra la 9° Street e University Place, e che diventano i coloriti personaggi nel libro della Powell, ingiustamente dimenticata per lungo tempo nelle storie letterarie americane e da pochi anni riscoperta e ripubblicata con buon successo data l’attualità delle atmosfere che se ricreare.
Nel libro una giostra di personaggi di fantasia, che somigliano però a scrittori reali, Hemingway e Dos Passos inclusi, si alterna ai tavoli del celeberrimo locale che nel libro prende il nome di Café Julien, dal cuoco francese che lo aveva fondato negli anni Venti.
La storia si svolge nel 1948, poco prima che lo storico locale venisse demolito per lasciare il posto ad un orribile condominio, lasciando orfani di quel luogo mitico molti dei personaggi che affollano le pagine del lungo romanzo. Ellenora Carsdale non si fa vedere da tempo ai tavoli di marmo del Julien, eppure Ricky Prescott, un bell’uomo venuto dalla provincia, molto somigliante ad un divo cinematografico, l’aspetta fiducioso sperando almeno in una telefonata della donna, che dopo un breve incontro si è dileguata lasciando un vuoto che gli sembra incolmabile, convinto che presto o tardi tornerà all’immancabile appuntamento.
Cynthia Earl è un’ereditiera sul viale del tramonto collezionista di quadri e mariti, insaziabile curiosa di fatti e misfatti del suo ambiente, forse ricalcata sulla celebre Peggy Guggenheim, è circondata da adoranti clientes che sperano in un prestito, in un lancio, pronti però ad abbandonarla se non ottengono il loro scopo. Un pittore ormai senza un soldo, un tempo suo amante, Dalzell Sloane, cerca di riallacciare un rapporto con lei al Julien: si tratta di uno dei tre artisti, gli altri sono Marius e Ben, che hanno influenzato la vita artistica di New York negli anni precedenti. Ora, però, Marius è morto misteriosamente in Messico, Ben è scomparso, ma proprio questo sembra ridare loro fama e le loro tele, vere o false, riprendono quota sul mercato. Una nota famiglia bostoniana ha una pecora nera che si è stabilita a New York, Elsie Hookley, dove frequenta artisti squattrinati e ragazze in cerca di riscatto sociale; la donna, grassa cinquantenne esuberante, è in perenne dissidio con il fratello Wharton, conformista e attento al patrimonio familiare: malgrado le sue nascoste tendenze omosessuali, l’uomo ha sposato una giovane ed ignorante sudamericana, dalla quale ha avuto quattro bruttissime figlie, che sogna di collocare nel più elevato milieu newyorkese. Jerry Dulaine è la giovane donna, fuggita dal Kansas, della quale Elsie si improvvisa pigmalione, intenzionata ad aiutarne l’ascesa sociale a spese di un uomo potente: le insegna le buone maniere, il gusto nel vestire e nel ricevere, le paga conti salati pur di farla accettare come futura moglie dal diplomatico Collier McGrew, il quale però ha altri piani per la ragazza, che pure gli piace.
Tutti i personaggi creati dalla fervida fantasia della Powell intrecciano le loro complicate vicende in quel locale, osservati da un tavolo d’angolo dallo scrittore Dennis Orphen che non è che l’alter ego della stessa autrice, abituata a bere e a passare lunghe ore in un luogo che per molti aspetti fu un crogiuolo della vita artistica della grande metropoli: pittori come Jackson Pollock o Willem de Koonig, scrittori in odore di comunismo che presto finiranno stritolati dal Maccartismo si danno il cambio affollando il bar e l’annesso carissimo ristorante.
Al di là degli intrighi amorosi e artistici che pure sono al centro del racconto, Dawn Powell si mostra una grande ammiratrice della città di New York, meta agognata da tutti i provinciali americani in cerca di affermazione, di cui tuttavia intuisce i limiti e le contraddizioni, la mancanza di moralità, la corsa al denaro, la spregiudicatezza di tanti dei suoi abitanti, tutti tesi alla realizzazione piena del capitalismo occidentale, di cui la città appare la metafora:
“In città perfino gli elementi naturali erano denaro: l’aria era denaro, l’acqua era denaro, il fuoco era denaro, il bisogno, la ricerca, l’avidità era denaro, L’amore era denaro. O denaro o morte.”
Per certi versi questo romanzo anticipa atmosfere che, dopo le stragi della seconda guerra mondiale, annunciavano il desiderio di ripresa di uomini e donne, la volontà di far rinascere carriere, amori, la brama di affermazione sociale che saranno la cifra caratteristica degli ormai imminenti anni Cinquanta.
Dopo la distruzione del Café Julien, sembrò che anche tutti gli attori che avevano recitato su quella sorta di palcoscenico avessero perso la loro identità e non si riconoscessero più gli uni con gli altri e l’epilogo viene tristemente affidato alle parole di Dennis Orphen, il testimone silenzioso che seduto su una panchina davanti ai resti del ristorante appunta sul suo taccuino che
“Coloro che erano stati legati a esso si separarono come paglia quando la corda della balla viene tagliata, e ricordarono i loro volti come parte di un sogno che non sarebbe tornato mai più.”
Dopo tanti cibi raffinati, drink esotici, interni ricchi, abiti da gran sera, cappellini frivoli e frivoli discorsi, ecco che l’ultima metafora a cui ricorre l’autrice è quella di una balla di paglia, i cui fili sono identici gli uni con gli altri.
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