Canzone per la notte
- Autore: Chris Abani
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Fanucci
“Non sono mai stato un ragazzo. Questa possibilità mi è stata rubata, e non sarò mai un uomo …” (Pag. 134)
Nigeria, 1967. Dopo un colpo di stato, il numeroso gruppo etnico Igbo fonda la Repubblica del Biafra. Il territorio è la parte meridionale vicino al delta del Niger, ricca di petrolio. La reazione del governo fu disumana. Per tre anni la repressione e gli stermini saranno atroci. Ancor oggi il Biafra è un triste ricordo di fame, morte e distruzione.
Chris Abani è uno scrittore nigeriano, trasferitosi negli Stati Uniti, dove ancora oggi vive.
Canzone per una notte (Fanucci, 2010) ci riporta indietro negli anni della secessione degli Igbo, raccontandoci un piccolo frammento di quella storia.
La sua lettura però è universale: è uno spaccato e denuncia delle tante sporche guerre combattute nel mondo.
Assurdamente, ci sono guerre alla moda e altre volgari: molte sono pubblicizzate, famose, muovono processione di pacifisti à la page, con i giornalisti della CNN sempre in presa diretta; altre sono sconosciute, dimenticate, con pacifisti sbadati e i giornalisti impegnati a bere cosmopolitan ai party di New York.
Eppure, anche in questo momento tanti sottili conflitti, silenziosi, non dichiarati, uccidono e creano delle creature deformi nel fisico e nell’animo.
My Luck è un mostro di quindici anni, ma a sbigottirci è la sua data di reclutamento.
My Luck è un Igbo, arruolatosi, con orgoglio fintamente ideologico, nell’esercito del Biafra a dodici anni.
La madre è stata uccisa per salvarlo. Tutto intorno a lui è morte.
L’unico posto più tranquillo è, incredibilmente, forse la prima linea, dove la battaglia è più cruenta:
“Combattiamo semplicemente per sopravvivere alla guerra.” (Pag. 11)
Il suo ricordo è in prima persona. Leggendo, entriamo dentro di lui, comprendiamo i suoi folli sentimenti, il suo desiderio di sopravvivere, il suo orgasmo nell’uccidere.
Ogni suo assassinio provoca in lui un profondo godimento:
“… io provo piacere, quasi ci godo.” (Pag. 14)
All’inizio la sua entrata in guerra è da lui giustificata come motivazione ideologica, questione di clan, d’appartenenza ad un gruppo.
In realtà entra in guerra per uno stringente senso di colpa e per il suo odio vendicativo contro gli spietati assassini di sua madre.
Non c’è nulla da fare, My Luck è un perdente nella vita e il suo conto da pagare è smisurato, al pari della sua sofferenza.
Il libro parla di ferocia e crudeltà inimmaginabili.
My Luck è uno sminatore senza strumenti ed equipaggiamento. Deve disinnescare le inesorabili mine antiuomo solo con la sua abilità delle mani e la sua agilità.
L’addestramento è inumano. Il suo corpo di bambino sarà costretto ad un sacrificio devastante, eppure continua ad essere un bambino.
My Luck si è perso. Nel libro sta viaggiando alla ricerca del suo plotone, in un cammino fantastico e inverosimile.
Ogni tappa è un momento dei suoi passati ed atroci ricordi. L’unica nostalgia positiva è la memoria della madre e del nonno.
Nel trasferirsi di luogo in luogo, incontra pazzi, donne folli, psicopatici assassini, un fiume pieno di cadaveri. L’afrore dei morti e della follia esplode nella mente del ragazzo. La calda scrittura di Chris Abani ci rende partecipe del disgusto di questo fetore.
My Luck ci racconta gli agghiaccianti avvenimenti della sua breve esistenza, ma quando inizia a percepire il dolore tramite l’odore e l’avvicinarsi della morte, deve abbandonare ed allontanarsi di nuovo.
Se in un posto si trova bene, deve riprendere a vagare confuso, disorientato, sperso.
Il suo è un calvario, sta portando la croce e deve fermarsi ad ogni stazione della sua via crucis.
La scrittura di Abani è densa, soffocante, piena di parole.
Leggiamo agognati le sue frasi intense, piene di simboli e di segni.
E’ una scrittura chiara e profonda, impegnandoci sempre ad un inseguimento della sua visione.
Usa il metodo del flash back e per ogni tappa il ragazzo ha il suo pentimento, la sua proiezione criminale.
Tanti sono i segni a cui ricorre lo scrittore: le sigarette non finiscono mai, l’orologio segna solo i minuti, i ragazzi muti hanno intensi dialoghi.
Questi simbolismi sono usati da Abani per allacciare i tanti minuscoli frammenti di storia africana. Gli atavici riti, le immagini dell’antico popolo Igbo si avviluppano con i brandelli della storia moderna.
L’ancestrale paura diventa un incubo. Il mondo si riempie di pazzi e di essere subnormali, come le donne che celebrano un banchetto orribile con i resti di un bambino.
Alla sua scoperta lo sconvolgimento di My Luck diventa inaudito nonostante gli orrori già vissuti.
La mente gli si attorciglia, rimanendo sconvolto da un incubo perenne.
Quell’orrendo convito è lo scoppio di un degradamento morale: le donne possono mangiare un figlio?
La pienezza della scrittura di Abani gli consente tuttavia di mantenere una fievole leggerezza nella descrizione dei massacri e degli orrori.
In questo è molto bravo, perché raccontando in prima persona, con gli occhi sperduti del ragazzo criminale, riesce ad eliminare la parte moralistica e anche quella esageratamente e orribilmente descrittiva. Nel suo fiume di parole, di simboli, di segni atavici ci adagiamo. La nostra sensazione di soffocamento è immenso, senza però impigliarci nella rete del facile moralismo.
Altra qualità della lettura è l’eco della tradizione africana, ricca di figure, riti, piena d’amore per la natura e le persone.
La tradizione è un fluire d’immagini e di pensieri ancestrali, che nascono da distante, dove ogni antenato porta un avanzo del suo passato.
Tutti gli africani sono una sommatoria dei tanti avi deceduti, morti ma non svaniti. Gli spiriti degli antichi si nascondono nella foresta, a volte sono visibili, forse si mostrano ai più vulnerabili. La giungla è piena; in un momento di guerra è gremita d’anime che vagano senza pace.
Spiriti e vivi dementi ed indemoniati si intrecciano e si confrontano.
Abani si diverte a spaventarci, gioca con gli spiriti e il lettore.
Il libro si trasforma in un soffio vitale, ricco di tensione e d’emozioni.
Con My Luck anche noi siamo scombussolati.
Il libro non appartiene solo ad una guerra specifica.
E’ un libro sulla guerra, un libro sulla devastazione morale e fisica dei bambini: dovrebbero essere costantemente protetti, anzi, ancora oggi sono le vittime più fragili degli abusi. Ma quello accaduto al bambino My Luck è ancora peggiore della morte, perché anche con la sua morte, il suo spirito vagherà nella foresta senza comprendere la motivazione di tanta crudeltà.
Abani trova l’opportunità di parlarci anche di amore, di amicizia, di poesia: i soldati bambini guardano le stelle in cielo e per un attimo riescono a sognare:
“… ogni notte il mio cielo è ancora gremito di stelle; una magnifica canzone per la notte.” (Pag. 69)
C’è perfino un tema religioso.
Il padre di My Luck da cristiano si converte all’islamismo, fino a diventare un Imam. Si trasferisce nelle regioni musulmane al nord della Nigeria. La moglie ed il figlio lo seguiranno, ma senza convertirsi. Per la famiglia, il risultato sarà essere disprezzati sia dai cristiani, sia dai musulmani.
Chiese, croci, simboli religiosi si concentrano nelle pagine. Non c’è un interrogativo, una discussione sulla guerra di religione. Abani si concentra sull’effetto della guerra. Lui sa già chi è il colpevole:
“Che razza di dio crea un mondo come questo?
«Non Dio» gesticolò Isaia, il nostro profeta. «L’uomo.»” (Pag. 129)
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