GraceLand
- Autore: Chris Abani
“Il problema della magia, ragazzo, è che non è mai priva di conseguenze.” (Pag. 95)
Chris Abani, scrittore della Nigeria, con la sua tecnica riesce a unire le varie filosofie del paese, le disparate etnie e le tante tradizioni. La sua fonte primaria è la Nigeria, nazione con oltre duecentocinquanta gruppi etnici, ognuno con il proprio orgoglio culturale e la sua interpretazione di spiritualità. L’unione di tanta diversità non è facile: la nazione ha subito conflitti, guerre, violenze e anche oggi, nel fragoroso silenzio e nell’indifferenza generale del mondo, la Nigeria è seviziata dalle bombe efferate dei terroristi islamici del Boko Haram contro le chiese cristiane.
In passato il momento più difficile e tragicamente famoso fu la dichiarazione di indipendenza della Repubblica del Biafra da parte del più importante gruppo etnico, gli igbo: il clan di Chris Abani.
Partendo da queste tematiche, lo scrittore ci descrive sempre delle storie fra il reale e il fantastico. Le sue accuse sono riportate con un linguaggio immaginario, fatato, con il tentativo di unire la modernizzazione del paese con le tradizioni secolari della sua storia.
Nel suo romanzo Canzone per la notte (Fanucci, 2010), lo scrittore ci raccontò la guerra civile del Biafra vista dagli occhi di un fantasma.
Precedente è GraceLand (Terre di Mezzo editore, marzo 2006), in cui c’è uno sforzo di combinare le eterogenee sfaccettature dei nigeriani, affrontando sia la quotidiana difficile sopravivenza, sia contemporaneamente il sovrannaturale mondo ancestrale.
I personaggi rappresentativi di queste due sfere, separate ma tendenti ad incontrarsi e a conoscersi sono Elvis e l’anziana nonna Oye.
Siamo nel 1983 nella baraccopoli Makoko di Lagos. Il quartiere è di una degradazione infernale, la gente vive in condizioni igieniche orribili, un baccanale di sporcizia e di feci; ecco la raffigurazione dello scrittore, uno degli esempi del suo stile:
“ […] una tettoia traballante di lamiera ondulata e fogli di plastica tenuti insieme dalla speranza.” (Pag. 8)
Ha unito la cruda realtà con il termine speranza, il mondo tangibile con l’illusione e la fantasia, in questo caso sul futuro.
Elvis ha sedici anni e abita con il padre dopo la morte della madre.
Il suo desiderio è ballare. Con delle piccole performance cerca di campare, racimolando qualche soldo. Si traveste da Elvis Presley (ecco l’origine del suo nome) raggiunge le spiagge confidando di trovare qualche turista.
Prima di trasferirsi nella capitale, Elvis viveva nella città di Afikpo, nell’attuale stato del Enugu, territorio conosciuto anni fa come Biafra. Poiché la guerra civile era finita nel 1970, lui era nato nel pieno del conflitto.
Il romanzo alterna un capitolo ambientato a Lagos a uno in cui Elvis era ragazzino a Afikpo.
Alla cultura influenzata dall’occidente di Elvis si contrappongono gli incantesimi della nonna Oye.
La vecchia ama il nipote ed è triste per la morte della figlia.
Lei con la sua tradizione è la centralità del racconto, lei è la parte antica dell’Africa, della Nigeria. Noi la possiamo solo intravedere, ma comprendiamo la sua ottima salute, non solo nelle campagne ma pure nelle città.
La nonna è una divinatrice, ha un forte potere magico, perfino i suoi nemici gli stanno distanti, timorosi della sua forza.
Scopre sempre tutte le bugie del nipote dette per racimolare dei soldi per andare al cinema.
Lei è la dominatrice della casa, è un’autentica donna e in un dialogo con la figlia mostra tutta il suo femminismo africano:
“Sì, figliola […] e ti faremo rinascere nella stessa stirpe.”
“Ma la prossima volta da maschio!”
“E perché mai? Sono creature così limitate.”
“Ma anche desiderate.” (Pag. 45)
Elvis si lascia coinvolgere nella vita del paese. Con l’amico Redemption si ritrova invischiato in lavori poco edificanti. A causa del suo comportamento deve affrontare uno scontro con l’effettivo potere della Nigeria: l’esercito. La Nigeria ha un record di colpi di stato, di rovesciamenti di governo. Elvis si troverà a fronteggiare uno degli ufficiali più crudeli e coinvolti nei loschi traffici: il colonnello. Simbolo dell’arroganza dell’esercito, dei militari, i quali con la forza riescono a intrecciare rapporti economici con i tanti interessi esterni.
Il colonnello è la metafora della prepotenza e della superbia dell’autorità, e i piccoli individui solo dei frammenti senza valore.
Il libro procede con una scrittura diretta, con brevi e brillanti dialoghi.
Sono tanti i temi ripresi con uno stile efficace e vivace, conciliando ironia e spietatezza del mondo circostante.
Nel tempo della storia Lagos era ancora la capitale. Un regno guidato attraverso squadriglie militari sugli oltre undici milioni di abitanti. Accanto a dei bei quartieri per ricchi e borghesi, si accalcano nelle periferie e negli slum milioni di persone.
Esistere a Lagos è impossibile e pericoloso:
“Caro mio, vivere a Lagos è un azzardo comunque, che si attraversi o no.” (Pag. 66)
È una città ricolma di gente specializzata in lavori indefinibili:
“Gli svuotacessi erano comprensibilmente aggressivi e di pessimo umore […]” (Pag. 74)
Oppure colma di ingiustizie sociali:
“Che anche se ci detestano, i ricchi sono comunque obbligati a vederci. Possono fare quel che gli pare, ma noi non ce ne andiamo.” (Pag. 151)
Oppure un divertente esempio di funzionamento del sistema sanitario:
“Una volta un giornalista americano si è sentito male allo Sheraton e ha chiamato l’ambulanza. Ma dall’ospedale gli hanno detto che doveva prenotare in anticipo, e la prima possibilità era il martedì successivo.” (Pag. 67)
Non c’è del vittimismo, anzi, c’è un profondo atto di denuncia nei confronti del popolo, addormentato dalla fame e, ogni volta, pronto a cambiare bandiera a secondo del vincitore, per poter raccogliere le briciole lanciategli pietosamente:
“Ci lamentiamo sempre perché non vogliamo essere governati da una dittatura militare, ma a ogni colpo di Stato usciamo per strada a cantare, a ballare e a festeggiare il nuovo despota che ha sostituito il precedente. Per quanto tempo possiamo ancora fingere di non essere responsabili?” (Pag. 170)
Le elezioni non sono un frutto della democrazia ma esclusivamente una specie di mensa:
“Va bene, Sunday, è tutto bello e giusto, ma mi dai i soldi che mi dà quell’altro candidato?” (Pag. 193)
Ma c’è anche consapevolezza di non trovare giustificazioni:
“Per quanto possiamo continuare a usare la scusa della povertà?” (Pag. 247)
La politica ritorna. La democrazia non è esportabile sempre e ovunque. Forse sarebbe meglio riprende i valori antichi, anziché copiare quelli già obsoleti degli occidentali, solo per accontentare ONU.
La tradizione è un valore unico per il popolo nigeriano, sicuramente meglio comprensibile delle forzature elettorali provenienti da occidente. Ecco la cultura politica degli igbo:
“Parlò delle antiche forme di governo che facevano pensare a regimi vagamente democratici, un po’ in odore di socialismo e basati su gerarchie di anziani […]” (Pag. 169)
Ora invece la democrazia dell’egoismo e della rapina prevalgono, mentre prima:
“[…] il bene del gruppo prevaleva su quello dell’individuo.” (Pag. 170)
In alcuni momenti lo scrittore è profondamente spietato e riferisce di episodi cruenti, in cui la poesia si trasforma in disincanto umano e la spietatezza si trasfigura in religiosità.
Alcuni di questi episodi.
Il ricordo della guerra ritorna come un incubo, vissuto totalmente in un episodio denso di materialità, di carnalità anche nel linguaggio. La crudeltà è entrata nelle persone, la guerra è entrata nella religione: “[…] in guerra c’è un solo Dio, il fucile. Una sola religione, il genocidio.” (Pag. 230)
La scena del linciaggio del presunto ladro nel mercato della città è cinematografica. Forse non è un ladro, forse è solo un creditore che cercava di incassare il suo dovuto. È coinvolto in una violenza inusuale. La gente del mercato gli si getta addosso bruciandolo vivo. La scena ha il ritmo di un film; è vista con l’occhio di Elvis: il presunto ladro è come un Gesù in croce nel suo calvario.
Appare un terrificante episodio, in cui Elvis si trova coinvolto: il traffico di organi di bambini per ricchi arabi.
In questa scena c’è la pietà per i bambini coinvolti, il macello degli organi contenuti in frigoriferi, la scoperta dell’ignobile commercio e la fuga. Prendendo consapevolezza siamo nella putrefazione degli esseri umani.
Ma c’è pure ironia, a volte cattiva sui vezzi dei nigeriani. Lo stile diventa divertente e sagace, come la scoperta del sesso dei ragazzini:
“Senza aver capito in che modo crescesse il pelo pubico, Obed aveva spellato la coda di uno scoiattolo e se l’era appiccicata, con la pelliccia rivolta verso l’esterno, per tutta la lunghezza del pene.” (Pag. 80)
Oppure, incredibile per il controsenso, un nigeriano non vuole trasferirsi in America, perché:
“Ho paura. L’America è così violenta […]” (Pag. 180)
Oppure gustose credenze popolari:
“… metodi anticoncezionali, il più popolare dei quali era scolarsi una bottiglia di limonata amara dopo aver fatto sesso.” “Ammazza lo sperma” (Pag. 71)
Ma è ancora l’incantesimo ancestrale a intrecciarsi nella storia.
Elvis dopo le sue avventure si riempie di dubbi. Si è macchiato di colpe, accettate nonostante la loro malvagità. Elvis non è un puro, anche lui è un cittadino di Lagos: “Tu sai come chiedere scusa, ma non come evitare di doverlo chiedere.” (Pag. 174)
Simbolicamente si troverà a scegliere fra il suo amico Redemption, perennemente coinvolto nel malaffare o “il Re degli Accattoni” Caesar Augustus Anyanwu con il suo spirito anarchico. Sarà il Re ha guidare la rivolta della baraccopoli contro la polizia, per impedire la distruzione delle loro laide case e soddisfare gli interessi di un’infame speculazione edilizia.
A suo fianco ci sarà anche Sunday, uomo di cultura e ex deputato. Amareggiato per la morte della moglie e per la sua solitudine, si consola chiacchierando con il fantasma della donna. Il rapporto con il figlio è caduto nel disgusto umano, Elvis fatica comprendere la violenza dialettica del genitore:
“Credi che sia così che avevo progettato di vivere? Via di qui, stupido ragazzino arrogante. Il giorno che parlerà con te sarà il giorno della mia morte. Vattene! Sparisci!” (Pag. 145)
oppure
“Lo sai perché ci sono tanti bambini deformi che chiedono l’elemosina? Perché i loro genitori sanno che non c’è futuro per loro. E allora, quando nascono, prima che possano sentire il dolore, li rendono deformi, così hanno più successo come mendicanti.” (Pag. 203)
Il romanzo possiede la forza interiore, grazie a uno stile emotivo e piacevole, come gli intercalari con le ricette del diario madre riportate in ogni capitolo, fino alla denuncia del Re degli Accattoni sull’attualissimo funzionamento degli aiuti della Banca mondiale:
“ … non ci sono ladri peggiori di quelli là della Banca mondiale. Adesso ti spiego come ci aiuta … ci concedono un prestito di dieci milioni di dollari per assicurare una fornitura di acqua potabile alle zone rurali: noi lo accettiamo, ed ecco cosa succede. Prima ci dicono che serve l’esperienza dei loro consulenti, quindi detraggono due milioni per i loro salari e le spese. Poi ci dicono che i consulenti hanno bisogno di equipaggiamento per il loro lavoro, roba tipo computer, jeep, ruspe, e poi gli alberghi, e così via. E così se ne vanno altri due milioni. Poi ci dicono che non possiamo comprare nuove trivelle per scavare i pozzi ma dobbiamo usare quelli che già abbiamo, e così servono due milioni per i pezzi di ricambio. Tutti questi soldi, sei milioni in tutto, di fatto non lasciano mai gli Stati Uniti. A questo punto utilizzano due milioni per il progetto, ma non bastano; allora lasciano perdere tutto quanto e i capi dell’esercito si intascano i due milioni che erano rimasti. Alla fine tu, io, e tutti questi poveri disgraziati, siamo in debito di dieci milioni con la Banca mondiale in cambio di niente.” (Pag. 306)
Graceland
Amazon.it: 10,41 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: GraceLand
Lascia il tuo commento