La Madonna della Catena
- Autore: Serafino Amabile Guastella
- Genere: Religioni
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Sellerio
La casa editrice Sellerio di Palermo ha pubblicato nel 1984 lo scritto di Serafino Amabile Guastella relativo alla leggenda sulla Beata Vergine della Catena, intitolato per l’appunto La Madonna della Catena, con tiratura di 300 esemplari numerati. L’autore l’aveva inviato da Modica, nel marzo del 1878, come dono di nozze all’amico Salomone Marino, antropologo dell’area palermitana, con Marietta Abbate, come “segno di schietta stima e di amicizia sincera”.
L’indagine non è storica sull’origine del culto (quando, come e perché giunse in Sicilia?), bensì di tipo osservativo-ambientale. Difatti, l’io-testimone si pone in ascolto per la raccolta di tradizioni popolari. Il luogo di riferimento è Modica (nota cittadina degli Iblei in provincia di Ragusa), dove nel quartiere Vignazza, il più antico forse della città, sorgeva la chiesa della Beata Vergine. L’autore precisa che la ricorrenza si tiene la terza domenica d’agosto e si svolge in tono minore rispetto alle altre feste patronali ricche di luminarie, di processioni, di fuochi d’artificio e altro. Una semplice novena precede il giorno dedicatole:
Il cappellano sbocconcella per nove giorni uno scampolino di predica, e poi […] confessioni e comunioni in buon dato, una messa solenne, l’altare parato a festa, e un centinaio di candele.
Poi precisa:
Però se il culto n’è povero, l’intimo sentimento è vivissimo, limitato, com’è quasi, esclusivamente alle donne, che l’invocano a santa ausiliatrice dei parti.
L’attenzione cade sui pochi quadri della santa: sono sgargianti e la Vergine col braccio destro tiene il bambino, mentre con la mano sinistra regge una catena spezzata. Riguardo al titolo conferitole, Guastella spiega:
Da principio il titolo della Catena servì probabilmente a significare il simbolo sensibile della Grazia, che viene in aiuto al peccatore per isciogliere i sozzi vincoli del peccato [...]; ma siccome a lungo andare le astrazioni si materializzano nel concetto del volgo, il simbolo morale andò a smarrirsi, e la Madonna venne ardentemente invocata ad infrangere le catene materiali dei condannati a morte, e sopratutto a liberare le incinte dal pericolo del parto lento e difficile […]. Il lettore non arricci il naso a vedere che la Madonna, nel concetto plebeo, sia quasi un quissimile di quei nostri Don Rodrighi, i quali sino a mezzo secolo fa si recavano a gloria a strappare dalle grinfe della Giustizia i ladri, gli assassini e i falsari.
Interessante la disquisizione sul fatalismo del popolo siciliano. Persuasione profonda del popolo è il destino unitamente alla giustificazione delle azioni commesse, e lo scrittore-demologo indica una serie di comportamenti corredati da proverbi che le giustificano:
Per qualsivoglia azione malvagia il popolino ha un proverbio, un apoftègma, un apologo, se non altro una frase, che valga a sminuire, o a compatire il delitto.
Diffusa è la convinzione che la “Giustizia sociale” sia a favore dei ricchi, i quali si avvalgono di insidie, di tranelli e di evidenti parzialità per accrescere i loro beni a danno dei piccoli possidenti. Da qui la massima “Si sa!, lu poviru nun ha uocci” (cioè non sa leggere). I ricchi si fanno la legge a loro modo (“la liggi i ricchi si la fannu a so’ muoru”), la forca è fatta per il povero (“la furca è fatta ppi lu poviru”).
Nelle “Parità” sarà riportata una parabola che evidenzia una salda convinzione: la Giustizia è a favore dei ricchi e sorda alle richieste dei poveri. Così recita:
Quando Gesù Cristo venne “ni stu munnazzu ri vai” portò con sé la Giustizia per mettere la concordia e “lluvari i sciarri n’è ggenti”. Ascoltava tutti: i poveri con l’orecchio sinistro e i ricchi con il destro. E lei stava in una torre di bronzo, chiusa da sette catenacci. Ma i diavoli, dopo aver congegnato una chiave d’oro per aprirli, si recarono dagli scribi e dai farisei dicendo loro di trasformare la giustizia nell’ingiustizia. Aperta la fortezza, conficcarono un chiodo nell’orecchio sinistro (quello del cuore). Da allora, la giustizia, diventata sorda, non poté più ascoltare le ragioni dei poveri e la diede sempre vinta ai ricchi, perché poteva soltanto ascoltare dall’orecchio destro (quello della mente).
Non essendo possibile trovare “carità” verso il popolo, l’intervento regolatrice e provvidenziale sia del destino che delle ingiustizie viene svolto dalla Madonna: anche i più facinorosi ne invocano il patrocinio, indossano lo scapolare, fanno offerte di messe e soccorrono i poveri. Non mancano le superstizioni delle donne incinte: per esempio le “donne impure” non devono assistere al parto, altrimenti il bambino
sdegnerà uscir dall’alvo materno, e la Madonna sarà sorda alle supplicazioni della devota.
Se il parto è difficoltoso, la catena argentea viene posata sul ventre della partoriente.
La devozione è dunque un miscuglio di paganesimo e di schietto culto cristiano, nonché di credenze arcaiche espresse in formule magiche, incomprensibili, ed altri riti, perché il nascituro venga protetto dalla terribile, misteriosa presenza delle “Padrone di casa”. Sicché, quando il neonato emette il primo vagito
la più anziana fra le assistenti colloca sul tavolino o sul coperchio della cassa nove fave nere, e le dispone a foggia di cuneo, borbottanto fra i denti
recitando alcuni versi di scongiuro.
Nelle note lo studioso precisa che l’uso di scacciare i Lemuri con un’offerta di fave è descritto da Ovidio nel V canto dei Fasti.
La leggenda è data da un componimento i cui versi dialogati in vernacolo esprimono la preghiera di una donna incinta che chiede la grazia: “Scatinati stu ‘nuzzenti”. Poiché l’opuscolo originario è introvabile, ecco alcuni passaggi significativi: la preghiera di una popolana rivota a Maria della Catena, “Matri Santa ri l’Urienti” (Madre santa dell’oriente, indicato così il luogo di provenienza dell’immagine), perché l’innocente che sta per nascere venga scatenato:
C’è na crièsia cummicina
ri maria ri la Catìna.
e ci jia ‘na parturienti,
a la missa si nni jia;
cci dicia ddivotamenti,
mentri l’ostia si spincia:
Matri Santa ri l’Urienti,
scatinati stu ‘nnuzzenti;
cristalèsiu, Patinnuostru,
nun è miu, chè figgiu vuostru!
La casa è povera, vuota: mancano le fasce e la culla del nascituro; mentre la donna sistema il suo letto, le appare una Signora che, venuta in compagnia della Santa Trinità, le dice di non dubitare, giacché porterà lei l’occorrente:
Ma vacanti è la so’ casa,
nun c’è fasci, e mancu naca;
e ci veni lu rispiettu
mentri conza lu so liettu.
‘Na Signura ci cumpari:
rapi, figgia, ‘un dubitari,
ca ti puortu cutri e fasci
ppi lu rrerì (“figlio”)
ca ti nasci
La Signora poi va via e le manda lo sposo, al quale la moglie confida l’evento miracoloso:
La Signura si n’annau
e lu spusu ci mannau:
sti sciannàchi (“collane”) sti fasciuna,
cu ti retti, spusa mia?
Mi l’ha ddatu ‘na Signura,
quom ’un suli stralucia
Ben presto va battezzato il neonato, ché sarebbe vissuto tre giorni. E chiede di essere sepolto ai piedi della Madonna.
Prestu, prestu mi vattiati,
ca tri ggiorna aiua a campari:
a li pieri ri Maria,
pui m’aviti a burricàri (“seppellire”)
Nel giorno del battesimo riappare la Signora che fa da comare. Chiede la madre del bimbo una “‘Paggiata”, (la fiamma che si ottiene accendendo qualche fascio di paglia, in segno di purificazione); un’ora dopo di essere stato battezzato, il piccolo, cui è dato il nome di Mariano, muore tra le braccia di Maria. E recitiamo, dice la voce poetante, una Salve Regina con fervore a Maria della Catena.
Lu vuttiau cu li so manu,
e cci misi Marianu;
‘N’una duppu pui muria,
ni li vrazza ri Maria.
E ricitamu na sarvirrigina,
ccu fervuri a Maria ri la Catina.
Si potrebbe dire che lo scritto è un documento che col piglio illuministico ricostruisce i costumi del suo tempo, facendo emergere ogni forma di superstizione, di riti magici, di devozioni deviate di cui i condannati e i malfamati si servivano per ottenere favori dalla Beata Vergine della Catena. Resta però il riconoscimento di una genuina religiosità che si registra nella poesia, elaborata da poeti colti e rivisitata dal popolo facendola propria col suo modo di essere e di sentire.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La Madonna della Catena
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