Il 21 luglio 2001 si spegneva a Genova Carlo Bo, grande intellettuale e critico del nostro Novecento letterario. Fu docente e poi rettore, per oltre cinquant’anni dell’università di Urbino, che ora è a lui intitolata.
Nel 1951 fondò la Scuola per interpreti e traduttori (nota con il nome di SSML Carlo Bo) e nel 1968 l’università IULM (Libera Università di Lingue e Comunicazione, Ndr); oggi è ricordato per il suo ruolo di valido promotore della cultura italiana, ma Carlo Bo fu anche un letterato, oltre che un eminente intellettuale. La sua essenza è custodita nella vasta biblioteca, vera e propria culla del suo pensiero, dove ancora oggi i suoi libri, esposti come oggetti da collezione, ci parlano narrandoci di un’epoca ormai scomparsa. Tra i volumi conservati nella prestigiosa biblioteca troviamo le dediche dei più importanti scrittori del nostro Novecento, tra cui figurano Volponi, Fortini e Pasolini. Quest’ultimo sul frontespizio della prima edizione de La meglio gioventù: poesie friulane (Sansoni, 1954) scrisse:
A Carlo Bo, il suo affezionato (anche se non corrisposto).
Tutti gli autori bramavano (e un po’ temevano) di essere letti da lui, il più autorevole critico letterario del nostro Novecento. Qual era il suo segreto? Senza dubbio la fine intelligenza critica ed emozionale, la passione e una cultura bibliografica vastissima fecero di Carlo Bo un autentico monumento vivente alla letteratura, sino alla sua morte.
Ripercorriamone la vita e, soprattutto, l’inestinguibile passione per libri.
Carlo Bo: la vita sulla strada della letteratura
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Era ligure di origine. Nacque a Sestri Levante nel gennaio del 1911. Compì gli studi superiori a Genova presso i Gesuiti e qui si verificò la prima coincidenza di una vita interamente votata alla letteratura: ebbe come insegnante il poeta Camillo Sbarbaro, amico di Montale che lo definì “il poeta delle piccole cose”.
Nel 1929 Bo si trasferì a Firenze per frequentare la facoltà di Lettere e, nella città culla del Rinascimento italiano, iniziò la sua carriera di critico militante collaborando per diverse riviste tra cui ricordiamo Frontespizio, Letteratura e Campo di Marte.
Nel 1938, a soli ventisette anni, Carlo Bo aveva già pubblicato il suo libro più importante La letteratura come vita in cui definiva la poetica dell’ermetismo e, al contempo, gettava le basi della sua luminosa carriera di critico letterario.
In quelle pagine troviamo la definizione più completa di quella che per Bo era l’idea di letteratura:
La letteratura è una strada, e forse la strada più completa, per la conoscenza di noi stessi, per la vita della nostra coscienza.
Concepiva la letteratura come uno strumento di ricerca e quindi - scriveva - “di verità”. In una pagina del suo diario giungerà a dire che, ad un certo punto, per lui letteratura e vita coincidono.
Durante la Seconda guerra mondiale la sua posizione si mantenne apertamente antifascista; fuggì dalla città rifugiandosi dapprima nella sua Sestri Levante, poi in alcune località lombarde, tra cui Valbrona sul Lago di Como. Non era solo, con lui c’era la scrittrice Marise Ferro, all’epoca ancora sposata con Guido Piovene, si sarebbero uniti in matrimonio solamente nel 1963.
In questi anni difficili Carlo Bo utilizzò la letteratura come arma di resistenza: rischiava la pelle anziché stando sul fronte traducendo gli scritti Federico Garcia Lorca (che contribuì a far scoprire ed apprezzare in Italia) e Gustave Mallarmé. La sua posizione politica non gli impediva, tuttavia, di apprezzare l’originalità di Louis-Ferdinand Celine, malgrado lo scrittore avesse aderito al governo filonazista di Pètain, né la poetica di Gabriele d’Annunzio.
A guerra conclusa, Bo tornerà a Urbino per dedicarsi all’insegnamento universitario. Nel 1947 sarà nominato rettore dell’Università, carica che avrebbe mantenuto per cinquantatré anni, sino alla morte avvenuta nel 2001. Avrebbe trasformato Urbino in uno dei poli universitari più celebri e amati di tutta Italia.
Carlo Bo e l’attività di critico letterario
Per tutta la vita Carlo Bo coltivò la sua strenua passione per la letteratura. Oltre a dedicarsi all’insegnamento, che per lui era una vocazione ma anche una maniera per guadagnarsi il pane, il professore continuò a impegnarsi nella traduzione e nella critica letteraria. Tra i numerosi saggi da lui pubblicati ricordiamo L’eredità di Leopardi (1964); La religione di Serra (1967); Don Mazzolari e altri preti (1979); Lo stile di Maritain (1984); Solitudine e carità (1985), oltre agli articoli pubblicati sui maggiori quotidiani quali il Corriere della Sera e L’Europeo.
Si occupava soprattutto di letteratura di lingua ispanica e francese (amava Mallarmé, Mauriac e Garcia Lorca), ma tenne sempre un occhio ben aperto anche sulla letteratura italiana contemporanea - fatto che faceva impazzire gli scrittori pronti a mettersi in fila per ricevere la sua approvazione. Era severo, nel 1958 durante un’intervista Rai dichiarò sornione, mentre con una mano accarezzava il dorso del suo gatto siamese:
Per ora salverei la prosa di Pavese.
Diciamo che ci aveva visto giusto; aveva intuito ciò che sarebbe diventato un classico, in tempi ancora non sospetti.
Più controverso era invece il suo rapporto con Pier Paolo Pasolini , la dedica un poco canzonatoria scritta dal poeta sulla sua prima raccolta ce ne dà un indizio. Non era tuttavia un rapporto conflittuale, piuttosto complementare. Carlo Bo, conosciuto per essere il critico cattolico, non esitò a difendere l’intellettuale friulano nel corso del processo al suo Ragazzi di vita avvenuto nel 1955. In tribunale Bo testimoniò a favore di Pasolini, dando un’importante prova della sua lucidità morale:
Il libro ha un grande valore religioso perché spinge alla pietà verso i poveri e diseredati. Non ho trovato alcunché di osceno nel romanzo.
Sarà sempre Carlo Bo dopo la morte di Pasolini, il 2 novembre del 1975, a pubblicare un lungo articolo sulla rivista La nuova antologia intitolato La voce di Pasolini. Nella conclusione il Rettore scriveva che Pier Paolo Pasolini era stato “un innovatore” e concludeva:
oggi possiamo dire soltanto che la sua vita non è stata mai un giuoco e che una morte ha dato un altro spessore al suo discorso poetico.
Ci aveva visto lungo ancora una volta. Del resto lui per primo ci aveva indicato, una volta per tutte, dove cercare la verità: nei libri, che non mentono mai, nella letteratura che è la più bella metafora della vita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Carlo Bo: vita e opere del maggior critico del Novecento
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