Secondo la tradizione le Muse erano nove sorelle e abitavano su un monte della Grecia, l’Elicona, non distante dalle case e dalle città degli uomini.
Figlie di Zeus e di Mnemosine, la Dea Memoria, avevano ereditato dai cromosomi degli augusti genitori il potere dell’immortalità e la facoltà di ricordare ogni cosa.
La loro memoria prodigiosa consentiva loro di ricordare il passato remoto. Stando a quanto riporta Omero, le muse sapevano il numero esatto di granelli di sabbia da cui erano composte le spiagge di Troia e il nome di tutti i guerrieri, dai più ai meno valorosi, che su quelle spiagge misero in gioco la vita e l’onore.
Inoltre erano munite di preveggenza, ossia sapevano anticipare gli eventi futuri. Ciascuna delle nove sorelle, in virtù della propria origine, era oltretutto dotata di un talento straordinario e peculiare.
Conviene dunque passarle in rassegna, ricordando (a proposito di memoria) il nome di ciascuna, osservandone il profilo come se guardassimo la foto di un gruppo di famiglia, un po’ scolorita dal tempo, ma ancora capace di suscitare agnizioni.
Chi erano le Muse?
Vediamo innanzitutto Clio, che regge tra le mani un libro aperto: è infatti la Musa della Storia, colei che ha ispirato i racconti di fatti ed eventi degni di essere ricordati . Accanto a lei Thalia ostenta una maschera grottesca , e in quel ghigno deforme riconosciamo trame di commedie dall’intreccio complesso ma destinate a un finale lieto e pacificante.
È il turno ora di Erato, Musa della geometria che per gli antichi era un’arte anziché una disciplina eminentemente scientifica; come del resto l’astronomia cui sovraintendeva Urania, “la Celeste”, esperta della carta del cielo.
E ancora, ecco comparire Euterpe, effigiata mentre suona la lira, emblema del canto lirico, che nasce dalle corde più intime del cuore e del sentimento; e Polimnia, “colei che conosce tutti gli inni”, Musa della poesia sacra, seguita da Melpomene, Musa della Tragedìa e da Tersicore, esperta della danza, della musica, e del bel canto.
E per finire, Calliope; a lei, che era la Musa dell’epica, Omero e gli altri aedi rivolgevano le loro preghiere solenni, affinché li aiutasse a rievocare le imprese dei grandi eroi del mito.
Che cosa rendeva le Muse così importanti nella religione e nel sentimento degli antichi greci? Quali le ragioni del loro fascino e della loro sacralità?
Innanzitutto la loro immortalità e divinità, che non restava impervia e inaccessibile agli umani, in una dimensione altra, ma convitava gli uomini a goderne e farne parte come fosse un banchetto condiviso in armonia e amicizia.
La divinità delle Muse è aperta e continuamente proiettata in una dimensione umana (tutto il contrario di ciò che dirà degli dei il poeta contemporaneo Renè Char in un suo aforisma), fondata sulla generosità e la condivisione, al punto di trasfondere i loro talenti nell’ingegno degli umani; non tutti, s’intende, ma in coloro che, dotati di sensibilità e acume, sappiano percepire e dare forma di visione all’invisibile e all’inspiegabile.
Del resto, per i greci, ogni sentimento religioso e artistico della realtà era effetto di una mania, un invasamento provocato dal divino che rendeva alcuni uomini sognatori e folli, filosofi e poeti.
Qual era il compito delle Muse?
Le Muse pertanto condividevano la loro immortalità con gli umani, donando loro i frammenti della loro memoria e dei loro talenti, affinché questi potessero trasformarli nel prodotto di un’opera umana, illuminata dallo splendore divino, destinata pertanto a durare nel tempo e oltre il tempo, proprio come loro.
Ciò avveniva mediante l’ispirazione: parola tra le più usate ed abusate, fraintesa e banalizzata, forse in virtù della sua etimologia talmente elementare da essere usualmente fraintesa e travisata.
“Ispirazione” infatti deriva da “inspirare” e richiama essenzialmente l’atto vitale di attrarre l’aria nell’apparato respiratorio. Ecco tutto.
E le Muse facevano proprio questo: trasmettevano con il loro respiro la memoria e la conoscenza ai poeti, ai musici, ai cantori che, alimentandosi di questa essenziale energia, davano vita alla loro creatività, producendo opere sontuose e degne di memoria, che tramandavano nel tempo il loro nome e quello di un’intera civiltà.
Ecco dunque spiegato il valore sacrale delle Muse e il loro inalienabile prestigio: le Muse sono essenziali alla vita umana, come l’aria, come il respiro.
Senza di loro non ci sarebbe né vita, né civiltà, né storia, che cominciano e durano, come l’esistenza di ogni organismo vivente, con un soffio, un respiro, un verso, un vagito.
Poi c’è la questione della Bellezza. Valore assoluto, imprescindibile della civiltà greca antica, forse non pienamente comprensibile per noi moderni che della Bellezza abbiamo fatto piuttosto un feticcio, vuoto simulacro di tutte le apparenze che ci ostiniamo ad esibire. Per i Greci la Bellezza coincideva con la Verità, con il valore più alto della vita stessa, tanto che Omero nell’Iliade identifica la causa della tremenda guerra tra troiani e greci proprio nella bellezza devastante di una donna, Elena, che causa l’amore del principe Paride e di conseguenza la rabbia e la cieca vendetta del marito Menelao. E guerra sia!
Insomma, i greci per la Bellezza scatenavano guerre decennali, ed erano disposti a morire per essa o ad uccidere, come ci ricorda Albert Camus.
E non sorprende, giacché per i greci essa era il mezzo per raggiungere e conoscere le verità più profonde.
Non solo la donna, ma un passo di danza perfettamente eseguito; un verso finemente cesellato; una prodezza atletica; un gesto eroico in battaglia, ogni cosa degna di essere celebrata e cantata parlava di Bellezza e dunque di Verità.
L’insegnamento delle Muse
Le Muse, attraverso la Bellezza, ispiravano negli uomini il giusto sentire e li conducevano sulla soglia di un’iniziazione solenne e fatale, connettendo il mondo umano, imperfetto ma avido di desiderio di conoscenza, al mondo perfetto ed assoluto degli dei, avvolgendoli nella stessa luce di eternità.
Prendiamo Omero: secondo la leggenda era un cieco, menomato di una facoltà primaria, e purtuttavia rivolgendosi in preghiera alla Musa Calliope, diventa un aedo, deputato a cantare vicende ed esperienze terrene e sublimi.
Omero, pur non vedendo, sentiva il respiro e la voce delle Muse e attraverso il loro fiato, convertiva la sua cecità in una forma diversa e superiore di visione, da cui scaturisce la poesia, e le narrazioni inestimabili di guerre, viaggi, avventure giunte intatte fino a noi.
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La questione omerica: chi era davvero Omero?
Omero, volgendosi in ascolto delle Muse, percependone il sacro, la Verità, il numinoso, arricchisce la sua voce umana di un ingrediente “divino”.
Accettando di modulare la propria voce con quella degli dei, il poeta si fa medium e interprete di una sapienza più alta, di un patrimonio memoriale in cui consiste non solo l’arte del racconto, ma l’essenza stessa di una civiltà, dei suoi valori e insegnamenti che consustanziano la vita umana, determinandone il senso più profondo e sacrale.
Ecco dunque che l’Iliade comincia non subito con il racconto delle gesta di Ettore e Achille, ma con un’accorata preghiera alla Musa, nei versi proemiali che un tempo a scuola giustamente ci dicevano di imparare a memoria:
Cantami, o Diva, del pelide Achille
l’ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei
Questa invocazione diventa ben presto una consuetudine e una legge, che gli altri poeti nel corso del tempo e delle poche continueranno a formulare, con parole diverse ma con lo stesso spirito e intendimento, con timore e devozione, una formula. a suo modo magica. Narrami o musa, per evocare la radice sacra della poesia, e della vita umana, per alimentarne il respiro che continua a ispirarci, restare vivi.
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