Confidenze di Hitler
- Autore: Hermann Rauschning
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
Avendo aderito al nazismo da prima che esso prendesse il potere in Germania, lo scrittore Hermann Rauschning (1887-1982) poté conoscere di persona Adolf Hitler e le principali figure del nazionalsocialismo. Tuttavia fu presto deluso dal movimento, divenne un dissidente e l’odio per i suoi ex sodali lo spinse a pubblicare un testo di denuncia sulla malvagità del führer: Confidenze di Hitler (1939), apparso clandestinamente in Italia nell’agosto del 1944. Esattamente trent’anni dopo, nel 1974, la casa editrice padovana Erredici ha realizzato una ristampa anastatica di quella mitica versione bellica, corredata anche dalla riproduzione della sovraccoperta delle Avventure di Pinocchio con cui, per passare inosservato, il libro circolò originariamente.
Le vicende dell’edizione italiana impreziosiscono il volume, arricchendolo di una storia in più: quella della resistenza armata e intellettuale al fascismo nel Veneto. Lo scritto di Rauschning riporta dei discorsi inediti che Hitler tenne privatamente ai suoi collaboratori, attaccando così il dittatore rivelandone il volto sleale: oltre che un pozzo di violenza senza fondo, il mostro era anche uno spietato calcolatore pronto a mentire anche ai suoi seguaci, tacendo a essi parte dei suoi fini.
È da premettere che queste memorie vanno prese con le pinze, l’ex nazista potrebbe aver travisato varie confessioni di Hitler e inventato alcuni passaggi, ma il documento che ha prodotto merita di essere letto e studiato. Tra le pagine del grosso pamphlet si trovano tutti i pettegolezzi che circondano la guida del terzo reich: il leader era isterico, misogino, astemio, vegetariano, superstizioso e incapace di dialogare con i suoi interlocutori, li sommergeva invece con lunghe e rabbiose filippiche che li costringevano al silenzio.
A giudizio dell’autore, Hitler non fu mai mosso dal desiderio di riscattare la Germania, ma sorse piuttosto come un inquietante cavaliere dell’apocalisse che rischiava di insanguinare il mondo intero. Fanatico della guerra di annientamento, il politico invocava continuamente un conflitto di massa, meditava sull’utilizzo di armi batteriologiche e in caso di sconfitta auspicava una strenua lotta che avrebbe dovuto protrarsi sino alla morte dell’ultimo tedesco. Nei piani del criminale, i nazisti avrebbero dovuto attaccare i loro nemici solo dopo averli indeboliti con tattiche non convenzionali: il führer disprezzava gli “stati storici” e multiculturali, fondati dalle dinastie europee, aveva approfondito attentamente la “dottrina delle rivoluzioni” come tecnica di guerra e considerava il razzismo come il prodotto finale della rivoluzione nata con l’idea dello stato nazionale. Non trascurava però il fronte interno, cercando di tenere unite le correnti rivoluzionarie e conservatrici che vedevano in lui una speranza per l’avvenire. L’aristocrazia credeva addirittura che Hitler avrebbe potuto restaurare la monarchia, in ragione soprattutto della vicinanza che gli mostravano Augusto-Guglielmo di Prussia (1887-1949) e suo fratello minore Oscar (1888-1958). Interessanti sono alcuni paragrafi riguardanti il rapporto dei nazisti con la Russia e il comunismo, entità che – al di là dell’antislavismo dei nazionalisti tedeschi – affascinarono più di qualche personaggio di primo piano. Riguardo l’Italia, è testimoniato che Hitler avrebbe sempre irriso il (falso) corporativismo di Mussolini, nonché rifiutato l’assetto corporativista in generale.
Secondo Rauschning, Mein Kampf sarebbe soltanto un mezzo specchietto per le allodole, che non esplica gli obiettivi definitivi del nazionalsocialismo: Hitler, in realtà, non avrebbe mai rinunciato al colonialismo su scala globale, mirava ad assoggettare il mondo intero e inoltre prevedeva di distruggere anche l’Inghilterra, per quanto la considerasse una nazione germanica. L’impero degli ariani avrebbe dovuto durare almeno mille anni e non avrebbe avuto nulla in comune con la “Paneuropa pacifista” di cui aveva parlato il conte Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi (1894-1972) ne Il manifesto europeo (aprile 1924).
Elemento fondamentale dei piani di Hitler era la cancellazione totale del Cristianesimo. Egli fu notoriamente ateo e usò la religione in maniera strumentale: gli “orpelli della mitologia nordica” e la diffusione di film blasfemi erano esclusivamente uno strumento per allontanare il popolo dalla Chiesa, una forza che ancora si opponeva al monopolio ideologico imposto dal governo. Il neopaganesimo promosso dallo statista gli permetteva – ingannando i semplici – di fingersi più “tradizionalista” dei cristiani, scardinando le basi della vera cultura tradizionale per irrobustire la cieca adesione delle masse al totalitarismo, assolutizzando ulteriormente il suo potere. Gli dei antichi e i pagani sconfitti da Carlo Magno dovevano essere presentati alla gente come vittime, ed esempi di cui “riappropriarsi”, ma solo per abbattere ogni legame comunitario indipendente dall’ideologia dominante. Paradossalmente, viene da osservare che questa strategia pseudo-culturale non è poi molto diversa da quelle adottate da molti progressisti europei per screditare il Cattolicesimo.
Ma allora chi era la divinità che Hitler invocava nei suoi discorsi? Rauschning spiega che quel dio è la statua dell’uomo:
“L’Uomo-Dio che si innalza come un’opera d’arte nei templi dell’ordine. [Per Hitler] Dio è Hitler stesso”.
Le Confidenze sono una lettura consigliata, che può aiutare a meditare sugli sviluppi della seconda guerra mondiale, ma il volume va affrontato con spirito critico e con la consapevolezza della sua non totale affidabilità.
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