Cos’è la satira? Oggi è un genere diffuso attraverso vignette e meme divenuti virali sui social, ma la sua origine risale alla letteratura latina. Associamo, erroneamente, la satira al genere comico, ma in realtà ha un preciso intento moralizzante e, alla sua nascita, era considerata uno stile letterario.
Il termine “satira” deriva da Satura Lanx che indicava un piatto misto della cucina antica, spesso donato agli Dei come offerta votiva. “Satur”, in latino, significa pieno, ma anche “vario”, “misto”. La pluralità variegata degli argomenti trattati è, in effetti, ciò che caratterizza da sempre la satira che, come un’insalata mista, mescola al suo interno vari temi: critica sociale, usi e costumi, politica, economia, religione, privato e pubblico.
Possiamo ricondurre l’origine della satira già all’antica Grecia con le commedie di Aristofane che rispondevano proprio a quell’esigenza di ridicolizzare e togliere dal proprio piedistallo le figure di spicco della società ateniese. Nasceva così una forma di ironia arguta, talvolta sottile, talvolta feroce, che permetteva di mettere meglio a fuoco l’attualità e il discorso pubblico. Lo stesso Platone consigliò di leggere Aristofane a chi volesse approfondire i problemi della società e cultura ateniese: non un politico né uno storico, ma un commediografo. La scelta di Platone ci fa riflettere, ancora oggi, sulla funzione della satira che non è cambiata nei secoli, sebbene si sia sviluppata in altre forme, non solo letterarie.
Scopriamo la storia del genere letterario forse più incompreso che trova un interessante sostenitore proprio nel poeta del pessimismo cosmico: Leopardi.
Satira: origine latina
Satura tota nostra est, affermava Quintiliano nell’Institutio Oratoria, rivendicando la paternità romana della satira e la sua totale indipendenza rispetto alla letteratura greca.
L’origine vera e propria della satira - sia nell’etimologia del termine che nel fatto pratico - può essere ricondotta alla letteratura latina, in particolare a Lucilio, considerato il primo autore satirico nel pieno senso del termine.
Gli sviluppi iniziali del genere satirico, attorno al III-II secolo a.C., si possono rintracciare già in Ennio, il primo poeta latino a scrivere versi in esametri, che affrontò una grande varietà di argomenti nei suoi scritti praticando anche la satira come genere minore. La satira di Ennio non era polemica né canzonatoria, ma spesso si imperniava su degli exempla moralistici e aveva un intento puramente etico.
L’emancipazione e il perfezionamento della satira in quanto genere a sé stante si possono ricondurre a Lucilio che, a partire dall’invettiva Ad Personam, si dedicò esclusivamente a questo genere. Orazio definì Lucilio come il fondatore della satira, poiché il poeta trasformato l’esametro - il verso per eccellenza dell’epica - nel metro ritmico della satira che si nutriva di provocazione ironica, unita a un tono colloquiale e a un argomento popolare. L’uso del termine satura risale proprio a Orazio che definì con queste parole la forma letteraria inaugurata da Lucilio, giudicandola tuttavia poco colta ed elegante se confrontata con altri generi letterari. Nella sua produzione Orazio avrebbe ripreso gli stilemi della satira luciliana riportandola però a una forma più gradevole, forbita, contaminandola con la commedia attica e rendendola letterariamente più elevata.
Lucilio: l’inventor della satira
Lucilio dunque è considerato l’inventor della satira, perché fu il primo autore a donare al genere letterario le caratteristiche più polemiche e trasgressive che le sono proprie. Negli scritti di Gaio Lucilio, che apparteneva a una famiglia di ordine equestre dell’alta aristocrazia, la satira prendeva la forma dissacrante e mordace di una nuova consapevolezza sugli uomini e la società. È lui a conferire alla satira la sua facies definitiva, introducendo negli scritti la soggettività dell’autore e un certo carattere aggressivo nelle composizioni satiriche. La satira di Lucilio si traduce nel desiderio di sferrare attacchi ad personam verso coloro che solo meritano: il poeta non ha più timore di dire, è combattivo, polemico. Ci sono pervenuti soltanto frammenti dell’opera di Lucilio, tuttavia in essi è possibile rintracciare alcune delle tematiche chiave dell’autore latino: ritorna spesso il tema del cibo utilizzato per criticare la sontuosità eccessiva dei banchetti e il lusso sfrenato dei nobili romani. Una delle satire più sferzanti di Lucilio è un’invettiva rivolta contro l’aristocratico Lucio Cornelio Lentulo Lupo, un esponente politico di rilievo morto da poco, pare proprio per un male allo stomaco. Nel componimento l’autore critica la rapacità e la voracità di Lupo, giungendo a definirlo un vulturius: un avvoltoio, un predatore. Lucilio immagina Lucio Cornelio punito dagli Dei per la sua avidità: anziché trascinarlo dinnanzi al giudizio del concilio divino, lo porta in una banchetto sontuoso dove Lupo è chiamato a rimpinzarsi di ogni genere di cibaria. Così, senza che se ne accorga, la cancrena del cibo che inghiotte lo corrode dall’interno provocandogli il male allo stomaco: una sorta di pena per contrappasso. Nel descrivere la morte del poveretto, suicida per ingordigia, il poeta utilizza giochi di parole giudicati divertenti all’epoca: ad esempio Lupo è portato a ingozzarsi di acarna, pesce persico, che in latino era proprio chiamato lupus, così era come se l’avido ghiottone mangiasse sé stesso.
La satira di Lucilio, dunque, era spesso aggressiva, violenta, a tratti persino macabra, non aveva pietà per nessuno, neppure per un cadavere ancora fresco nella tomba. L’intrattenimento satirico si univa a un carattere irriverente, quasi bellicoso, in cui l’attacco personale, diretto, non è mai mite né edulcorato. I versi di Lucilio tuttavia avevano un preciso intento educativo, si schieravano contro la corruzione dei costumi e il vizio che corrodeva dall’interno la società.
La satira di Giovenale
Avremo l’ultima e più alta espressione del genere satirico nella letteratura latina con un altro grande autore, Giovenale, che tra il 100 e il 127 a.C., avrebbe scritto diverse satire di lunghezza diversa componendo in totale cinque libri.
La satira di Giovenale si schiera sempre contro la corruzione dei costumi, i vizi e le perversioni umane, tuttavia eleva lo stile rispetto all’opera di Lucilio. Inoltre, Giovenale non si rivolge solo contro l’aristocrazia, ma include nella propria invettiva tutte le classi sociali, anche il commerciante, il parvenu e il cittadino comune. La sua protesta attacca anche l’ipocrisia dei filosofi, la corruzione dei politici, il malcostume delle donne e alcune situazioni del vivere quotidiano come l’educazione dei figli. Giovenale prediligeva l’indignatio , sua unica Musa, l’atteggiamento iracondo con il quale si schierava contro la corruzione morale intesa in ogni sua forma.
Per questi motivi - e per il suo stile sublime - la satira di Giovenale avrebbe goduto di maggior successo presso i posteri, venendo imitata anche da Dante, Petrarca, Ariosto e Parini.
È interessante notare come anche Giovenale, proprio come Lucilio, non trascuri la gastronomia tra gli argomenti trattati: parla di corruzione morale, sessualità depravata, ipocrisia religiosa e anche di cibo. Il cibo era una linea di demarcazione netta tra ricchi e poveri: i nobili si ingozzavano di banchetti luculliani, mentre i poveri morivano di fame, potevano contare solo sugli avanzi. L’iniquità sociale era manifesta nell’immagine dei banchetti. Giovenale ribadisce spesso questo concetto, donando alla sua opera un’indignatio peculiare caratterizzata da una rabbia sottile, di difficile definizione, che potremmo tradurre come il “risentimento dell’affamato”.
Qual è lo scopo della satira?
Lo scopo della satira, sin dalla sua origine che possiamo rintracciare nell’Antica Grecia, era la riflessione morale. Era un genere letterario che si serviva dell’ironia e del riso per suscitare un pensiero critico negli ascoltatori. Mettendo alla berlina gli atteggiamenti dei ricchi o dei politici, trasformando in una caricatura il cittadino comune ed estremizzandone comportamenti e desideri, veniva fatta luce su una verità celata che, tradotta in termini dissacranti, diveniva evidente. C’era del marcio nella società e il modo migliore per renderlo evidente, per mostrare i paradossi e le ingiustizie della vita, era mostrarlo attraverso il riso. “Una risata vi seppellirà”, diceva Bakunin; in questa affermazione possiamo ricondurre l’origine della satira, nata come una presa di coscienza, una visione antagonista, una scintilla sovversiva che si proponeva di contestare il potere dominante.
La satira oggi e il caso Charlie Hebdo
Oggi la satira è ancora un genere in voga, sebbene non si limiti più soltanto all’ambito strettamente letterario: è più diffusa nella vignettistica, nella rappresentazione grafica o teatrale, si nutre più di visione e di interpretazione che di parole. Si tratta di una rappresentazione caricaturale della realtà che ha molto a che vedere con il diritto di critica e la libertà di espressione. Fare satira in maniera intelligente significa anzitutto denunciare atteggiamenti corrotti o meschini, oppure condannare le ingiustizie.
Negli ultimi anni la satira è tornata sotto i riflettori a causa delle vignette satiriche del settimanale francese Charlie Hebdo. Nel 2015 la redazione del giornale fu vittima di un attentato terroristico a causa di alcune vignette che raffiguravano - in toni ironici - Allah. In quel caso tutti si schierarono a favore della “libertà di espressione”. Un anno dopo, tuttavia, quando le vignette di Charlie Hebdo raffigurarono gli italiani coinvolti nel terremoto di Amatrice: le vittime schiacciate sotto strati di lasagne, ecco che la satira apparve - per stare in tema - indigesta e venne denunciata. Eppure, in fondo, sempre di libertà di espressione si trattava. Non fa più ridere, commentavano gli italiani indignati. Proprio qui stava l’errore, profondo, di compresione. Lo scopo della satira non far ridere, ma far indignare (cosa che a Charlie Hebdo è riuscita particolarmente bene) e soprattutto far riflettere. La satira deve suscitare una reazione nel lettore/ascoltatore, anche violenta. Attraverso il binomio ormai consolidato italiani-pasta, Hebdo denunciava la mafia e la corruzione italiana: le case in Italia le costruisce la mafia, fu la laconica risposta della redazione di fronte alle accuse. Tramite le sue vignette satiriche - quasi macabre - in cui il sugo delle lasagne si faceva allegoria del sangue delle vittime, Charlie Hebdo stava ponendo un problema, suscitando una riflessione: è questo che fa la satira, da sempre e per sempre, denuncia mettendo in ridicolo, ma non propone soluzioni.
La satira e il coraggio del riso in Leopardi
Non è scopo della satira proporre soluzioni né tantomeno far ridere, altrimenti si chiamerebbe “commedia”. A ben vedere anche la satira di Lucilio, nel II sec. a.C., poteva essere considerata di “cattivo gusto” in quanto spesso macabra, sanguinosa, virulenta, non temeva di irridere un uomo appena morto per una grave malattia. Però se quell’uomo era un nobile avido allora ci sta bene, se invece a cadere nell’obiettivo della satira sono le vittime, lo troviamo meno divertente. Più che la satira dovremmo rivalutare il nostro metro di giudizio: sin dalla sua origine il genere satirico rideva dell’umanità, dei suoi vizi, delle sue disfunzioni, dei suoi peccati. Una risata vi seppellirà, appunto, guardare obiettivamente la realtà, cogliervi il Male intrinseco, dovrebbe suscitare il pianto; invece gli autori satirici, sin dall’antichità, ci invitano ad avere il coraggio di ridere. Lo stesso Giacomo Leopardi definiva il riso nelle Operette morali come un “privilegio esclusivo dell’uomo” e si proponeva addirittura di scrivere una “storia del riso”. Leopardi aveva capito meglio di tutti che il riso era l’unico strumento con il quale fosse possibile rivelare l’“arido vero”. Ricordiamoci dunque, sopra ogni cosa, che siamo umani e, proprio in virtù di questo, unici tra tutti gli animali, abbiamo il privilegio di ridere.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Cos’è la satira? Origine e storia del più incompreso tra i generi letterari
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