Scoprire quali sono i migliori libri da leggere su Dostoevskij consente di apprezzare più facilmente un grande scrittore russo, un maestro della letteratura di tutti i tempi che ha influito su vasti settori della letteratura ma anche sul pensiero occidentale, al quale ha posto interrogativi e domande che sono state oggetto di una prolungata riflessione.
Capire quali sono i migliori libri da leggere su Dostoevskij è utile anche per sapere in quale opera vengono illustrati alcuni concetti e dove agiscono alcuni personaggi chiave: un imprescindibile punto di partenza per orientarsi nella complessità dei suoi scritti ma anche per inserire questo autore in un percorso di approfondimento, come una tesina redatta per l’esame di maturità o per un esame universitario.
Dostoevskij e il realismo russo
Prima di passare in rassegna le principali opere dello scrittore russo è opportuno ricordarne alcune coordinate fondamentali che ne consentono di comprendere i contenuti. Come I. S. Turgénev (1818-1883), N.A. Nekràsov (1821-1878), A. N. Ostròvskij (1823-1886), N. G. Černyševskij e molti altri, Fëdor Michajlovič Dostoevskij(Mosca, 11 novembre 1821 - San Pietroburgo, 9 febbraio 1881), appartiene a quella generazione di poeti, scrittori, intellettuali e giornalisti, che influenzati da V. G. Belinskij (1811-1848), incarnarono il realismo russo. Convinti che la letteratura dovesse esprimere la coscienza critica della società, realizzano romanzi e altre opere caratterizzate da uno stile semplice e da una profonda attenzione per la caratterizzazione, sia psicologica che sociologica dei personaggi; proprio per questo anche i dialoghi sono un elemento particolarmente curato: in essi si esprimono, si scontrano e si confrontano ideologie e concezioni morali diverse. Sforzandosi di includere e di mostrare in ogni loro romanzo tutti i gradi della scala sociale russa, cercano di rendere l’opera d’arte strumento della coscienza nazionale e mostrano grande umanità nei confronti di ciascun personaggio a prescindere dai suoi meriti, dalle sue qualità e dalle sue colpe.
Dostoevskij scrittore sociale e realista sui generis
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Il canone del realismo è fatto proprio da Dostoevskij che mostra, fin dalle sue prime prove letterarie, un interesse per gli ambienti sociali più umili.
I protagonisti di Povera gente (1844), Il sosia, Il signor Procharcin (1846), La padrona, Il ladro onesto (1847), Le notti bianche, Il cuore debole (1848) sono piccoli impiegati, prostitute, mendicanti, personaggi di un mondo al limite della miseria, che Dostoevskij indaga con sentita partecipazione e sincera pietà e verso il quale mostra un impegno quasi umanitario, animato da un desiderio di denuncia.
L’interesse per questo universo di umiliati, pur rimanendo costante, sarà, poi combinato agli stilemi del romanzo d’appendice, genere letterario di grande successo nel primo Ottocento, contrassegnato da intrighi, avventure, delitti, passioni intense, colpi di scena, tracolli economici e improvvise risalite nella scala sociale.
Influenzato da George Sand, Balzac, Dickens e Gògol’, Dostoevskij utilizzerà tutti gli elementi del romanzo d’appendice nei suoi maggiori capolavori – Delitto e castigo (1866), I demoni (1871), I fratelli Karamazov (1878-1880) – dove assumono un ruolo fondamentale anche l’omicidio, il furto, il suicidio, elementi, questi ultimi, che insieme alla suspense, di cui Dostoevskij è maestro, mettono in diretta relazione il romanzo d’appendice con il thriller novecentesco.
Da queste coordinate, ben comprendiamo come quello di Dostoevskij sia un realismo particolare: l’autore vuole stupire, scioccare il lettore, mostrandogli vicende travolgenti e passioni violente che sconvolgono e destabilizzano convenzioni e quotidianità.
Il realismo di Fëdor Michajlovič Dostoevskij è sui generis anche per la particolare modalità con cui tratta l’elemento del tempo. Sotto questo rispetto ci troviamo di fronte a un realismo fantastico dal momento che assistiamo a una dilatazione estrema dell’arco temporale: l’ansia di dire tutto al più presto porta lo scrittore a concentrare in una giornata avvenimenti numerosi e diversi, lunghe conversazioni e altrettanto lunghe riflessioni dei personaggi, cosicché alla fine, romanzi di una mole rilevante raccontano le vicende di tre o quattro intesissimi giorni.
A differenza dei suoi illustri contemporanei questo aspetto consente di comprendere come il criterio per la raffigurazione della realtà adottato da Dostoevskij tenda alla soggettività piuttosto che all’oggettività: lo scrittore, attraverso la voce narrante di una sorta di personaggio aggiuntivo, racconta soprattutto l’esperienza che vivono i suoi personaggi, le loro emozioni, le loro ansie, in definitiva il loro tempo.
La morale e il nichilismo
Nel 1849 Dostoevskij è accusato di cospirazione e viene condannato a quattro anni di lavori forzati e a sei anni di confino: è un decennio silente dal punto di vista artistico ma estremamente gravido di conseguenze perché offrirà a Dostoevskij l’occasione per numerose scoperte sulla natura umana. La prima è la consapevolezza che ogni intellettuale russo per produrre un reale progresso del sapere e dell’arte, avrebbe dovuto aderire al modo di sentire e di pensare del popolo e sviluppare una consonanza coi suoi antichissimi valori.
In sé stesso e nei suoi compagni di sventura, però, Dostoevskij potrebbe aver conosciuto o riconosciuto anche altri aspetti e temi, ben presenti nelle sue opere. Il primo di essi è uno spiccato interesse per la morbosità e la perversione sessuale, un’altra cifra del suo realismo, che, velatamente presente in Povera gente (1844) e in Memorie dal sottosuolo (1864) trova i suoi rappresentanti più turpi, cinici e violenti, nello Svidrigàjlov di Delitto e Castigo, nello Stavrògin dei “Demoni” e nel Fëdor Pàvlovič de I Fratelli Karamazov.
Oltre alla perversione e all’impossibilità di un amore coniugale maturo e pieno, è però il tema della libertà da ogni morale quello più denso di conseguenze etiche e più capace di affascinare illustri lettori di Dostoevskij, come Nietzsche. Se Dio è morto, se Dio non esiste allora tutto è lecito, tutto è permesso, afferma Ivan Karazamazov: è una consapevolezza che, alla luce del nichilismo e del materialismo che si stava rapidamente diffondendo anche in Russia, molti uomini percepivano nella loro interiorità; la tentazione suprema di scommettere sulla saldezza dei proprio nervi e andare contro i divieti imposti da qualsiasi legge morale, per commettere anche quelle azioni che la sua stessa coscienza riconosce come riprovevoli.
È un motivo già presente in Memorie del sottosuolo dove si configura come una semplice beffa ai danni di una prostituta, di cui però l’autore si compiace, mentre è compiutamente esplicitato in Delitto e Castigo, fino a diventarne l’asse portante. Raskòl’nikov, che distingue tra la massa degli uomini deboli, assoggettati a una legge morale e a un destino immutabile e gli uomini liberi che, avendo compreso la relatività di ogni morale, possono permettersi la disubbidienza, pone sé stesso alla prova e uccide una vecchia usuraia per capire se sarà davvero in grado di sopportarne le conseguenze e potrà davvero riconoscersi libero. Lo stesso atteggiamento, radicalizzato, lo troviamo in Stavrògin e Verchovènskij nei Demoni, anarchici che vivono nell’arbitrio più assoluto, come anche in Kirillov che, nello stesso romanzo, per dimostrare di essere un uomo superiore, si uccide, rifiutando il timore della morte. Anche negli esiti delle vicende di questi eroi negativi troviamo un tratto comune; ciascuno di essi è troppo debole per vivere senza legge morale, sebbene, fino alla fine, nessuno di loro abbandoni, riconoscendola come erronea, la convinzione di poterlo fare.
Il male, dunque, è più forte del bene, e scegliere il bene significa condannarsi a reprimere un impulso estremamente vivo, condannarsi a una lotta infinita e dolorosa. Questo aspetto è particolarmente evidente ne L’idiota (1869), il tentativo letterario di rappresentare un uomo assolutamente buono che, alla maggior parte degli altri non può che apparire come un uomo buffo e fuori luogo, un’idiota appunto. Il principe Myškin è dolce e sincero, amico dei bambini e dei deboli, aristocratico ma nullatenente, capace di far emergere in ciascuno il lato migliore del carattere. È un personaggio dai tratti evangelici, affascina chi lo circonda ma deve confrontarsi con uomini d’affari avidi e spietati e con aristocratici meschini; non sono però i suoi interlocutori a determinarne un destino tragico quanto piuttosto la sua bontà che lo blocca e lo paralizza impedendogli ogni azione e ogni decisione. Anche la sua storia d’amore naufraga: è un susseguirsi di indecisioni ed esitazioni che terminano con la morte della sua amata e lo conducono alla follia.
La crudeltà e la velenosità imputate dalla critica a Dostoevskij non sono fini a sé stesse quanto, piuttosto, espressioni di una ricerca che indaga la possibilità di credere e di praticare una morale positiva sufficientemente forte da contrastare quella negativa da cui, almeno alcuni uomini (i suoi personaggi) sono irresistibilmente attratti. Dostoevskij, in ciascuno dei suoi romanzi mette in atto un esperimento dove i suoi personaggi fungono da cavie: sono immessi in un mondo quanto mai simile a quello dello scrittore (il realismo) per verificare se saranno in grado di resistergli; la crudeltà di Dostoevskij, se così si può dire, consiste proprio nel non cedere alla speranza e quando l’autore sente che è sul punto di farlo la narrazione è interrotta di colpo.
I temi portanti di Dostoevskij confluiscono tutti ne I fratelli Karamazov, ultima e più complessa opera dello scrittore russo, sulla giovinezza di un uomo
“eccezionale (nel quale) può forse trovarsi il nocciolo dell’universale”.
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Quest’uomo è Alëša, un seminarista ventenne, figlio di Fëdor Pàvlovič Karamàzov un uomo perfido, avido e vizioso fino alla volgarità. Alëša è il figlio minore, nel romanzo compaiono e agiscono anche i fratelli, Dmitrij, un ufficiale impetuoso, Ivàn, un intellettuale di genio e Smerdjakòv, figlio illegittimo, che fa da domestico al padre. Nel corso della vicenda proprio quest’ultimo compirà materialmente l’assassinio del padre, l’odio per il genitore è però il minimo comun denominatore che unisce i quattro fratelli, nessuno ne è immune e Dmitrij che lo aveva chiaramente manifestato è arrestato.
La consapevolezza dell’odio diventa un rovello per Alëša che vive un’esperienza angosciosa mentre Ivàn, preso a indagare sulla morte del padre scoprirà che il vero colpevole è proprio lui: poco prima di impiccarsi Smerdjakov gli confessa, infatti, che mai avrebbe trovato il coraggio di agire senza le sue argomentazioni (sorrette dal tema della relatività di ogni morale e del “tutto è permesso”). Mentre Ivan cade in preda a una febbre cerebrale che lo conduce alla follia e lo porta a conversare addirittura col diavolo, Dmitrij, in seguito alla condanna, viva una sua purificazione.
Alëša, invece, trovandosi di fronte al crollo del suo mondo e della sua immagine, dopo la morte del suo mentore spirituale, è protagonista di un’esperienza che lo conduce a una superiore consapevolezza spirituale: trovandosi di fronte al cielo notturno, scopre la congiunzione di terra e cielo, mondo umano e infinito
Pareva che fili di tutti quegli innumerevoli mondi si fossero ricongiunti insieme nella sua anima, e l’anima era tutto un palpito a quel contatto con altri mondi. Egli voleva perdonare tutto e tutti, e chiedere perdono, oh, non per sé, ma per tutti e di tutto! (…) sentiva che gli entrava nell’anima qualcosa di certo e incrollabile come quella volta celeste. Un’idea pareva si stesse impadronendo del suo spirito, e ormai per tutta la vita e per tutta l’eternità. (…) ne ebbe coscienza proprio in quel momento di gioia.
La gioia panica che vive il protagonista è il punto di partenza per quell’esperimento di bene che Dostoevskij avrebbe voluto contrapporre alla morale del “tutto è permesso” se fosse riuscito a scrivere la sua opera definitiva di cui “I fratelli Karamazov” dovevano essere l’introduzione.
In quest’esperienza è possibile intravedere anche la risposta dostoevskijana – una scommessa della fede, di sapore kierkegaardiano – a quegl’interrogativi etici estremi che lo resero più famoso come maestro di morale che come scrittore e influirono profondamente sulla cultura europea letteraria e filosofica (Gide, Mann, Moravia, Nietzsche, Freud, ma anche il pensiero esistenzialista e la teologia ortodossa).
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Fëdor Dostoevskij: i migliori libri da leggere
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