

Canta tutta l’incertezza e lo spaesamento di un’adolescente di fronte all’amore questa poesia, intitolata Vento, che Antonia Pozzi ha scritto a soli diciassette anni, ancora acerba e fragile, come testimonia la sua esile figura, ritratta in tante fotografie che ce la mostrano in cammino sulle Grigne o spensierata in una valle delle Alpi.
Lei stessa amava molto la fotografia, l’arte dell’istante e dell’effimero, similmente alla sua poesia che, come in questa lirica, coglie sentimenti e situazioni esistenziali che affiorano alla parola a mo’ di bagliori provenienti da una sbozzata e sofferente interiorità.
Nel 1929 Antonia Pozzi frequenta già da due anni il liceo Manzoni di Milano, è un periodo di grande passione per lo studio, di profonda amicizia per le compagne Lucia Bozzi ed Elvira Gandini, a cui tiene come sorelle. Sono soprattutto gli anni in cui la sua esistenza è folgorata dalla figura di Antonio Maria Cervi, il professore di Greco e Latino che ammalia gli studenti con la sua grande passione per gli autori classici e che, pur esigente, si dedica a ciascuno di loro con un’attenzione speciale, regalandogli anche quei testi classici che diverranno i pilastri del loro sapere. La giovane Antonia prova grande ammirazione per questo maestro dalla cultura sterminata, talvolta scosso da una tristezza indelebile per la morte prematura del fratello Annunzio, caduto nella Grande Guerra, ma presto se ne innamora.
In quest’uomo dalla personalità generosa, già temprato dalla sorte che ha riservato più di una avversità alla sua famiglia lontana, Antonia vede più che una guida: apprezza profondamente la sua capacità di attualizzare i classici, facendo percepire ai giovani allievi quanto rilevante possa essere il peso specifico della cultura nella società attuale, soprattutto intravede una mente che sa cogliere la sua incessante curiosità e l’originalità delle sue riflessioni, diversamente dal padre che, nonostante l’affetto, nega la sua individualità e fatica a riconoscerle quell’autonomia che è essenziale nell’adolescenza.
Proprio il 1929 è un anno chiave in questa prima, sofferta, vicenda sentimentale della giovanissima poetessa: ritrova Cervi a Napoli, durante un viaggio coi genitori, l’anno prima lui si era trasferito nella Capitale (aveva accampato motivi familiari ma la causa dell’allontanamento è piuttosto nella consapevolezza che quell’amore nasceva sotto il segno dell’impossibilità), e il rapporto si era fatto inevitabilmente più dilatato, nutrito da lettere piuttosto che da sguardi d’intesa, ma proprio per questo anche più, maturo, sentito e sofferto. Non a caso è in quell’anno che Antonia Pozzi aveva iniziato a praticare la poesia, vera e propria salvezza contro il dolore dell’anima.
Scopriamo, allora, insieme il testo e il significato di Vento di Antonia Pozzi, una poesia che ci regala un’istantanea dei sentimenti della giovane poetessa per il suo amato insegnante.
Vento di Antonia Pozzi: il testo della poesia
ad A.M.C.
Il vento s’accanisce a sgomberare
Una via azzurra e madida pel sole:
con occhiatacce livide. Qui in basso,
l’erba folta si torce e si rovescia
in brividi d’argento; io sono immersa
nell’erba sino alle ginocchia: vedo
i brividi lanciarsi verso me; li sento
fluire nel mio sangue, pazzi, insani;
assottigliarsi tutti ansiosamente
in un fremito solo che ha il tuo nome.Milano, 28 maggio 1929
Vento di Antonia Pozzi: analisi e significato della poesia
Come comprendiamo facilmente dalla dedica Vento è una delle tante liriche che Antonia Pozzi indirizza ad Antonio Mario Cervi, quando la loro tormentata vicenda è ancora sospesa tra l’illusione di un amore ancora da vivere con pienezza e quella vita solo sognata che, poi, sarà la sua cifra definitiva.
Il soggetto della lirica è un elemento naturale che, però, subito assume sembianze umane (“sgomberare” v. 1, “occhiatacce livide” v. 3) e che, con ogni probabilità, simboleggia lo stesso Cervi, dal momento che, come capiremo poco dopo, è proprio il vento che a suscitare quei brividi che scuotono l’io lirico ovvero la stessa Antonia.
Le immagini che la poetessa offre richiamano il mondo naturale a lei tanto caro, la montagna in particolare, che già adolescente frequentava quando si recava con la famiglia nella casa di Pasturo, dimora dei giorni di vacanza e di festa che, nel corso degli anni diverrà il suo rifugio d’elezione.
Anche la via che viene spazzata dal vento, che viene descritta con la bella immagine dell’azzurro e del sole, evocando una ariosa sensazione di vitalità, è connotata da caratteri umani: l’aggettivo “madida” (v. 3) potrebbe, infatti, indicarne la luminosità, ma potrebbe alludere anche allo stesso io lirico che, col proprio corpo manifesta quel fremito (v. 10) di cui dirà poi.
Comprendiamo meglio dalle lettere il significato delle “occhiatacce livide”: a Cervi, che probabilmente la sollecita alla ricerca di una fede, smarrita nel periodo precedente, Antonia Pozzi, il 30 maggio del 1929 risponde:
“No, Cervi: non mi chiami più la sua buona sorellina. Che diritto ho io d’essere chiamata così? Le voglio bene, sì: che importa? Lei è la mia vita: il pensiero di lei mi carezza l’anima, continuamente. Ma che cosa vuol dire, questo, se io non conosco nemmeno il suo Dio; se non so nemmeno pregare per il suo fratello caduto? È meglio che lei mi lasci andare per la mia strada, con la mia incoscienza. Io galleggio come un pezzo di sughero: non posso scendere alla minima profondità”.
C’è in queste parole tutto il pudore dell’adolescenza, l’amore senza riserve e il senso di inadeguatezza, l’avanzare, anche nella giovane Antonia, della consapevolezza dell’impossibilità di quell’amore.
Nei versi successivi le parole tornano insistentemente all’elemento naturale: è la natura e l’io lirico che si fa natura (“qui in basso” v. 3, “io sono immersa nell’erba” vv. 5-6) che consentono ad Antonia Pozzi di cogliere il significato profondo della vita e del suo mondo interiore. La stessa erba, con i suoi fili colorati d’argento dalla luce del sole, sembra provare brividi (“si torce e si rovescia” v. 4): il vento li scaglia contro la giovane e lei li visualizza distintamente (vv. 6-7). Poi è la stessa natura a incarnarsi, quasi a divenire compagna e sorella dell’anima dolente, qui brividi fluiscono nel sangue (vv. 7-8) pazzi, proprio come quel
“pazzo desiderio di donarsi”.
che Antonia Pozzi affermava di sentire in quei mesi, per poi concentrarsi con affannosa urgenza (“ansiosamente” v. 9) in un solo fremito che alla mente non può che richiamare il nome del maestro amato.
Analisi metrica e stilistica della poesia
Vento si compone di un’unica strofa di dieci versi liberi (decasillabi o endecasillabi) privi di rime.
Ciò nonostante i versi sono caratterizzati da una particolare musicalità, conferita da allitterazioni (v. 4) e assonanze (v. 8) funzionali a rendere il movimento descritto o a esprimere fonicamente le emozioni.
Anche l’uso di immagini visive (vv. 2,3,4 e 6), per quanto immediate, evoca sensazioni che delineano un’atmosfera vibrante, nella quale è facile immedesimarsi.
Tra le figure retoriche presenti spiccano:
- una personificazione (v. 1) che attribuisce una forza attiva e una certa aggressività al vento, protagonista di un’azione umana;
- una metafora (“brividi d’argento”, v. 5) che fa cogliere in modo più tangibile e visibile l’intimità di Antonia Pozzi;
- un’iperbole (“pazzi, insani”, v. 8) che amplifica i sentimenti e ne rende palpabile la frenesia;
- un’anafora (“brividi”, vv. 5 e 7) che enfatizza la fisicità dell’emozioni dell’io lirico e il suo legame con l’amato.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Vento” di Antonia Pozzi: testo e analisi della poesia d’amore
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