È un Ungaretti insolito quello che scopriamo nella poesia Dove la luce (1930), un inedito canto d’amore e non di guerra.
Giuseppe Ungaretti, nato ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio 1888, è considerato uno dei principali cantori dell’esperienza della guerra mondiale e il precursore dell’Ermetismo: ha cantato il dolore e la solitudine dei soldati, lo smarrimento dell’uomo dinnanzi al profondo enigma della morte, la catastrofe e la distruzione, la conta delle croci a San Martino del Carso.
La poetica di Ungaretti, tuttavia, non è fatta solo di guerra e morte e oggi ve lo dimostriamo proponendovi una lirica diversa dal prototipo ungarettiano del poeta-combattente che solitamente viene studiato sui testi di scuola.
Giuseppe Ungaretti fu anche il cantore dell’amore, come rivela il bellissimo testo Dove la luce, contenuto nella raccolta, Sentimento del Tempo (1933), che irradia luminosità e pace. La guerra è lontana, le aspre colline del Carso dimenticate, il poeta riposa in un campo illuminato dalla luce dorata del sole primaverile accanto alla donna che ama e le fa una promessa.
Dove la luce è una poesia emozionante e intensa, romantica e al contempo malinconica, come una canzone di Lucio Battisti. Il canto libero di Giuseppe Ungaretti è racchiuso tutto qui, in questi versi dorati che parlano di un campo di grano, di una vita “più luminosa e fragrante” dove è possibile respirare senza limiti e confini disegnando immensi spazi dove correre cercando il sole, che è proprio dietro la collina.
Scopriamone testo, analisi e commento.
“Dove la luce” di Giuseppe Ungaretti: testo
Come allodola ondosa
Nel vento lieto sui giovani prati,
Le braccia ti sanno leggera, vieni.
Ci scorderemo di quaggiù,
E del mare e del cielo,
E del mio sangue rapido alla guerra,
Di passi d’ombre memori
Entro rossori di mattine nuove.Dove non muove foglia più la luce,
Sogni e crucci passati ad altre rive,
Dov’è posata sera,
Vieni ti porterò
Alle colline d’oro.L’ora costante, liberi d’età,
Nel suo perduto nimbo
Sarà nostro lenzuolo.
“Dove la luce” di Giuseppe Ungaretti: parafrasi
Le tue braccia saranno leggere come il volo di un’allodola che rapida sorvola i prati, se verrai con me. Insieme ci dimenticheremo dei problemi della terra, del mare e del cielo, degli orrori che ho patito sul fronte di guerra, dei fantasmi spettrali del passato, ci perderemo nel bagliore rosseggiante di una nuova mattina.
Ci sarà la luce che non muove alcuna foglia, i sogni e rimpianti saranno dimenticati in altri luoghi insieme al buio della sera. Vieni, ti porterò con me sulle colline d’oro.
Ti porterò in un posto dove il tempo rimane immutato e noi non avremo età, dove la luce si perde in un disco luminoso, paradisiaco, e infine ci avvolge come un lenzuolo.
“Dove la luce” di Giuseppe Ungaretti: analisi e commento
Giuseppe Ungaretti in Dove la luce compone il suo canto d’amore servendosi di versi liberi strutturati in endecasillabi. Il potere della poesia è sprigionato dalla forza evocativa contenuta nelle immagini che evocano una sensazione di movimento e dinamismo.
L’allodola viene definita “ondosa” per evocare il suo volo vibrante sopra l’erba, il suo moto viene paragonato per analogia alle braccia “leggere” della donna amata. I movimenti della donna sono lievi come quelli dell’allodola, mentre il poeta la trascina con sé sui prati rinvigoriti dal sole di una primavera nascente.
Ogni elemento nella prima strofa è teso a descrivere una situazione effettiva: i prati sono “giovani”, perché ricoperti dalle nuove fioriture, il vento soffia “lieto” perché porta con sé l’aria tiepida, profumata, che ha scordato il ghiaccio dell’inverno.
Lentamente Ungaretti passa dalla descrizione concreta a quella astratta: alla dinamicità della prima parte della poesia si contrappone la staticità della seconda. Tutto è giocato sull’opposizione tra “quaggiù” - riferito alla terra - e “lassù”, ovvero il cielo che il poeta sente di poter toccare con un dito grazie alla vicinanza della donna.
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Lui promette di condurla verso le colline d’oro: una sorta di terra promessa, di paradiso in terra, dove non esiste la guerra né il dolore e i rimpianti del passato. Entrambi allora saranno liberi e leggeri, senza età, perché nell’immensità del loro amore il tempo non avrà più peso né significato. Saranno consegnati a un’altra dimensione dove vivranno la stessa innocenza assoluta dell’infanzia, priva di ogni turbamento, avvolti dalla luce pura, incontaminata che sembra chiudersi sull’incanto dei loro corpi abbracciati.
Possiamo cogliere in questi versi un anticipo della futura poesia ermetica. Ungaretti compone una lirica di immagini basata sull’essenzialità delle singole parole i cui legami spesso sfuggono. I riferimenti al tempo mutano continuamente: l’ora, infine, diventa “costante” rimandando forse a un presagio di eternità.“ Perduto nimbo” è un’espressione ellittica che tuttavia sembra evocare, ancora una volta, un’immagine pura: l’accostamento della luce intensa, radiosa (nimbo) all’aggettivo “perduto” rimanda a una sorta di paradise lost (per dirla alla Milton), pare riferirsi a un oblio benevolo e dolce che risana le ferite della vita.
Ogni parola di Ungaretti sembra essere un riflesso della luce costantemente evocata, sin dal titolo, in questa poesia. Nel finale la visione pare annullarsi nell’intensità di un bagliore dorato che evoca l’unione dei due amanti.
La poesia di Ungaretti e la canzone di Lucio Battisti
Il tono e lo stile della romantica Dove è luce di Giuseppe Ungaretti potrebbero essere ricollegati a una celebre canzone della musica italiana, La collina dei ciliegi (1973) di Lucio Battisti. Il poeta ermetico fa riferimento alle “colline d’oro”, mentre Battisti promette che il sole è proprio dietro la collina. Nella poesia ungarettiana, proprio come nella canzone, i due amanti sembrano librarsi oltre i limiti e i confini di un mondo che non sentono appartenere loro e approdare, infine, a una dimensione superiore (più in alto e più in là) come “figli dell’immensità”.
Nella canzone di Battisti, scritta da Mogol, troviamo la stessa netta contrapposizione tra quaggiù - la terra dove vive un “residuo d’Inferno” - e lassù, presagio di eternità. Il cantante, inoltre, fa un analogo riferimento al volo - “planando sopra boschi e braccia tese” - e alla promessa di essere senza età. L’annullamento nella canzone di Battisti però non avviene nella luce ma nel sorriso, analogo presagio dell’essenza divina.
Potremmo correre sulla collina
E fra i ciliegi veder la mattina (e il giorno)
E dando un calcio ad un sasso
Residuo d’inferno e farlo rotolar giù, giù, giù
E noi ancora, ancor più su
Planando sopra boschi di braccia tese
Un sorriso che non ha
Né più un volto né più un’età.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Dove la luce” di Giuseppe Ungaretti: la poesia che ricorda una canzone di Lucio Battisti
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