Eredi della sconfitta
- Autore: Kiran Desai
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2007
Quante contraddizioni in questo romanzo: contraddizioni degli indiani in India, degli indiani all’estero, dell’India, dell’estero.
Il giudice Jemubhai Patel vive isolato in una casa in rovina insieme al cuoco e alla cagnolina Mutt, su cui ha riversato tutto l’affetto che gli è rimasto. Quando arriva Sai, la nipote, il giudice inizia a ricordare, suo malgrado, le umiliazioni e le fatiche che ha superato per diventare un uomo rispettabile, membro dell’ambita amministrazione britannica; il suo esilio di studio in Inghilterra; la moglie Nimi, semisconosciuta e abbandonata al proprio destino.
Ma le storie si intrecciano come le foglie della foresta in cui la casa, monsone dopo monsone, marcisce.
Sai si innamora di Gyan, uno studente povero che le nasconde le sue miserie: è un rapporto all’inizio timido e rivelatore, poi idilliaco, e alla fine, squassato da un’altalena di diverbi e perdoni, sulla scia degli avvenimenti politici degli anni Ottanta, e delle rivolte che trascineranno indiani e stranieri e che lasceranno aperte molte domande sugli sbocchi di quelle violenze.
Ma le contraddizioni si moltiplicano nelle vicende degli indiani all’estero. Tra questi c’è Biju, figlio del cuoco del giudice. Se ne parte per l’America con un pesantissimo bagaglio di speranze: non solo sue, ma soprattutto del padre e di tutta la comunità. Negli Stati Uniti passa da un lavoro all’altro, invisibile e scalcinato: dalla patria, il cuoco, convinto che Biju stia facendo carriera, inizia addirittuta a raccomandargli compaesani che stanno per raggiungerlo, e le frotte di poveracci si accampano davanti ai ristoranti di infima categoria dove gli indiani arrivati per primi dormono nelle cucine, per risparmiare il centesimo che servirà per tornare in patria da ricchi.
Il sogno di ricchezza finisce quando Biju decide di tornare a casa dal padre: lo riabbraccerà alla fine del romanzo, dopo esser stato derubato di tutti i souvenirs che aveva portato dall’America, dopo esser rientrato in un’India che lo ha accolto con i suoi effluvi e le sue violenze.
Dunque il libro finisce con un abbraccio: dopo tutta l’aridità che ha seccato la storia del giudice, emblema di un indiano che ha perseguito un falso scopo nella vita, l’abbraccio non è solo un lieto fine, ma un augurio rivolto dall’autrice al proprio Paese.
Come odiava quella squallida stagione (...). Guardandosi attorno vedeva la propria impotenza: muffa sullo spazzolino, serpenti che strisciavano impavidi nel patio, mobili che aumentavano di peso; anche Cho Oyu si impregnava, sgretolandosi come un pane farinoso. A ogni rovescio c’era una stanza abitabile in meno.
Eredi della sconfitta
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