Ernesto De Martino
Nel mondo dell’antropologia italiana ci sono dei nomi che risuonano più forti di altri, per aver contribuito alla materia con le proprie ricerche originali e gli approcci umanistici esemplari, Ernesto De Martino è uno di questi nomi.
Lo studio antropologico è fondamentale per capire le realtà sociali che ci circondano, come nascono gli usi e i costumi degli attori sociali di un’area geografica e cosa possono insegnarci sui comportamenti umani, per riconoscere la funzione di pratiche tradizionali che stanno sparendo in relazione alla realtà globalizzata che viviamo.
Ernesto De Martino: vita e opere
Ernesto De Martino si inserisce in questo campo disciplinare ed è considerato uno dei principali antropologi italiani. Nato a Napoli il 1° dicembre 1908, morì a Roma nel maggio del 1965. Suo padre era un ingegnere ferroviario, mentre sua madre era una maestra elementare. Studiò al ginnasio di Firenze e al liceo di Napoli. Dopo un anno alla facoltà di Ingegneria a Torino, si trasferì a Napoli per studiare filosofia nel 1929.
Nel 1930 incontrò Vittorio Macchioro, un archeologo e storico delle religioni esperto di orfismo, un movimento religioso misterico sorto in Grecia nel VI secolo. Prestò servizio militare come allievo ufficiale, continuando nel frattempo i suoi studi.
Dopo aver conseguito la laurea in Lettere all’Università di Napoli nel 1932, con una tesi in Storia delle religioni sui gephyrismi eleusini sotto la supervisione di Adolfo Omodeo, si interessò alle discipline etnologiche. Si iscrisse ai GUF e alla Milizia Universitaria, collaborando con “L’Universale” di Berto Ricci e diffondendo in un ristretto gruppo di collaboratori un Saggio sulla religione civile, che rimase inedito. Alla caduta del regime nel luglio del 1943, De Martino, ormai fortemente antifascista, si trovava con la famiglia a Cotignola, nella bassa Romagna, e partecipò alla Resistenza, prima in provincia di Ravenna e poi a Forlì, dove rappresentò il Partito Italiano del Lavoro nelle riunioni del CLN.
Nel 1935 sposò Anna Macchioro, figlia di Vittorio, con la quale ebbe due figlie, Lia e Vera. Il matrimonio con Anna entrò in crisi definitiva nel 1947, quando, durante il suo insegnamento in un istituto magistrale di Bari, conobbe e si legò a una sua allieva, Vittoria De Palma, che diventò la sua nuova compagna e preziosa collaboratrice. In Puglia ricoprì anche ruoli di responsabilità nel PSI, a Bari e nel Salento.
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Durante la Seconda guerra mondiale, sviluppò e lavorò su alcune idee che confluirono nel libro Il mondo magico del 1948, idee che avrebbero influenzato gran parte delle sue opere. La sua interpretazione del magismo come epoca storica vedeva la gestione della labilità di una “presenza” non ancora consolidata attraverso la magia, in una dinamica di crisi e riscatto.
Successivamente si interesserà sempre più allo studio etnografico del sud Italia, scrivendo tre opere che verranno inserite nella cosiddetta fase “meridionalista” dell’autore:
- Morte e pianto rituale,
- Sud e magia,
- La Terra del rimorso.
De Martino morirà a Roma nel 1965.
“La Terra del rimorso” di Ernesto De Martino: un’analisi del Tarantismo
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Ernesto De Martino ha dedicato la sua carriera allo studio delle culture popolari e delle pratiche rituali, cercando di comprendere il loro significato profondo nel contesto storico e sociale. Una delle sue opere più celebri, La Terra del rimorso, pubblicata nel 1961, rappresenta una pietra miliare nell’ambito dell’antropologia italiana e mondiale. Questo libro è un’indagine dettagliata sul tarantismo, un fenomeno di possessione e danza rituale che si manifestava in alcune regioni del Sud Italia, in particolare in Puglia.
Il tarantismo è una forma di isteria collettiva che si credeva fosse causata dal morso di un ragno, la taranta. Le vittime, perlopiù donne, manifestavano sintomi come crisi convulsive, spasmi, e uno stato di trance. La cura tradizionale consisteva in un rituale musicale e danzante che coinvolgeva i pazienti in una danza frenetica accompagnata dal suono del tamburello e di altri strumenti musicali. Questo rito culminava spesso in un pellegrinaggio alla cappella di San Paolo a Galatina, considerato il santo protettore dei tarantati.
La ricerca di Ernesto De Martino: l’osservazione partecipante
Ernesto De Martino condusse la sua ricerca sul campo negli anni Cinquanta, esplorando le credenze e le pratiche legate al tarantismo. La sua indagine non si limitò all’osservazione superficiale, ma si immerse profondamente nelle dinamiche culturali, sociali e psicologiche del fenomeno. De Martino si avvalse di un approccio multidisciplinare, collaborando con musicologi, psicologi, e altri studiosi per fornire una comprensione completa del tarantismo.
Tra i collaboratori vi erano lo psichiatra Giovanni Jervis, l’etnomusicologo Diego Carpitella e il fotografo Franco Pinna.
De Martino e il suo team trascorsero lunghi periodi nelle comunità rurali della Puglia, osservando e documentando le cerimonie e i rituali legati al tarantismo.
L’osservazione partecipante fu uno degli strumenti principali utilizzati da De Martino per raccogliere dati. Questo metodo gli permise di vivere a stretto contatto con le persone del luogo, partecipare ai loro rituali e comprendere le dinamiche interne della comunità.
Il team di ricerca raccolse numerose testimonianze orali dai tarantati, dalle loro famiglie e dai membri della comunità. Queste interviste furono fondamentali per comprendere le esperienze personali e le interpretazioni locali del fenomeno. De Martino si concentrò particolarmente sulle storie di vita delle donne coinvolte, analizzando come il tarantismo riflettesse le loro condizioni sociali, economiche e psicologiche.
Uno degli aspetti più innovativi della ricerca fu l’uso di registrazioni audio e video per documentare i rituali. Le registrazioni sonore, effettuate da Diego Carpitella, permisero di analizzare i canti e le musiche tradizionali suonate durante le cerimonie di esorcismo. Le fotografie e i filmati realizzati da Franco Pinna offrirono una preziosa documentazione visiva delle danze e delle espressioni corporee dei tarantati.
Le conclusioni della ricerca di De Martino
De Martino scoprì che la musica e la danza svolgevano un ruolo centrale nel rito del tarantismo. La pizzica, una danza frenetica accompagnata dal suono del tamburello, era il mezzo attraverso il quale i tarantati cercavano di liberarsi dai sintomi del morso del ragno. La musica, con il suo ritmo incalzante, fungeva da strumento di catarsi, permettendo ai partecipanti di esprimere e rilasciare le loro tensioni emotive e fisiche.
Le conclusioni delle ricerche videro il tarantismo come un rituale di gestione della crisi esistenziale. Si sostenne che le donne tarantate utilizzavano il rituale come un modo per affrontare e superare le difficoltà e le oppressioni della loro vita quotidiana. Il tarantismo offriva una valvola di sfogo e una forma di riscatto simbolico, permettendo alle donne di ottenere attenzione e cura dalla comunità.
Un altro aspetto rilevante della ricerca fu la critica alla tendenza di medicalizzare il tarantismo, trattandolo esclusivamente come un disturbo psichiatrico.
De Martino sottolineò l’importanza di considerare il contesto culturale e sociale in cui il fenomeno si manifestava, opponendosi a spiegazioni riduzionistiche che non tenevano conto della complessità simbolica e rituale del tarantismo.
Il tarantismo come meccanismo culturale: l’analisi di De Martino
La Terra del rimorso offre una lettura innovativa del tarantismo, interpretandolo non solo come una risposta al morso del ragno, ma come un meccanismo culturale di gestione della crisi esistenziale e del disagio sociale. De Martino sosteneva che il tarantismo fosse un rito di passaggio che aiutava le persone a superare momenti critici della loro vita, offrendo una forma di espressione e di catarsi attraverso la danza e la musica.
Il tarantismo rappresentava una “drammatizzazione” della crisi individuale che permetteva ai partecipanti di esprimere e risolvere simbolicamente le loro tensioni interne. Il rituale, con la sua struttura codificata e la sua componente musicale, offriva un contesto in cui le persone potevano ritrovare un equilibrio psicologico e sociale.
La Terra del rimorso ha avuto un impatto duraturo non solo nel campo dell’antropologia, ma anche nella comprensione delle tradizioni popolari italiane. L’opera di De Martino ha contribuito a preservare la memoria di un rituale che stava rapidamente scomparendo a causa della modernizzazione e della trasformazione sociale del Dopoguerra.
L’approccio di De Martino ha influenzato generazioni di antropologi e studiosi delle scienze sociali, dimostrando l’importanza di considerare il contesto culturale e storico nelle analisi dei fenomeni sociali e rituali.
La sua capacità di collegare il microcosmo del tarantismo alle più ampie dinamiche della cultura e della società ha reso La Terra del rimorso un classico imprescindibile per chiunque voglia comprendere le profondità dell’esperienza umana attraverso il prisma delle tradizioni popolari.
In conclusione, La Terra del rimorso non è solo uno studio sul tarantismo, ma una riflessione profonda sulle modalità con cui le culture affrontano e gestiscono le crisi esistenziali.
L’opera di De Martino rimane una testimonianza vibrante della ricchezza delle tradizioni popolari italiane e della loro capacità di offrire soluzioni simboliche a problemi universali.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Ernesto De Martino: un’analisi de “La Terra del rimorso”
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