Federica Manzon nasce a Pordenone nel 1981. I suoi racconti sono apparsi su ‘Nuovi
Argomenti’, ‘Carmillaonline’ e nell’antologia ‘Tu sei lei’ pubblicata da Minimum Fax. Collabora come editor con la casa editrice Mondadori occupandosi di narrativa italiana. Nel 2008 pubblica all’interno
della collana Strade Blu (Mondadori) ‘Come si dice addio’, un reportage narrativo incentrato su un
gruppo di ragazzi durante uno stage della Comunità europea in Grecia. Il successo arriva col suo
nuovo lavoro, il suo esordio nel romanzo, ‘Di fama e di sventura’ (Mondadori), recente vincitore
del Rapallo Carige e finalista al premio Campiello. La serata finale che decreterà il vincitore sarà il 3 settembre al teatro La Fenice di Venezia.
Federica, ti do il benvenuto a quella che non sarà la solita intervista chilometrica, ma solo 4
chiacchiere contate.
- Prima chiacchiera: La Mondadori ha imparato a conoscere Federica Manzon come editor
prima che come autrice. Molti autori restano incollati al proprio editor, ne riconoscono il
valore, sanno quanto della buona riuscita del libro dipenda dai suoi consigli. Altri invece,
raggiunta la fama, se ne allontanano decidendo di procedere da soli e spesso arriva la
sventura. Com’è il rapporto con i “tuoi” autori italiani? Di quali vai particolarmente fiera
al punto da convincerti di essere affetta da Baudite incurabile (“L’ho inventato io!”)? Ce n’è
qualcuno con cui è guerra aperta?
Il lavoro dell’editor per me è ben fatto quando rimane totalmente al servizio del libro e scompare
con la sua pubblicazione. Per questo l’ansia di appropriazione che fa dire “Questo l’ho inventato
io!” mi sembra assurda e anche pericolosa, perché rischia di far dimenticare che ogni successo, per
quanto grande e condiviso dall’intera casa editrice, è prima di tutto il prodotto delle fatiche solitarie
dell’autore e il lavoro successivo è tanto più efficace quanto più diventa mimetico e maieutico.
Insomma, per me la figura dell’editor dovrebbe sfuggire del tutto la ribalta, e il rapporto d’amicizia
che spesso nasce con lo scrittore è cosa da preservare nello spazio privato degli affetti.
- Seconda chiacchiera: Arriviamo alla Manzon scrittrice. Quando ti accorgi dell’esistenza di
una parte di te che scalpita per venire alla luce? All’improvviso, oppure scrivere ha sempre
fatto parte della tua quotidianità? Perché a un certo punto scegli di pubblicare? Quando
rileggi le tue cose le guardi con gli occhi dell’autrice o dell’editor che vede oltre? Anche
Federica Manzon ha un editor oppure sei per il ‘chi fa da sé fa per tre’?
Non si può dire che io abbia pile di manoscritti nel cassetto, perché per me la scrittura è comunque
un’attività faticosa che richiede tempo e dedizione, e a cui, colpevolmente, spesso cerco di sfuggire.
È anche vero però che per me il raccontare storie è un esercizio antico, che risale alle scuole
elementari, quando una maestra un po’ stravagante invitava noi bambini a raccontare bugie senza
freno, perché altrimenti non avremmo mai avuto la fantasia necessaria per costruirci un futuro
ambizioso da sognatori. A essere onesti, poi, devo ammettere che tento di separare al massimo la
mia attività di scrittura da quella editoriale, e quando mi rileggo mi sforzo di tenere a mente solo le
questioni che sono intimamente interne al libro e che possono essere migliorate guardando ai grandi
modelli letterari. Per la cura editoriale mi affido ciecamente all’editor.
- Terza chiacchiera: Il titolo del tuo romanzo è un chiaro riferimento al sonetto ‘A Zacinto’ di Foscolo. Hai deciso di chiamarlo così per rimarcare la connotazione di eroe nel tuo protagonista Tommaso simile all’Ulisse che, parafrasando il sonetto, “esule anch’egli, ricco di
fama e di sventura, riuscì a ritornare ad Itaca”? Che rapporto ha Tommaso con la sua terra
natia?
Del verso foscoliano mi piaceva il senso di epica e destino, lo slancio che fa presagire qualcosa
di grande, la sfida del mare aperto, l’umanissima tensione verso fortuna e gloria ma nel contempo
anche la lotta contro le seduzioni del lato oscuro. E poi, certo, il richiamo a Ulisse mi è caro.
Anche Tommaso, come l’eroe greco, ottiene i suoi successi grazie al talento del proprio intelletto,
e come lui è costretto a cercare la propria strada voltando le spalle a ciò che ha di più caro. E solo
attraverso l’allontanamento, le sofferenze e le paure riesce a ritornare alla terra cara. Il rapporto con
i luoghi originari è poi decisivo non solo per Tommaso ma per tutti i personaggi del mio romanzo
e questo perché credo che, più della storia, a determinare il nostro carattere e le nostre scelte sia la
geografia. Chi nasce a Trieste viene inevitabilmente condizionato dal mare che arriva fin dentro la
piazza della città e porta i bambini, di tutte le età e classi sociali, a passare l’estate in gare di tuffi ai
bagni pubblici. E poi c’è il vento che entra nella testa e rende tutti un po’ pazzi e sognatori. E quel
particolare situarsi in un luogo dal confine incerto dove tutte le identità continuamente si scambiano
e sono messe in questione.
- Quarta chiacchiera: Tommaso nasce sotto una cattiva stella. La sua esistenza è segnata dall’abbandono, dalla ricerca del padre, dall’ingiustizia. È per questo che riesce ad arrivare così in alto? È merito del desiderio di rivalsa che un’adolescenza serena non ti permette di sviluppare? È il tuo modo per dare un senso alle grandi sofferenze che è complicato collocare in un quadro di giustizia delle cose? Bisogna per forza soffrire per arrivare alla felicità? O per comprenderla a pieno?
A me interessava, scrivendo, capire qual è la trama sfuggente e dimenticata che sta alle spalle di un
destino vincente, qual è il punto esatto in cui un talento si trasforma in maledizione. Perché se da
un lato io non credo che un’infanzia felice pregiudichi la spinta al successo, dall’altro penso però
che dietro una vita invidiabile e perfetta si nasconda sempre qualcos’altro, perché difficilmente
chi raggiunge obiettivi ambiziosi vi arriva senza aver conosciuto, accanto alla gioia e all’ebrezza,
anche la solitudine e lo smarrimento. E poi forse sì, è anche un modo per credere che ci sia un certo
equilibrio nella dose di fama e sventura che a tutti è data.
Questa era l’ultima chiacchiera: non mi resta che salutarti e ringraziarti per aver accettato
il mio invito, facendoti molti in bocca al lupo per il Campiello e non solo. Se vuoi lasciare un
messaggio al mondo intero, qui puoi farlo.
Crepi il lupo! E solo un grazie, ma davvero di cuore, a tutti coloro che leggono i libri, li consigliano
e li recensiscono. Buona lettura!
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Federica Manzon
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