Federico Fellini. Cent’anni: film, amori, marmi
- Autore: Italo Moscati
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Castelvecchi
- Anno di pubblicazione: 2019
L’anno che celebra i cent’anni dalla nascita di Federico Fellini volge al termine. Non si contano le iniziative culturali e letterarie dedicate al maestro, che resta una pietra miliare non soltanto nella storia del cinema ma pure del costume, nello sviluppo della coscienza individuale attraverso la bellezza. L’autocoscienza è la finalità dell’arte in ogni tempo. Tra le molte testimonianze spicca il bel volume Federico Fellini. Cent’anni: film, amori, marmi di Italo Moscati (Castelvecchi editore, 2019, pp. 202).
Il libro ha il pregio di essere scritto da un regista e sceneggiatore, dunque da chi ha vissuto il cinema "da dentro", in prima persona, e ne conosce i risvolti, le atmosfere, le passioni, le follie, i sogni. Lo scrittore può accompagnare Fellini da Rimini a Roma nell’antro di Cinecittà, vissuto dal regista come ventre materno protettivo in cui sentirsi al sicuro e da cui proiettare il suo mondo onirico che si incontra/scontra con la realtà circostante, con i mutamenti epocali che riguardano il mondo occidentale e in particolare italiano. E da lì profetizzare che cosa resti da fare a ciascuno.
È un libro ricco di particolari, aneddoti e tappe significative, sia personali sia di valenza collettiva. La più importante ed essenziale, dal punto di vista storico e antropologico, è il trapasso dell’Italia da un’economia rurale all’economia industriale, all’inizio degli anni Sessanta, con la creazione di nuovi miti e illusioni, la fine e la distruzione di molti tabù, la liberazione di una formidabile energia e voglia di vivere, di cui La dolce vita è testimonianza. Ma pure è segno della decadenza, è racconto dell’altra faccia del benessere, l’illusione di felicità mentre si creavano grandi masse sradicate di lavoratori dai luoghi di appartenenza.
Via Veneto diventava la "Hollywood sul Tevere", una forma di colonizzazione culturale americana. Vi accorrevano frotte di divi inseguiti dai "paparazzi".
Fellini lo ha raccontato con la genialità del suo sguardo che abbraccia in un’unica visione sia l’aspetto esilarante, sia tutta la malinconia dei sogni che si infrangono, tutto il lato oscuro della vita. I due "marmi" a cui allude Italo Moscati sono La dolce vita (1960) e il successivo 8 1/2 (1963). Nel primo il regista crea il personaggio di Steiner, un mistico intellettuale che da saggio diventa omicida e suicida, un Saturno che "mangia" i suoi figli. È simbolo dello sviluppo che divora se stesso, non potendo una società svilupparsi all’infinito senza produrre scorie di ogni tipo, sia materiali che spirituali.
Che Fellini fosse altamente consapevole di questo processo illusorio Moscati lo dice a chiare lettere:
"Fellini ha colto rivolgimenti profondi, misteriosi a prima vista, che avvengono perché nella società sta entrando in circolo una gran quantità di messaggi disordinati, lusinghe, mescolando spettacolo e realtà, trasformando la vita e i rapporti tra le persone in caramelle di desideri."
Il risultato, a livello intimo, è il disorientamento che sconvolge la psiche di Guido (Marcello Mastroianni) in 8 1/2, il regista in crisi che non sa più che pesci prendere per il suo film che segna il passo. Che non sa più credere nel suo matrimonio, né nella religione avita (i preti possono soltanto ripetergli che solo nella chiesa vi è salvezza). Che cerca l’anima, nascosta nei ricordi di infanzia. Fellini è "eterno fanciullo".
Eppure... eppure i due film cult additano un archetipo, come tale perenne e ineliminabile, quello dell’eterno femminino (come in Goethe e il finale del Faust): è la donna dea con il potere di far rinascere, di resuscitare il sogno senza fine. È Anita Ekberg nella fontana; è Claudia Cardinale alle terme mentre offre l’acqua di vita. Acqua-donna, il binomio inscindibile. Un altro simbolo del femminile è il cerchio, disegnato nel girotondo finale di tutti i personaggi, nessuno escluso, cerchio anima del mondo (Platone).
Nell’ultimo suo film, girato prima del tragico ictus, Federico ripete l’identico modello, ma non utilizza più un’attrice icona dell’archetipo, ricorre direttamente alla luna ne La voce della luna, film ispirato al romanzo di Ermanno Cavazzoni.
Qui il nostro satellite non sta in cielo, o quanto meno non è importante lassù, è riflesso in terra nelle pozze d’acqua e dalla terra parla a chi sa fare silenzio. Questo ci resta da fare: ascoltare la voce dell’inconscio in religioso silenzio, dare fede al femminile, la parte emozionale in noi. La nostra civiltà è prevalentemente maschile, razionale e logica. Fellini ha creato personaggi immortali di donne "spostate"(Gelsomina de La strada e la sua tromba, con il motivo struggente di Nino Rota). Personaggi di matti ricorrenti nei vari film, che dicono ciò che non vogliamo ascoltare. Sono la voce dell’intuizione.
Molto della poetica felliniana nasce dall’ approccio del regista con la psicanalisi junghiana, dalla frequentazione dell’analista tedesco Ernst Bernhard, nonché astrologo, da Federico considerato suo padre spirituale. Anche il gesuita padre Angelo Arpa gli fu amico e grande sostenitore.
Sappiamo ormai bene quanto Fellini abbia tradotto nel cinema il "flusso di coscienza" tipico di James Joyce o la "rêverie" di Proust, la forza e la potenza del ricordo. Sono tecniche e non solo tecniche, modi espressivi che consentono lo scavo profondo in noi. Fellini l’ha compiuto aderendo totalmente ai suoi personaggi, di cui schizzava l’aspetto, curava il loro abbigliamento, il trucco e le particolarità fin nelle minuzie. Chi doveva realizzare i suoi "ordini" doveva farlo alla perfezione, ricalcando l’idea dell’ideatore.
Moscati sottolinea la fedeltà ai personaggi, l’amore per essi, tanto che Fellini non avrebbe mai voluto porre fine al film e non voleva scrivere questa parola dopo i titoli di coda:
"Tra i ricordi affiora qualcosa di duraturo e struggente che Fellini ha sempre sentito provenire dai suoi personaggi che erano reali anche se immaginari [...] Nella "Dolce vita" fra evidenza e sogno. È la mano di Anita dal grande seno che versa lacrime d’acqua della Fontana di Trevi su Marcello fremente di scosse d’amore. Non è l’immagine solo di un sogno. È qualcosa che nessuno avrebbe potuto pensare né sognare in quella forma che la esalta e le fa ombra. [...] Fellini sa che i bagliori si accendono anche in una fontana; la ricerca della felicità non l’ha abbandonata, se non l’ha trovata, l’ha inventata."
Tale ricerca è quella alchemica della "pietra filosofale", l’incontro del maschile-femminile.
Di Italo Moscati ricordiamo la sceneggiatura di tre film importanti, con la regia di Liliana Cavani: I cannibali (1970), Il portiere di notte (1974), Al di là del bene e del male (1977), oltre che la sua attività pluridecennale alla Rai, i numerosi libri, il film documentario Concerto italiano del 2010, un secondo docufilm dedicato all’Italia, 1200 km di bellezza, del 2016 e le ultime due monografie: Alberto Sordi: una vita tutta da ridere (2020), Ennio Morricone (2020), entrambe edite da Castelvecchi.
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