È in libreria da marzo 2020 il romanzo Figlia del cuore (Marcos y Marcos Editore 2020, collana “Gli Alianti”, pp. 176) di Rita Charbonnier, tratto da una storia vera al cui centro vi sono Ayodele, una bimba affamata di amore, e una donna, Sara, che desidera prendersi cura di una piccola vita, anche se è single e non può più avere figli.
“Ma quello sguardo tra di noi è stato come quando dentro di te si libera qualcosa che era imprigionato, e si mescola con qualcosa che era imprigionato dentro l’altra persona e si è liberato”.
Rita Charbonnier ha studiato pianoforte e canto, si è diplomata presso la Scuola di teatro classico Giusto Monaco, dell’Istituto nazionale del dramma antico, a Siracusa, e ha frequentato il Corso di formazione e perfezionamento per sceneggiatori della RAI, a Roma. Ha collaborato come giornalista ed esperta di teatro con diverse riviste, e scritto soggetti e sceneggiature che hanno ottenuto riconoscimenti tra i quali la Film Story Competition del programma europeo MEDIA. Ha lavorato come attrice con personalità di rilievo quali Nino Manfredi, Aldo Trionfo, Renato Nicolini, Lucia Poli, Antonio Calenda, solo per citarne alcuni. Ha inoltre scritto racconti, monologhi teatrali e testi di argomento musicale. Si esibisce in reading musicali e recital.
Il suo primo romanzo, La sorella di Mozart (Corbaccio 2006, Piemme Bestseller 2011), è stato pubblicato in dodici paesi. La strana giornata di Alexandre Dumas e Le due vite di Elsa (Piemme 2009 e 2011) completano un trittico con protagoniste personaggi femminili e la Storia.
- Chi è Ayodele e quali sono le sue origini?
La protagonista del romanzo è una ragazzina nata in Italia da genitori nigeriani, che però in Nigeria non c’è mai stata ed è cittadina italiana. Abita a Roma con suo padre e suo fratello in un alloggio per persone in difficoltà, che lei chiama “il casermone”, e la sua vita tutto sommato le piace. Sta bene dove sta, perché non conosce altro. Ha bisogno di affetto, è vero, ma non ne è consapevole. Il giorno in cui i Servizi sociali la pongono in affidamento familiare non è per lei un bel giorno: perché mai si pretende che vada a vivere con una sconosciuta di nome Sara, bianca come un lenzuolo e diversissima da lei? Ayodele dice sempre la sua con fare scanzonato, si burla di tutti, ha un linguaggio tagliente; le sfugge anche qualche parolaccia.
- Non è un caso che il nome Ayodele significa “la felicità è entrata in casa”?
Ho scelto questo nome proprio per il significato che ha nella lingua africana Yoruba. Sara, che la prende in affido, si prende cura di Ayodele con affetto e attenzione, la riveste da capo a piedi, le allestisce una bella cameretta dentro la propria casa, la segue nei compiti, colma le sue lacune scolastiche… e tutto questo la rende felice. In effetti, credo che prendere un bambino in affidamento familiare possa significare non solo dare aiuto a qualcuno che ne ha bisogno, ma anche ricevere, e molto. Certo, non sempre le cose vanno lisce. Possono sorgere diverse difficoltà. Ma ci si mette in gioco, si fa spazio nella propria vita a un altro essere umano, ed è comunque un’esperienza trasformativa.
- Sara e Ayodele, due mondi diversi, lontani, che possono integrarsi?
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All’inizio della storia la bambina considera la mamma affidataria come un’estranea impicciona che le impone di obbedire a una sfilza di regole cretine, ma gradualmente, nel tempo, la situazione si ribalta. Le due giungono a creare una relazione di parentela, ad appartenersi reciprocamente. Ecco, Figlia del cuore è una storia sull’appartenenza. E non solo a una madre, a una famiglia; anche a uno stato, con le sue istituzioni; anche a un continente, con le sue tradizioni e la sua storia. È un romanzo sul desiderio di accogliere ed essere accolti; sul riconoscimento di sé anche attraverso l’accoglienza da parte dell’altro.
- Nel romanzo affronta una serie di tematiche estremamente attuali. Ce ne vuole parlare?
Oltre all’affidamento familiare, c’è naturalmente la questione dei migranti. I genitori di Ayodele arrivarono dall’Africa su un barcone, lei lo sa benissimo e ha parole sferzanti nei confronti di chi, in Italia, non comprende il fenomeno e cerca di allontanarlo da sé; come anche nei confronti di chi fa del pietismo. C’è poi la tematica dell’adozione alle persone singole, che in Italia non è concessa. Da noi possono adottare solo le coppie eterosessuali coniugate; nel romanzo, a un certo punto della storia, Sara viene a scontrarsi con questo problema. E infine, il romanzo affronta la questione delle unioni civili e dei figli delle coppie omosessuali. Sara ha degli amici gay con figli, li frequenta e così Ayodele comprende come non esista un solo tipo di famiglia: ce ne sono molti, e nessuno è migliore di un altro a prescindere.
- Il libro dimostra quale sia il significato più vero dell’essere famiglia, al di là di quella biologica. Cosa ne pensa?
Io credo che una famiglia non possa essere basata solo sul legame biologico tra i suoi membri. Il legame biologico non vale un granché, se non è sostenuto dal legame affettivo. La riuscita di una famiglia è indipendente dalla sua struttura, dal sesso e dal numero dei suoi membri. La famiglia è un cerchio di persone; quel che conta è che, per citare una frase del romanzo, da cerchio si trasformi in un cuore.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Figlia del cuore”: intervista all’autrice Rita Charbonnier
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