L’esistenza di Alda Merini, la poetessa nata nell’equinozio di primavera del 1931, può essere riassunta nella potenza di un unico verso: Folle d’amore, che infatti ha ispirato il titolo del film di Roberto Faenza a lei dedicato con protagonista Laura Morante. Lo sceneggiato andrà in onda in prima serata su Rai Uno il 14 marzo.
L’amore e la follia sono effettivamente le coordinate entro cui si muove la vita tormentata di Merini, la poetessa dei Navigli, la sintesi del suo travagliato percorso umano. “La pazza della porta accanto”, come titola una delle sue rare opere in prosa. Aveva soltanto sedici anni, nel 1947, quando fu ricoverata per la prima volta in manicomio, nella clinica Villa Turro di Milano. La sua vera follia? Essere autentica, essere dannatamente sé stessa e poi amare, fino a scomparire nell’altro, fino a perdersi.
In un’intervista Merini aveva dichiarato che “i veri folli sono le persone normali”, la vera follia è la normalità. Il suo secondo ricovero presso una struttura psichiatrica sarebbe avvenuto nel 1961 e si sarebbe protratto, con alcune pause, sino al 1972. Tra le cause scatenanti del suo malessere psichico, Alda Merini individuava una “ferita d’amore”. A rinchiuderla in manicomio era stato il marito, il panettiere Ettore Carniti; e fu l’idea della separazione dalla famiglia e dalla figlia a farla impazzire di terrore. La diagnosi: “ebefrenia o schizofrenia giovanile”. La famiglia l’aveva abbandonata. Ritorna dunque il tema del Vuoto d’amore, che dà anche il titolo alla sua più celebre raccolta, divisa in sei sezioni, edita da Einaudi nel 1991. In quella raccolta è contenuta la poesia Folle folle d’amore per te , in cui Alda Merini annoda intrecciandoli i fili principali della sua poetica: amore e follia, follia e amore.
Se c’è un dolore che riecheggia come un urlo lacerante nei versi di Merini è la paura dell’abbandono, come l’incubo avverato di quel cancello del manicomio che all’improvviso si chiudeva dietro le sue spalle lasciandola sola. Persino i suoi amori erano fatti di abbandono, sempre in bilico tra presenza e perdita. Era quella la ferita lacerante: l’abbandono degli amanti che generava la depressione spacciata per pazzia. Poi la solitudine nefasta e il buio del manicomio, dove avrebbe imparato a far fiorire il dolore attraverso la poesia.
Ed è questo il formidabile e contraddittorio ritratto, al femminile singolare, di Alda Merini custodito nei versi di Folle di amore per te.
“Folle di amore per te” di Alda Merini: testo
Io sono folle, folle,
folle di amore per te.
Io gemo di tenerezza
perché sono folle, folle,
perché ti ho perduto.
Stamane il mattino era sì caldo
Che a me dettava questa confusione,
ma io ero malata di tormento
ero malata di tua perdizione.
“Folle di amore per te”: analisi e significato della poesia di Alda Merini
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Folle d’amore, un verso che ci restituisce tutta la pericolosa dualità di Alda Merini, il suo essere indefinibile come tutte le persone complesse. Un verso che mescola spirito e carne e infine formula la propria inappellabile accusa: “Sono folle d’amore per te”. L’amante che l’ha abbandonata la costringe a un tormento da cui lei non riesce a liberarsi: la malattia è l’amore, l’amore è il tormento invincibile, fatto di paranoia, di perdita, ma anche di poesia.
Anche nelle ultime interviste da lei rilasciate Merini definiva la sua follia come generata dalla confusione: diceva “all’inizio ero confusa”. E in questi versi sorprendentemente ritorna l’immagine della “confusione” mattutina, l’origine della pazzia. Tutta la poesia è una tensione dolorosa, il primo verso sembra dilatarsi come un urlo nella ripetizione anaforica del termine: “io sono folle, folle, folle d’amore per te”. La parola “folle” viene ripetuta tre volte ed è quella con cui la poetessa con cui si definisce; la parola “amore” viene citata soltanto una volta ed è la causa e pure la conseguenza “folle d’amore” del suo stato. La sofferenza alimenta l’amore e viceversa: è come se l’amore di Merini traesse linfa dall’abbandono, si incendiasse nel tormento. Lei che diceva in uno sbuffo di fumo della sua sigaretta: “Non ho paura della morte, ma ho paura dell’amore”.
Nel finale delle poesia l’amore è espresso attraverso la metafora della malattia:
“Ero malata di tua perdizione”.
Quello della poetessa era un delirio amoroso, la follia di chi si annienta nei sensi e nello spirito chiedendo in cambio, come pegno, una prova d’amore. Ma l’amore è malattia, nei versi di Merini, e non è cura perché contempla l’angoscia dell’abbandono che genera la follia. La follia, tuttavia, Alda Merini l’ha tramutata in una voce, femminile singolare, ma estendibile all’universale, a un canto per tutte le donne e per le loro sante guerre per l’emancipazione concepite come colpe e punite con la reclusione o, peggio, con la tortura. Nel Novecento, lo ricordiamo, bastava poco alle donne per finire in manicomio: una parola di troppo o un “no” pronunciato ad alta voce, un’abitudine insolita, una stranezza, un atteggiamento mascolino oppure, appunto, una follia d’amore.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Folle di amore per te”: la poesia di Merini che ha ispirato il film di Roberto Faenza
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