Fra Cristoforo o, forse, dovremmo dire Bernardo da Corleone? Uno dei personaggi più emblematici dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni non è pura invenzione letteraria, ma è ispirato a una storia vera.
Del resto, Manzoni lo ribadiva, come prima regola narrativa “Il vero per soggetto” e per ultima “L’utile per iscopo”.
Fra Cristoforo: la descrizione del personaggio
Nel capolavoro manzoniano Fra Cristoforo rappresenta il simbolo della cristianità e della devozione, in perfetta e speculare antitesi all’Innominato. A guardar bene, tuttavia, i due personaggi hanno storie simili: le loro vite sono infatti contrassegnate dall’episodio cruciale della conversione che, nel loro caso, a differenza di Don Rodrigo, non avviene in punto di morte.
Non v’è dubbio che tra i due personaggi, che appaiono in contrasto netto e allegorico, Fra Cristoforo rappresenti la luce, laddove la figura dell’Innominato è circonfusa da un’aura d’ombra sin dalla sua prima apparizione in scena. Il frate cappuccino incarna il messaggio della Provvidenza manzoniana, ma Manzoni lo ritrae in modo curioso, non affibbiandogli da subito caratteristiche e dettagli tipici di un prete canonico. Balzano subito agli occhi, infatti, le palesi differenze tra Fra Cristoforo e il curato Don Abbondio: laddove Don Abbondio ci viene presentato come un “vaso di terracotta in mezzo a tanti vasi di ferro”, pavido e tremante alla vista dei due bravi, ecco che invece Fra Cristoforo osa fronteggiare verbalmente Don Rodrigo, lo affronta in maniera molto diretta tra il V e il VI capitolo lanciandogli la celebre minaccia che di fatto poi si avvererà nel finale: “Verrà un giorno”. In punto di morte l’antagonista per eccellenza dei due Promessi Sposi ripenserà infatti alla minaccia del frate.
Già queste parole ci lasciano intendere che il buon frate non è un personaggio come gli altri, ma che qualcosa di nascosto ribolle sotto la superficie.
Nella persona di Fra Cristoforo, un uomo anziano dalla barba bianca, possiamo scorgere un dettaglio che non ci lascia indifferenti: Manzoni parla di due “occhi fiammanti”. Nessun aggettivo è fuori posto nei Promessi Sposi, parlando di quegli occhi fiammanti l’autore ci fa intendere l’irrequietezza di Fra Cristoforo, che ancora cova sotto le spoglie di una personalità docile e conciliante.
Tutto il ritratto di Fra Cristoforo è concentrato negli occhi, paragonati con una similitudine a due cavalli imbizzarriti, che ci rivelano le caratteristiche di una personalità ardente:
Il padre Cristoforo era un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquant’anni. Il suo capo raso, salvo la piccola corona di capelli, che vi girava intorno, secondo il rito cappuccinesco, s’alzava di tempo in tempo, con un movimento che lasciava trasparire un non so che d’altero e d’inquieto; e subito s’abbassava, per riflessione d’umiltà. (...) Due occhi incavati eran per lo più chinati a terra, ma talvolta sfolgoravano, con vivacità repentina; come due cavalli bizzarri, condotti a mano da un cocchiere, col quale sanno, per esperienza, che non si può vincerla, pure fanno, di tempo in tempo, qualche sgambetto, che scontan subito, con una buona tirata di morso.
La vera storia di Fra Cristoforo: buono o malvagio?
Nel capitolo IV dei Promessi Sposi attraverso un lungo flashback Manzoni ci narra la vita precedente di Fra Cristoforo, svelandoci sin dalle prime righe che il suo vero nome era Ludovico.
Il lettore apprende così che il povero frate cappuccino del convento di Pescarenico in passato era figlio di un ricco mercante, dunque era un nobile.
Il padre Cristoforo non era sempre stato così, né sempre era stato Cristoforo: il suo nome di battesimo era Lodovico. Era figliuolo d’un mercante di *** (questi asterischi vengon tutti dalla circospezione del mio anonimo) che, ne’ suoi ultim’anni, trovandosi assai fornito di beni, e con quell’unico figliuolo, aveva rinunziato al traffico, e s’era dato a viver da signore.
Il colpo di scena avviene quando Manzoni ci narra l’antefatto: ovvero che un bel giorno Ludovico, mentre camminava per la strada seguito dai suoi due bravi e di un giovane bottegaio di nome Cristoforo, quando incontra un signorotto arrogante e prepotente che aveva fama di essere suo nemico. La disputa con il signorotto per avere la precedenza lungo la strada sfocia nel sangue: inizia un duello e il signorotto uccide Cristoforo, il servitore di Ludovico, mentre Cristoforo - accecato dall’ira - uccide a sua volta con la spada il signorotto.
Dopo l’assassinio Ludovico cambia vita, si converte, diventa frate e decide di dedicare la propria vita ai poveri e agli umili. Prende il nome di Cristoforo, in memoria del giovane bottegaio ucciso. Nel finale del flashback il frate confessa di tenere sempre nelle tasche un tozzo di pane, detto il “pane del perdono”, che gli fu donato dal fratello del signorotto ucciso.
Nella conclusione del romanzo il buon frate farà dono di quel pane a Renzo e Lucia, raccomandando loro di tenerlo e farne dono ai loro figlioli perché possano sempre ricordare il senso della giustizia, persino in mezzo ai superbi e ai prevaricatori.
Quel pane diventa il simbolo concreto della “Provvidenza” manzoniana.
Il “pane del perdono” è dunque un’invenzione del nostro narratore, ma non tutta la storia è farina del suo sacco...perché la vicenda di Fra Cristoforo è molto simile a quella di un certo Bernardo da Corleone, vissuto nel Seicento, e divenuto santo.
Chi era Bernardo da Corleone, il vero Fra Cristoforo
Il vero nome di Bernardo era Filippo Latino, nacque il 6 febbraio 1605 in Sicilia, nella località di Corleone nella provincia di Palermo. Era figlio di Leonardo, un artigiano di pelletteria molto conosciuto in città, noto per le sue opere di bene.
Filippo era anche un abile spadaccino e, attorno ai ventisei anni, si trovò coinvolto in un duello con il nobile Vito Canino che ferì gravemente. Leggenda narra che, per timore di averlo ucciso, Filippo scappò e si rifugiò nel convento di Caltanisetta dove prese il nome di Bernardo. Si adoperò talmente nelle opere di carità da guadagnarsi il nomignolo di “Frate Buono”. Su di lui già in vita si diffuse una certa fama di santità; fu beatificato nel 1721 e infine canonizzato santo nel 2001.
Secondo alcuni critici Alessandro Manzoni si ispirò alla vera storia di Bernardo da Corleone per creare il personaggio - indimenticabile - di Fra Cristoforo, uno dei più belli e volitivi dei Promessi Sposi. Altri critici sostengono invece che il vero Fra Cristoforo fosse in realtà fratel Cesare Terzago, un frate carmelitano che attorno al 1630 curava i malati nel Lazzaretto di Milano e che, a sua volta, morì di peste. Possibile che l’ispirazione manzoniana fosse sfociata da un connubio tra queste due storie che si unirono nell’immaginazione dell’autore creando una storia dal fascino eterno.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Fra Cristoforo: la vera storia del personaggio dei Promessi Sposi ispirato a un santo
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Da sempre ho sostenuto, come si può leggere nella biografia da me scritta per la sua canonizzazione, il richiamo a fra Bernardo da Corleone (1605-1667) nel fra Cristoforo manzoniano. Mi fa piacere leggere qui la stessa mia (e di qualche altro studioso) intuizione!