Quando la donna con cui vive un’appassionata relazione, la contessa milanese Antonietta Fagnani Arese, nella primavera del 1802 guarisce da una grave malattia, Ugo Foscolo onora il felice momento componendo l’ode intitolata All’amica risanata.
Tuttavia la circostanza, per quanto importante e sentita dall’autore, gli offre soltanto lo spunto da cui partire per spingersi molto più in là della mera contingenza e abbandonarsi a una lucida e approfondita riflessione sulle tematiche che lo infiammano da sempre.
Nell’ode egli non celebra tanto Antonietta, quanto piuttosto la bellezza, femminile soprattutto, l’amore e la poesia. Non è ancora il Foscolo sublime dei Sepolcri, ma i motivi sui quali intesserà la trama del suo capolavoro, sono già presenti.
Analizziamo il testo dal punto di vista metrico, stilistico e critico.
All’amica risanata: testo e parafrasi dell’ode di Foscolo
Testo | Parafrasi |
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Qual dagli antri marini L’astro più caro a Venere Co’ rugiadosi crini Fra le fuggenti tenebre Appare, e il suo vïaggio Orna col lume dell’eterno raggio. Sorgon così tue dive Membra dall’egro talamo, E in te beltà rivive, L’aurea beltate ond’ebbero Ristoro unico a’ mali Le nate a vaneggiar menti mortali. Fiorir sul caro viso Veggo la rosa; tornano I grandi occhi al sorriso Insidïando; e vegliano Per te in novelli pianti Trepide madri, e sospettose amanti. Le Ore che dianzi meste Ministre eran de’ farmachi, Oggi l’indica veste, E i monili cui gemmano Effigïati Dei Inclito studio di scalpelli achei. E i candidi coturni E gli amuleti recano Onde a’ cori notturni Te, Dea, mirando obbliano I garzoni le danze, Te principio d’affanni e di speranze. O quando l’arpa adorni E co’ novelli numeri E co’ molli contorni Delle forme che facile Bisso seconda, e intanto Fra il basso sospirar vola il tuo canto. Più periglioso; o quando Balli disegni, e l’agile Corpo all’aure fidando, Ignoti vezzi sfuggono Dai manti, e dal negletto Velo scomposto sul sommosso petto. All’agitarti, lente Cascan le trecce, nitide Per ambrosia recente, Mal fide all’aureo pettine E alla rosea ghirlanda Che or con l’alma salute April ti manda. Così ancelle d’Amore A te d’intorno volano Invidiate l’Ore; Meste le Grazie mirino Chi la beltà fugace Ti membra, e il giorno dell’eterna pace. Mortale guidatrice D’oceanine vergini, La Parrasia pendice Tenea la casta Artemide, E fea terror di cervi Lungi fischiar d’arco cidonio i nervi. Lei predicò la fama Olimpia prole; pavido Diva il mondo la chiama, E le sacrò l’Elisio Soglio, ed il certo têlo, E i monti, e il carro della luna in cielo. Are così a Bellona, Un tempo invitta amazzone, Die’ il vocale Elicona; Ella il cimiero e l’egida Or contro l’Anglia avara E le cavalle ed il furor prepara. E quella a cui di sacro Mirto te veggo cingere Devota il simolacro, Che presiede marmoreo Agli arcani tuoi lari Ove a me sol sacerdotessa appari, Regina fu; Citera E Cipro ove perpetua Odora primavera Regnò beata, e l’isole Che col selvoso dorso Rompono agli euri e al grande Ionio il corso. Ebbi in quel mar la culla, Ivi era ignudo spirito Di Faon la fanciulla, E se il notturno zeffiro Blando su i flutti spira, Suonano i liti un lamentar di lira. Ond’io, pien del nativo Aër sacro, su l’itala Grave cetra derivo Per te le corde eolie, E avrai, divina, i voti Fra gl’inni miei delle insubri nipoti. |
Così come dagli anfratti marini la stella più cara a Venere come una chioma luccicante di rugiada tra l’oscurità delle tenebre che fuggono appare, e rende più bello il suo percorso celeste con la sua luce eterna, Così sorgono le tue divine forme corporee dal letto in cui eri malata, e in te rivive la bellezza, quella bellezza che sola diede conforto ai dolori di quelle menti umane nate per farsi illusioni. Vedo il viso a me caro fiorire colorandosi di rosa, tornano a sorridere i grandi occhi seduttori; e restano sveglie piangendo di nuovo a causa tua le ansiose madri, e le amanti sospettose. Le Ore che prima tristemente scandivano il tempo delle terapie, oggi il vestito pregiata, i gioielli le cui gemme raffigurano antichi Dei, degni del nobile lavoro di scalpelli greci, e gli stivaletti bianchi e gli amuleti ti portano per i quali ai balli notturni a te, o Dea, guardandoti i giovani dimenticano di danzare, tu che causi affanni e speranze. O quando rendi più bella l’arpa sia con nuove melodie sia con i morbidi contorni delle forme del tuo corpo cui con delicatezza la seta delle vesti aderisce, mentre fra i silenziosi sospiri il tuo canto vola ancora più seducente; o quando danzando crei volute nell’aria, e mentre corpo agile volteggia nell’aria le grazie nascoste sfuggono dalle vesti, e da quel trascurato velo che si è sgualcito sul petto che palpita. In quel movimento, le trecce si sciolgono lentamente, (le trecce) rese linde dal balsamo che da poco le ha lavate, con difficoltà trattenute dal pettine d’oro e da quella ghirlanda di rose che aprile ti ha donato insieme alla ritrovata salute. Come fossero serve d’Amore ti svolazzano intorno le Ore invidiate, le Grazie intristite guardino a chi ti ricorda l’inutilità della bellezza, e il momento della morte. La guida mortale delle sessanta ninfe sulla pendice del Parrasio stava la casta Artemide e terrorizzava i cervi facendo vibrare la corda dell’arco di Cidonio. La fama la proclamò figlia degli déi; gli uomini intimoriti l’hanno chiamata dea, consacrandole i Campi Elisi, la freccia infallibile, e i monti, e la Luna nel cielo. Ugualmente gli altari a Bellona un tempo amazzone invincibile, diede la voce di Elicona; ella adesso prepara l’elmo e lo scudo (la guerra) contro la rapace Inghilterra, insieme ai cavalli e alla sua furia. E quella dea di cui con il mirto sacro ti vedo cingere con devozione quella statua, che custodisce la parte più intima della tua casa di cui tu m’appari come l’unica sacerdotessa fu regina, e su Citera e Cipro che sempre profumano di primavera regnò felicemente, e sulle isole dai monti coperti di boschi che spezzano i venti e il Mar Ionio. Quel mare fu la mia culla (dove nacqui) e lì si aggira lo spirito puro della fanciulla innamorata di Faone, e se lo zefiro della notte soffia con dolcezza sulle onde sulle spiagge è possibile sentire il suono mesto di una lira: perciò io, ricolmo dell’aria sacra della terra in cui sono nato, nel solenne canto italico trasporto per te la lirica greca, e tu, divenuta divina, avrai i voti delle discendenti lombarde tra i miei canti. |
All’amica risanata: metrica, stile e figure retoriche dell’ode di Foscolo
All’amica risanata è un’ode composta da 16 strofe di 6 versi ciascuna.
Ogni strofa è formata da 5 settenari e un endecasillabo secondo lo schema metrico abacdD.
Queste le principali figure retoriche presenti:
- perifrasi: "l’astro più caro a Venere". Il pianeta è l’astro più brillante nel cielo quando sta per sorgere il sole
- ipallage: "egro talamo"
- similitudine: "fiorir... la rosa"
- sinestesie: "L’arpa adorni" e "balli disegni"
- latinismo: "cori notturni". Il latino chorus vuol dire ballo
- numerosi enjambment.
Lo stile neoclassico si ravvisa sia nei continui riferimenti alle donne della mitologia greca (Ore, ocenanine vergini, Artemide, Proserpina, Diana, Venere ecc.), sia nel richiamo letterario ad autori e opere antiche (in particolare al Purgatorio dantesco, all’ Eneide virgiliana e a Parini).
All’amica risanata: significato e spiegazione della poesia
All’amica risanata si può dividere in due parti:
- la prima (strofe da 1 a 9) si richiama direttamente alla contessa Arese,
- la seconda (strofe da 10 a 16) si concentra sulla mitologia e sul ruolo della poesia.
Prima parte
La guarigione della protagonista e destinataria del componimento, Antonietta Fagnani Arese, nell’atto di alzarsi dal letto in cui poco prima giaceva malata, viene paragonata da Foscolo all’apparizione di Venere nel cielo mattutino, la cui luce rischiara il buio degli abissi marini.
L’inizio, come si può facilmente notare, rievocando un passo dell’Eneide di Virgilio (VIII, 589 sgg.), lascia già presagire la vena mitologica che percorre l’ode.
Subito viene introdotto il tema della bellezza, fulcro della lirica, come unica consolazione agli affanni degli uomini.
Segue la lusinghiera descrizione della Fagnani Arese, al tempo stesso fisica e spirituale, ad ogni modo funzionale alla progressiva assimilazione della donna con la dea dell’amore Afrodite, tanto che qualunque suo gesto rimanda a quell’immaginario mitico che costituisce l’ossatura dell’opera.
Adesso che è guarita, con il colorito di nuovo roseo e la ritrovata vanità che la induce ad abbigliarsi con gli abiti e i gioielli più preziosi suscitando l’interesse degli uomini e la preoccupazione delle loro madri e mogli gelose, Antonietta torna ad essere dea.
L’essenza divina della contessa si evince anche dalla delicatezza dei suoi movimenti, sia quando suona l’arpa e canta che quando lietamente e con eterea leggerezza danza.
I capelli scompigliati e i vestiti leggeri che lasciano intuire le forme morbide del corpo, oltre a descrivere la protagonista, rivelano il misurato equilibrio della bellezza e della sensualità tipico dell’ideale neoclassico.
La nona strofa, con l’accenno alla transitorietà della bellezza e della vita stessa, destinata inevitabilmente a terminare con la morte, introduce l’argomento trattato nella seconda parte del componimento.
Seconda parte
Nella seconda parte di All’amica risanata, mediante accurati richiami mitologici, l’autore esalta la poesia come eternatrice della bellezza e dei più alti valori umani.
Le storie di Artemide e Bellona introducono l’idea prettamente foscoliana del poeta che solo, con i suoi versi, ha la facoltà di rendere vivo per secoli il ricordo della donna amata, esaltandola come immagine imperitura di bellezza e di virtù fisiche e morali.
Dopo un richiamo all’attualità storica, ovvero allo sforzo bellico della Francia contro la seconda coalizione, Foscolo torna a rivolgersi direttamente alla Fagnani Arese come se fosse una sacerdotessa di Venere, devota alla dea dell’amore un tempo regina delle isole greche affacciate sul Mar Ionio.
A questo punto giunge, ricorrente e puntuale, il cenno autobiografico con cui Foscolo ricorda la propria nascita a Zacinto, indimenticato luogo del cuore, prezioso custode dei momenti felici dell’infanzia, dell’antica spensieratezza del fanciullo non ancora amareggiato dalle delusioni e ignaro dei dolori della vita.
La lirica si chiude con la riaffermazione di quella che, secondo l’autore, è la missione del poeta: cantare ed eternare la bellezza dell’amata al punto da renderla una dea, a imitazione dei classici greci.
E così, grazie a questi versi, Antonietta Fagnani Arese riceverà i voti da parte delle milanesi che arriveranno dopo di lei.
All’amica risanata: analisi critica
La bellezza vive in eterno se un poeta la canta.
È questo, molto succintamente, il significato di All’amica risanata, che è un’ode in stile neoclassico sì, ma dove, come sempre accade in Foscolo, la perfezione formale, le colte reminiscenze letterarie e i riferimenti mitologici sono solo la cornice entro la quale si dispiegano pensieri ben più elaborati e complessi.
Considerata artisticamente superiore all’altra celebre ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo, All’amica risanata è una sorta di inno felicemente riuscito soprattutto per i toni intimistici che la pervadono diffusamente e per l’intensa vigoria espressiva che la caratterizza.
I due motivi centrali dell’opera, l’idealizzazione della bellezza femminile che sfocia nel mito e la poesia che è in grado di donarle l’immortalità, nel rincorrersi, legarsi e compenetrarsi all’interno del testo, ci restituiscono il nocciolo del pensiero foscoliano che troverà di lì a poco la sua estrinsecazione più compiuta ne I Sepolcri (1806).
La foggia neoclassica, ancora una volta, è solo un velo squarciato il quale si snodano le tensioni più vivide e i concetti più profondi che muovono la vena poetica, già preromantica, dell’autore, perennemente ossessionato dal pensiero angoscioso della morte ma anche dalla tenace volontà di superarlo.
E l’antidoto alla paura del "nulla eterno" Foscolo lo trova, sopra ogni cosa, nella poesia, intesa come manifestazione più elevata dello spirito e dell’arte, che sola può salvare dalla caducità e dall’oblio.
Il pensiero della morte si affaccia nel passaggio dalla prima alla seconda parte dell’ode, quando le ore che "volano" distolgono Foscolo dalla gioiosa contemplazione dell’amata e lasciano il posto alla mesta constatazione della fugacità della vita.
Ma è solo un attimo, perché subito, quasi a soccorrerlo, giunge una luce a rischiarare le tenebre: è, per l’appunto, quella della poesia, unica dispensatrice di immortalità.
Grazie a questi versi, Antonietta e la sua bellezza non morranno, vivranno invece a lungo, forse per l’eternità, restando sempre nel pieno del loro splendore.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “All’amica risanata” di Foscolo: parafrasi, analisi e significato dell’ode
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