Sulle opere e sulla vita di Pavese (1908-1950) moltissimi hanno scritto ma pochi, ahinoi, sono coloro ancora in vita che hanno avuto l’occasione di conoscerlo e di frequentarlo. È una questione di età. Luigi Einaudi, Natalia Ginzburg, Vittorini, Calvino, Lajolo (Il vizio assurdo. Storia di Cesare Pavese), Norberto Bobbio, Franco Antonicelli, Massimo Mila non ci sono più, come non sono più tra noi gli amori e le donne difficili di Pavese: Bianca Garufi, la pietra che rotola (1918-2006);
Fernanda Pivano, Gognin (1917-2009); Tina Pizzardo, la donna dalla voce roca (1903-1989) e i suoi amici più cari Mario Sturani e Pinolo Scaglione, il “Nuto” del romanzo La luna e i falò.
La curiosità e la necessità di documentarsi per uno scrittore sono due caratteristiche fondamentali per mettere in cantiere un romanzo, a maggior ragione se uno dei personaggi è proprio lo scrittore delle Langhe.
Cosicché mentre correggevo le bozze di questa mia storia, per ora inedita, ho preso coraggio e ho chiesto al mio attuale editore Solfanelli l’opportunità di scambiare qualche parola con Franco Ferrarotti che da giovane ha frequentato Cesare Pavese e ha scritto di questa amicizia nei libri Al Santuario con Pavese, EDB 2016 e Con Cesare Pavese fra il bosco e l’asfalto in silenziosa amicizia (Solfanelli 2023).
Con Ferrarotti ho avuto l’estate scorsa un piacevole scambio di e-mail e mi sono ritrovato, come in un sogno, nelle stanze della casa editrice Einaudi alla fine degli anni Quaranta, assaporando il clima culturale di quell’epoca.
Chi è Franco Ferrarotti
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Franco Ferrarotti (1926) ha una grande età ed è uno degli ultimi intellettuali del Novecento. È considerato il padre della sociologia italiana e tra i maggiori sociologi contemporanei a livello mondiale.
Ha lavorato da giovanissimo come traduttore per la casa editrice Einaudi e, sotto l’ala amica di Pavese, ha tradotto il libro La teoria della classe agiata (Einaudi 1949) del sociologo americano Thorstein Veblen suscitando una forte polemica con Benedetto Croce che aveva definito sul Corriere della Sera la sociologia una inferma scienza.
Professore universitario, deputato e tanto altro ancora, negli anni Cinquanta è stato il più stretto collaboratore di Adriano Olivetti. Ferrarotti ha conosciuto e discusso con altri intellettuali e scrittori importanti del Novecento, fra cui Aldo Capitini, Ignazio Silone, Giuseppe Pontiggia, Norberto Bobbio, Umberto Eco, Beppe Fenoglio, Cesare Zavattini, Geno Pampaloni e P.P. Pasolini e con Raf Vallone, un mito del cinema dell’epoca.
A proposito di Vallone ricordo che c’è un intreccio esistenziale in quanto l’attore fu uno degli attori del film “Riso amaro” e tra le attrici c’era Doris, la sorella dell’ultimo amore di Pavese: Costance Dowling, cui sono dedicate le poesie You Wind of March e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Per le due sorelle Pavese scrisse due soggetti cinematografici: Il diavolo sulle colline e Breve libertà (cfr. Rai Cinema e Cinema Nuovo del 1959).
Franco Ferrarotti e il ricordo di Pavese
All’età di 97 anni Ferrarotti, sempre con grande lucidità e originalità, ha pubblicato il suo ultimo lavoro Il Progresso. Rischio e responsabilità, Solfanelli 2023.
Ho sempre considerato Cesare Pavese un mio fratello maggiore (...) Ci dividevano circa vent’anni(...) Io ero un gappista sbandato ... Lui, già un grande ai miei occhi.
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Così scrive Ferrarotti nelle prime pagine del libro Al Santuario con Pavese. Il Santuario si trova su una delle più alte colline del Monferrato, nei pressi di Serralunga di Crea, in provincia di Alessandria.
Ai primi chiarori dell’alba salivamo lentamente, Pavese ed io, al modo di improbabili pellegrini medievali (...) Ai due lati della stradina... salivano con noi, armati e pronti a sparare, i soldati tedeschi in perlustrazione (...) Ci limitavamo a recitare, ad alta voce, nel nostro tedesco chiaramente enunciato, il finale del Faust di Goethe (...) I soldati tedeschi ci guardavano sorpresi.
Più avanti, nel capitolo Un uomo complesso e privato, Ferrarotti scrive che:
In Pavese era sempre presente... un sentimento religioso che lo rendeva estraneo allo storicismo laicistico allora dominante e lo spingeva invece allo studio dei grandi miti, archetipi strutturali...”
Nel capitolo Il realismo onirico Ferrarotti scrive:
Con Pavese, il 1949 fu per me, giovanotto di poche speranze... un anno a dir poco glorioso.
Nelle ultime pagine del suo libro, Ferrarotti ricorda che:
Vidi Pavese per l’ultima volta al suo ritorno da Roma: Mi complimentai per il Premio Strega (...) Credo di essere stata l’ultima persona a cui Pavese ha telefonato prima di suicidarsi. Non mi ha trovato, ero a Venezia.
Ferrarotti usa lo stesso registro narrativo anni dopo con il libro Cesare Pavese fra il bosco e l’asfalto in silenziosa amicizia edito da Solfanelli nel 2023. È un’amicizia che si consolida nelle passeggiate tra i sentieri delle colline.
“Passeggiate per me ciarliere e per il mio amico piuttosto taciturne” rammenta Ferrarotti.
A Casale Monferrato mi vedevo spesso con Cesare Pavese... Mi accadeva di pensare che mi fosse molto o anche troppo amico (...) Mi dava il modo di esprimermi, parlare, borbottare... senza il timore di venire preso in parola e redarguito da quel musone che camminava con me, assorto in pensieri lontani (...) Insieme si andava abbastanza spesso per le viottole delle discrete colline del Monferrato. (...) C’era tra di noi una ventina d’anni di differenza (...) A ripensarci, oggi, dopo tanti anni, mi rendo conto che la nostra amicizia era un fatto umorale più che intellettuale.
A proposito degli amori di Pavese, su cui molti critici e biografi hanno commentato sulla impotenza dello scrittore, Ferrarotti scrive:
Le donne. Adesso mi rendo conto che non ero in grado di capire il rovello dell’amico che, lungo e spilungone, mi camminava a fianco, borbottando. Per Cesare Pavese erano un enigma, un angosciante interrogativo, quasi un’ossessione (...) Non potevo, non ero in grado di aiutarlo. Mi limitavo a dirgli di non fare gran caso alle sue dèfaillances.
Ferrarotti nel capitolo Fra mito e storia fa una considerazione sul suicidio dello scrittore:
Temo lecito ritenere che Cesare Pavese sia stato ucciso due volte. In
primo luogo, per sia mano (...) La seconda volta...Pavese è stato ucciso dalle banali, frettolose spiegazione del suo gesto, ridotto alle consuete conseguenze di una delusione sentimentale.
Per concludere due libricini, quelli di Franco Ferrarotti, da leggere in silenzio, raccolti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il sociologo Franco Ferrarotti racconta l’amicizia con Cesare Pavese
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