Non esistono parole nella lingua italiana per indicare un genitore che perde un figlio, ma i poeti quelle parole le hanno trovate. In Giorno per giorno, composta nel 1946, Giuseppe Ungaretti dava voce al suo dolore per la perdita prematura del figlio Antonietto, morto a soli nove anni a causa di un’appendicite mal curata.
Il poemetto scandito in 17 strofe di Ungaretti può essere letto in parallelo a Pianto Antico di Giosuè Carducci. Nei componimenti i due poeti, entrambi padri, rievocano la morte dei rispettivi figli: il piccolo Dante per Carducci, Antonietto per Ungaretti. A differenza di Carducci, però Ungaretti non contempla l’elemento luminoso del sole nei suoi frammenti lirici: è una poesia nuda, spoglia, priva di colore e calore che sembra essere stata scritta in preda al pianto. Giorno per giorno, a differenza di Pianto Antico, si chiude con uno spiraglio di speranza: non c’è il riferimento alla terra negra, alla lapide tombale, ma alla possibilità di un nuovo incontro futuro. Se la lirica di Carducci si chiude nella contingenza terrena, quella di Ungaretti invece si spalanca alle infinite possibilità dello spirito.
Giorno per giorno è contenuta nella raccolta Il dolore (Mondadori, Milano, 1947) che Giuseppe Ungaretti definì “il libro che più amo, il libro che ho scritto negli anni orribili stretto alla gola”. Le parole quel dolore non erano riuscite ad alleviarlo, non erano state curative, però erano riuscite a trasformarlo in altro, a rendere quel grumo di buio custodito nel fondo dell’anima un’ emozione intensa e umana da condividere.
In questa poesia è contenuto infatti il celebre lacerante grido che molto spesso viene citato fuori contesto:
E t’amo, t’amo ed è continuo schianto!
Scopriamone testo, analisi e commento.
Giorno per giorno di Giuseppe Ungaretti: testo
"Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto..."
E il volto già scomparso
Ma gli occhi ancora vivi
Dal guanciale volgeva alla finestra,
E riempivano passeri la stanza
Verso le briciole dal babbo sparse
Per distrarre il suo bimbo...Ora potrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani...
E discorro, lavoro,
Sono appena mutato, temo, fumo...
Come si può ch’io regga a tanta notte?...Mi porteranno gli anni
Chissà quali altri orrori,
Ma ti sentivo accanto,
M’avresti consolato...Mai, non saprete mai come m’illumina
L’ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più...In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null’altro vedano
Quando anch’essi vorrà chiudere Iddio...E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto!...
Sono tornato ai colli, ai pini amati
E del ritmo dell’aria il patrio accento
Che non riudrò con te,
Mi spezza ad ogni soffio...Passa la rondine e con essa estate,
E anch’io, mi dico, passerò...Ma resti dell’amore che mi strazia
Non solo segno un breve appannamento
Se dall’inferno arrivo a qualche quiete...Sotto la scure il disilluso ramo
Cadendo si lamenta appena, meno
Che non la foglia al tocco della brezza...
E fu la furia che abbatté la tenera
Forma e la premurosa
Carità d’una voce mi consuma...Non più furori reca a me l’estate,
Né primavera i suoi presentimenti;
Puoi declinare, autunno,
Con le tue stolte glorie:
Per uno spoglio desiderio, inverno
Distende la stagione più clemente!...Già m’è nelle ossa scesa
l’autunnale secchezza,
ma, protratto dalle ombre,
sopravviene infinito
un demente fulgore:
la tortura segreta del crepuscolo
inabissato…Rievocherò senza rimorso sempre
Un’incantevole agonia di sensi?
Ascolta, cieco: "Un’anima è partita
Dal comune castigo ancora illesa..."Mi abbatterà meno di non più udire
I gridi vivi della sua purezza
Che di sentire quasi estinto in me
Il fremito pauroso della colpa?Agli abbagli che squillano dai vetri
squadra un riflesso alla tovaglia l’ombra,
tornano al lustro labile d’un orcio
gonfie ortensie dall’aiuola, un rondone ebbro,
il grattacielo in vampe delle nuvole,
sull’albero, saltelli d’un bimbetto…Inesauribile fragore di onde
si dà che giunga allora nella stanza
e alla freschezza inquieta d’una linea
azzurra, ogni parete si dilegua…Fa dolce e forse qui vicino passi
Dicendo: "Questo sole e tanto spazio
ti calmino. Nel puro vento udire
Puoi il tempo camminare e la mia voce.
Ho in me raccolto a poco a poco e chiuso
Lo slancio muto della tua speranza.
Sono per te aurora e intatto giorno.
Giorno per giorno di Giuseppe Ungaretti: analisi e commento
Link affiliato
La poesia di Giuseppe Ungaretti dedicata alla memoria del figlio Antonietto si apre proprio con le parole del bimbo, come se il poeta cercasse di restituirci la sua stessa voce imprimendola sul nastro invisibile della memoria.
È Antonietto infatti a dire alla madre con voce flebile: “Nessuno ha mai sofferto tanto”. Una frase già straziante di per sé che tuttavia fa un effetto ancor più tremendo se pronunciata dalla bocca di un bambino. Ungaretti fa di tutto infatti per consolare suo figlio: sparge delle briciole sul davanzale a stanza, gli indica i passeri in volo fuori dalla finestra. La contrapposizione tra gli occhi “ancor vivi” e il volto “scomparso” indica già la tragica condizione del piccolo, situato alla soglia tra la vita e la morte.
Nel secondo frammento di Giorno per giorno infatti il piccolo è morto e il dolore ormai è solo quello inconsolabile del padre che non trova pace. Ungaretti afferma che ormai solo in sogno potrà baciare di nuovo le mani di Antonietto: gli è stato tolto l’ultimo conforto, quello della presenza. Ora deve fare i conti con un’assenza incolmabile, impossibile da sopportare.
Tuttavia la vita riprende e, giorno per giorno, bisogna continuare a vivere. Ungaretti rivela il suo umore attraverso due metafore: “l’abito mutato” e il riferimento a “tanta notte” che testimoniano il suo buio interiore. Come sopravvivere nell’oscurità? si domanda in un grido. Con il figlio sembra essere morto il futuro ed è questa la consapevolezza più insopportabile.
Nell’oscurità più nera è però sempre il bimbo, come un piccolo angelo, a confortare il padre attraverso il ricordo. Ungaretti immagina Antonietto vivo, la sua cara ombra che gli si pone a lato “timida”. Il passato diventa così “favola” in contrapposizione all’incubo reale rappresentato dal presente.
La consolazione arriva guardando il cielo nelle cui sfumature al poeta pare di intravedere il volto di Antonietto. Si augura che il figlio sia la sua ultima visione, come una promessa, quando verrà il momento del trapasso.
Nel verso 8 appare, isolato, il grido lacerante in cui può essere condensato tutto il significato della poesia: “E t’amo, t’amo ed è continuo schianto!”. È la parola data al dolore, la frase che meglio racchiude il significato di “disperazione”. Lo schianto è come un urto violento che lacera l’anima del poeta, un male da cui non si può trovare riparo. Non c’è riparo, perché non si può smettere di amare chi è assente: la scomparsa, la morte, non pone fine all’amore.
Neppure il calore e la vitalità della stagione estiva riescono a rianimare il poeta che ormai vive in un perpetuo inverno. Le stagioni si susseguono solo sulla terra, ma non nel suo cuore.
Giorno per giorno può essere letta come il diario di una sofferenza. Ungaretti ripercorre il dolore a tappe come una personalissima via crucis: c’è la disperazione, poi il ricordo, la sofferenza insanabile per il distacco, infine la speranza in una resurrezione, in un nuovo incontro.
Nel finale è infatti lo spirito del figlio Antonietto a manifestarsi: di nuovo pronuncia parole, stavolta però sono parole di consolazione.
Il piccolo diventa “aurora” si trasfonde in luce - le anime, dicevano gli antichi, sono fatte di luce - e così dona al padre sofferente la certezza di poter affrontare la vita passo dopo passo, giorno per giorno, in attesa di quando i loro cammini si incroceranno di nuovo. Come se entrambi stessero camminando uno verso l’altro per ritrovarsi. Nella voce muta del figlio Ungaretti racchiude lo “slancio della speranza”, che è tutto quanto ci mantiene vivi.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Giorno per giorno”: la poesia di Giuseppe Ungaretti dedicata alla memoria del figlio
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Poesia Storia della letteratura Giuseppe Ungaretti
Lascia il tuo commento