Oggi facciamo quattro chiacchiere con Giovanna Casapollo autrice del libro La mia isola pubblicato nel 2008 da Grafica Del Parteolla. Giovanna ha scritto, con la stessa casa editrice il volume Sono venuta a trovarvi nel 2019.
- Quanto c’è di autobiografico in questo racconto e in questo libro?
Se per autobiografico intendiamo emozioni, sensazioni, stati d’animo, potrei dire che il libro è autobiografico, ci sono dentro io col mio carattere col mio modo di rispondere a degli stimoli emotivi, se parliamo delle storie che racconto posso dire che un buon cinquanta per cento sono storie che se in alcuni casi hanno preso spunto dalla realtà, per il resto sono costruzioni letterarie, romanzate di cui mi sono servita per ricostruire atmosfere ambientazioni che volevano dare il senso della sardità così come mi era apparsa quando sono venuta in contatto con una cultura diversa dalla mia.
Per esempio l’io narrante ricostruisce il suo arrivo come se si trattasse di una ragazza sola che appena arrivata incontra un giovane bello dagli occhi verdi che le parla della sua terra mettendola in guardia da atteggiamenti arroganti e invitandola ad amare la terra in cui è arrivata. Nella realtà io sono arrivata in Sardegna accompagnata da mia madre in aereo, quel fokker di cui si parla nel racconto, il mio primo volo e la prima persona che incontrai fu il bigliettaio della stazione delle complementari che con una specie di sorriso sarcastico mi disse: “siciliana vero” e io mi meravigliai non mi rendevo ancora conto che il mio modo di parlare era indicativo della mia provenienza. Tutto quello che scrivo è frutto della mia immaginazione, mi piaceva l’idea che questa ragazza avesse incontrato, appena messo piede sul suolo sardo, un bel ragazzo innamorato della sua terra.
Capisco che quanto sto dicendo può deludere il lettore, ma solo un lettore ingenuo pensa che l’autore di un libro racconti pedissequamente la sua vita, mentre un lettore critico sa che quanto scritto è un lavoro letterario e romanzato che più sembra vero più piace.
- Rievochi un fatto personale?
Quando conobbi la madre di Nino, il bel ragazzo incontrato alla sede di don Zanda, il prete del paese dove io e i miei colleghi andavamo a trascorrere il tempo libero giocando a ping pong e chiacchierando di Sicilia e di Sardegna, lei mi raccontò la sua tragedia di come era rimasta vedova per un incidente sul lavoro nelle cave d’argilla. Di questa storia me ne parlavano tutti e io quando ho scritto queste pagine ho immaginato questa donna giovane madre di sei bambini nel momento in cui viene a conoscere la notizia.
Naturalmente le cose non si sono svolte così come le ho narrate io, il momento sarà stato forse più drammatico, ma io ho voluto delineare l’immagine di una giovane eroina a cui uno scoppio di dinamite dà il segno che qualcosa di definitivo sia accaduto e che lei ha perso quello che era l’uomo della sua vita. Naturalmente ne approfitto per fare una polemica contro tutti gli sfruttamenti della cava da parte di compagnie continentali che in cambio di pochi posti di lavoro si arricchivano e lasciavano il territorio deturpato. Ancora oggi se ne vedono gli effetti, nessuno si è mai preoccupato di bonificare il territorio.
- Nel racconto di Martina ti sei ispirata ad una donna in particolare?
Si, conoscevo questa donna che accompagnava il figlio a scuola, me ne parlavano le maestre e io mi sono lasciata prendere da questa storia. Naturalmente la storia non è proprio così, Santina ebbe anche dei figli sani ma io ho provato a delineare l’immagine di una donna che sfida il suo tragico destino che vuole essere madre a tutti i costi e quando rimane incinta di un figlio dauwn si considera fortunata e si dedica con tutte le sue forze a questo bambino che ama disperatamente, che non morirà come gli altri e che si legherà profondamente a lei
- Che mi dici di “S’acabbadora”? Come hai costruito questo racconto come sei venuta a conoscenza di questa pratica
Di questa pratica se ne parla in Eutanasia ante litteram in Sardegna - Sa femmina acabbadora. Usi, costumi e tradizioni attorno alla morte in Sardegna di Alessandro Bucarelli, medico legale all’Università di Sassari e Carlo Lubrano, anche lui medico alla stessa Università, edito dall’editrice Scuola sarda
Io, che avevo letto questo libro, ho immaginato di incontrare questa donna e ho costruito questo bozzetto cercando di rendere credibile e drammatico il momento in cui s’acabbadora svolge il suo lavoro.
Se credo o no che sia realmente esistita non posso dirlo, penso che sia una delle tante storie che la cultura mediterranea ci ha tramandato fin dai tempi più antichi, dall’epoca della classicità ai nostri giorni.
- E il passaggio sulla luce mattutina?
Una delle cose che mi hanno stupito al mio arrivo in Sardegna è stata proprio la luminosità del cielo, ricordo che tutto mi sembrava più lucido, la campagna poi con tutto quel verde... a me abituata ad un ambiente cittadino il mondo appariva incantato, straordinario, poi quando ho incominciato a frequentarla facendo lunghe passeggiate ho scoperto i tappeti di ciclamini e di violette, i cespugli di corbezzolo con i frutti rossi, il mirto e quelle piante officinali di cui tutti conoscevano le proprietà. Io che non conoscevo nemmeno il nome delle piante ho imparato ad apprezzarle. Poi ho sposato un cacciatore e voi sapete che i cacciatori sono espertissimi della loro campagna, sanno riconoscere le singole piante e raccontano tutto di cinghiali, di pernici, di colombacci ....
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Giovanna Casapollo racconta il suo libro "La mia isola"
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“… partire, lasciare un’isola solare, colorata, ricca di suoni e voci, retaggio di popoli antichi, per arrivare in un’altra isola aspra, austera, silenziosa e diffidente verso “l’estraneo”. Il viaggio narrato da Giovanna Casapollo che agli inizi degli anni settanta, come tanti altri giovani laureati del sud, ha lasciato la Sicilia per iniziare in Sardegna un’attività professionale, con un filo di nostalgia ma anche con tanta voglia di sperimentare. Da isola a isola, quindi. Da una terra di emigranti ad un’altra terra di emigranti che la coglie con parole beffarde del giovane incontrato alla stazione di Cagliari: “un’altra siciliana!”. E subito le elenca le peculiarità della sua terra: boschi secolari, paesaggi popolati da giganti rocciosi scolpiti dal tempo, costruzioni millenarie di popoli guerrieri infine la barriera di una lingua arcaica, dura, incomprensibile; quella lingua che spesso i sardi usano come difesa o come barriera per escludere “l’altro” ma che poi si apre: ‘se vuoi vivere qui devi ascoltarci, amarci’. L’autrice descrive con minuziosità il suo approccio con la nuova realtà, che narra non da osservatrice asettica ma entrando nel cuore delle persone e delle loro vicende. Questa nuova realtà viene assorbita, assimilata attraverso la quotidianità della vita paesana: il lavoro, la religiosità, i momenti di lutto e di festa, il contatto con la natura, i riti dell’ospitalità. Anche la lingua non è più ostile, impenetrabile ma l’aiuta ad esprimere emozioni e sensazioni completando il suo percorso di condivisione e di integrazione...” (M;Perlato)