Giustizia, roba da ricchi
- Autore: Elisa Pazè
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Laterza
- Anno di pubblicazione: 2017
“La legge è uguale per tutti” è la scritta che campeggia in tutte le aule dei tribunali, un assioma che presuppone una verità assoluta che si incrina di fronte all’enunciato che dà il titolo al saggio di Elisa Pazè, “Giustizia, roba da ricchi”.
In questo libro si esplicita come la giustizia non sia affatto uguale per tutti, un’affermazione inquietante che, però, trova il proprio fondamento nelle statistiche giudiziarie che mostrano impietosamente le anomalie del meccanismo giudiziario. Le carceri traboccano di ladruncoli, piccoli spacciatori, migranti irregolari oltre che, chiaramente, di qualche omicida, di stupratori, mafiosi e camorristi. Di contro bancarottieri, evasori fiscali, corrotti e corruttori, non hanno dimestichezza con le patrie galere e quello che per gli emarginati è la regola, per i benestanti, invece, è l’eccezione.
Elisa Pazè, magistrato e sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Torino, si è occupata di reati economici e tributari ma la tesi che sta alla base del suo saggio non trova la sua motivazione principale nella condotta dei magistrati quanto, piuttosto, in leggi antiche e obsolete, improntate ad una distorta scala di valori, che questi ultimi devono applicare. Il Codice Penale in vigore risale all’epoca fascista: ha subìto nei decenni successivi qualche modifica che, però, non ha alterato sostanzialmente l’impianto originario di forte tutela della proprietà privata. Ne derivano pertanto pene molto gravi per i reati cosiddetti dei poveri, i reati predatori, quelli di strada (furti, rapine, scippi), specie se confrontati con altri reati lesivi di interessi del patrimonio della comunità come quelli ambientali.
Nella riforma penale in discussione in Parlamento, sarà ancor più accentuata la tendenza diretta ad aggravare le pene per i reati dei poveri. Il furto in abitazione ora punito con un anno, sarà sanzionato con tre anni di detenzione, la pena per la rapina è aumentata da tre a quattro anni e quella per il furto aggravato da uno a due anni. In quest’ultima tipologia di reato viene ricompreso il furto di un bene rubato in un supermercato del valore di pochi euro ma, al riguardo, una sentenza della Cassazione (Cass. Pen., Sez. V, sent. 7 gennaio 2016, dep. 2 maggio 2016, n. 18248, Pres. Fumo, Rel. Morelli) ha enunciato il principio di diritto secondo il quale il furto per fame di una modica quantità di cibo non costituisce reato, dal momento che è giustificato dallo stato di necessità.
“l’equazione crimine e criminale che giustifica l’introduzione di leggi più severe nei confronti di gruppi sociali considerati per sé delinquenziali non vale per le classi egemoni, i c.d. colletti bianchi”
Occorre dirigersi verso un diritto penale minimo, non più verso una miriade di leggi che affiancano il Codice. Si calcola che vi siano circa cinquemila reati, tra delitti e contravvenzioni, essendo la prescrizione del diritto penale divenuta simbolica poiché di volta in volta scaturisce da un’emergenza. L’intento politico è quello di accontentare le persone, inseguendo l’elettorato con l’istituzione di nuove figure di reati. Occorrerebbe, invece, la previsione di pochi reati, descritti in modo chiaro, in un unico codice, con previsioni e norme coerenti. Sul processo civile lo Stato continua a riconoscere diritti che non è in grado di garantire e per scoraggiare la domanda di giustizia adotta una strategia opinabile, quella di far lievitare i costi processuali.
Giustizia, roba da ricchi
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