“Probabilmente non sei più chi sei stata ed è giusto che sia così”: è un celebre verso di Eugenio Montale che spesso viene citato singolarmente, estrapolato dal proprio contesto originario giungendo così a ottenere tutt’altro significato. Appartiene alla poesia Gli uomini che si voltano, inclusa nella raccolta Satura (1971) scritta da Montale dopo la scomparsa della moglie, Drusilla Tanzi, chiamata affettuosamente “Mosca”.
Cosa voleva affermare il poeta Premio Nobel con quel verso? Una verità diversa da quella proclamata oggi da chi cita fuori contesto la frase sui social network, inserendola come didascalia a foto o immagini profilo: “sono cambiata” vogliono dire le utenti, senza rendersi conto che il poeta ligure, in realtà, si stava riferendo a una persona scomparsa, che tuttavia continuava a parlargli attraverso remote lontananze. Gli uomini che si voltano è una lirica che appartiene alla stagione dell’ultimo Montale, alla sua poesia più metafisica in cui il varco che separa mondo fisico e altrove si è fatto così sottile da apparire irrisorio.
Il titolo della poesia riprende, rimaneggiandolo, il verso finale di Forse un mattino andando in un’aria di vetro, contenuta nella prima raccolta montaliana, Ossi di seppia (1925):
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Qui il poeta capovolge l’assunto togliendo la negazione: “gli uomini che si voltano”, una variazione significativa perché indica l’intento preciso di togliere dalle cose il velo dell’illusione, la maschera dell’apparenza, per guardare dritto dentro la verità del dolore umano. A dominare nei versi è una forma di inquietudine introspettiva che nel finale diventa indagine, il tentativo di afferrare qualcosa del mistero dei misteri: ovvero la morte. Ancora una volta Montale cerca di modulare un richiamo, un fischio, un segno di riconoscimento per comunicare con “l’altrove”, come aveva scritto in Avevamo studiato per l’aldilà. In bilico tra i due mondi, il regno dei vivi e quello dei morti, il poeta si interroga circa il concetto di esistenza. A noi che siamo ancora in vita, afferma Montale nel finale senza tuttavia rinunciare al contrasto dettato dall’interrogativa indiretta: “o era un inganno crederlo”? Ora il punto di domanda conclusivo è d’obbligo, ma l’autore scelse di chiudere con una formula solenne e grave, senza lasciare spazio alla formulazione di un quesito. Lui aveva già ottenuto, del resto, la propria risposta.
Scopriamone testo, analisi e commento.
“Gli uomini che si voltano” di Eugenio Montale: testo
Probabilmente
non sei più chi sei stata
ed è giusto che sia così.
Ha raschiato a dovere la carta a vetro
e su noi ogni linea si assottiglia.
Pure qualcosa fu scritto
sui fogli della nostra vita.
Metterli controluce è ingigantire quel segno,
formare un geroglifico più grande del diadema
che ti abbagliava.Non apparirai più dal portello
dell’aliscafo o da fondali d’alghe,
sommozzatrice di fangose rapide
per dare un senso al nulla. Scenderai
sulle scale automatiche dei templi di Mercurio
tra cadaveri in maschera,
tu la sola vivente,
e non mi chiederai
se fu inganno, fu scelta, fu comunicazione
e chi di noi fosse il centro
a cui si tira con l’arco dal baraccone.Non me lo chiedo neanch’io. Sono colui
che ha veduto un istante e tanto basta
a chi cammina incolonnato come ora
avviene a noi se siamo ancora in vita
o era un inganno crederlo. Si slitta.
“Gli uomini che si voltano” di Eugenio Montale: analisi e significato
Dobbiamo leggere questa poesia dell’ultimo Montale, proprio come Ex voto, una poesia di inappartenenza che, nelle intenzioni dell’autore premio Nobel, tende a magnificare il “tutto in fuga”. I versi iniziali sono dedicati alla moglie Drusilla, detta “Mosca”: è lei la destinataria per eccellenza della raccolta Satura, in particolare della prima parte, le sezioni Xenia I e Xenia II, che prendono il nome dagli Epigrammi di Marziale secondo cui gli “xenia” erano, per l’appunto, i doni nell’Antica Grecia, secondo la tradizione gli “xenia” erano i regali che l’ospite faceva al proprio visitatore una volta che quest’ultimo era tornato a casa. Si tratta, dunque, di una poesia di omaggio, ma anche del tentativo disperato, irrisolto, di instaurare un dialogo con l’aldilà, di comunicare attraverso un linguaggio che riesca a esprimere ciò che la limitata comunicazione umana non riesce a dire. Il punto più alto della raccolta è toccato dalla nota poesia Ho sceso dandoti il braccio che inaugura il dialogo affettuoso tra il poeta e l’amata Mosca.
Dobbiamo leggere Gli uomini che si voltano in continuità con le poesie precedenti in modo che si strutturi come un prosieguo: in questi versi Montale procede per contrasti e paradossi, annullando la distanza invalicabile tra morte e vita, invertendo i ruoli. Ora i vivi sono i veri morti e i morti sono vivi.
tra cadaveri in maschera,
tu la sola vivente
Tutte le poesie contenute nella raccolta Satura si strutturano come una riflessione sull’insensatezza della società consumistica, la crisi dei valori nell’epoca sfrenata del capitalismo: domina la meditazione malinconica, il pessismismo lucido, la tristezza velata come sottofondo impalpabile della vita quotidiana. Montale osserva gli uomini del proprio tempo con un’ironia tagliente che diventa uno strumento conoscitivo affilato come un bisturi: decostruendo la realtà cosiddetta “vitale”, il poeta sembra sminuirne il significato. Da qui l’apoteosi della poesia metafisica: c’è un mondo altro che conta più del mondo dei viventi, una dimensione parallela cui ora ha accesso solo la compianta Mosca, la moglie perduta che ora gli “parla dal buio”, come scrive in un’altra poesia della raccolta.
Caro piccolo insetto
che chiamavano mosca non so perché,
stasera quasi al buio
mentre leggevo il Deuteroisaia
sei ricomparsa accanto a me,
ma non avevi occhiali,
non potevi vedermi
Quell’appellativo, “Mosca”, era dovuto alla forte miopia di Drusilla che portava degli occhiali dalle spesse lenti per riuscire a vedere. Ma le sole vere pupille, ricorda Montale in Ho sceso dandoti il braccio, che riuscivano a vedere la realtà delle cose, sebbene fossero “tanto offuscate”, erano le sue. Alla moglie il poeta riconosce la capacità di vedere le cose per ciò che effettivamente sono, al di là del velo dell’apparenza. In Gli uomini che si voltano la dicotomia tra apparenza e realtà si fa ancora più stringente e inevitabile: l’io lirico cammina in bilico tra due mondi, tra realtà e nulla; ma siamo sicuri che il nulla sia davvero nulla? Questo l’enigma montaliano per eccellenza.
I “geroglifici” cui fa riferimento Montale nella prima strofa sono un tentativo di decifrazione del linguaggio dei morti: Drusilla, per quanto amata, era un mistero in vita così come lo è ora in morte. Il poeta ligure sembra lasciare una domanda inespressa tra le righe: quanto sappiamo davvero delle persone che amiamo? Ora la moglie gli sfugge per sempre, non può più vederla negli scenari consueti: non è un caso che Montale - legato al paesaggio ligure che aveva reso protagonista assoluto in Ossi di seppia (1925) - la immagini immersa in un paesaggio marino, dove il mare con i suoi fondali oscuri, i suoi abissi, si fa metafora della profondità e della complessità di Drusilla, definita “sommozzatrice di fangose rapide”: è colei che va a fondo delle cose e, al contempo, la sola capace di dominare il caos dell’esistenza. Ora che lei manca, osserva il poeta, è venuto meno il senso, il nulla della vita si rivela in tutta la propria lucida ovvietà.
Nella seconda parte Gli uomini che si voltano sembra richiamare la poesia del primo Montale, Forse un mattino andando in un’aria di vetro, nella quale è contenuto anche il verso che dà il titolo al componimento. Quella poesia giovanile, composta nel lontano 1923, era la rivelazione della vanità delle percezioni umane, trovava il proprio culmine in un’epifania rappresentata dalla parola “miracolo”: grazie a quel “miracolo” il poeta prendeva coscienza dell’inutile velo dell’apparenza depositato sulla realtà e dietro vi scorgeva il nulla con un “terrore di ubriaco”. Nel finale il poeta si allontava nella schiera degli uomini che non si voltano tenendo per sé il suo “segreto”. In questa altra poesia, composta nel 1969, Montale riprende lo stesso tema intitolandola Gli uomini che si voltano: stavolta il poeta guarda in faccia il nulla, l’arido vero di leopardiana memoria e non teme di dire di aver veduto “un istante e tanto basta”. Ora il “nulla” non fa più paura a Montale, la sua poesia diventa metafisica perché adesso sa che c’è qualcuno dall’altra parte del silenzio, ad attenderlo. Ora che Drusilla, l’amata “Mosca”, non è più in vita, lo schermo già fragile del reale si è fatto più sottile della carta a vetro ed è possibile vedere dall’altra parte. Il poeta continua a camminare tra la schiera degli uomini incolonnati lungo la via inevitabile del destino mortale, consapevole dell’inganno insito nell’essere vivi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Gli uomini che si voltano” di Eugenio Montale: una poesia in bilico tra realtà e nulla
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