Hai visto la luna?
- Autore: Puk Damsgard
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Sperling & Kupfer
- Anno di pubblicazione: 2016
“Ciao Puk, sono Daniel. D’accordo , ci ho pensato. Ti racconterò la mia storia”.
È da questo messaggio su Facebook, inviato da Daniel Rye alla giornalista Puk Damsgard, ch’è nato uno dei primi libri sull’inferno in terra patito dagli occidentali prigionieri dell’Isis negli ultimi anni. “Hai visto la luna?” è stato pubblicato ad aprile 2016 da Sperling & Kupfer (pp. 312, euro 18,50), racconta il sequestro e la detenzione di un fotoreporter danese nelle carceri del Califfato, la trattativa per il riscatto e quanto è avvenuto successivamente alla liberazione
Ricevuto l’OK via social, Puk Damsgard, corrispondente dal Medio Oriente per la radiotelevisione di Copenaghen, ha incontrato Daniel, fotografo freelance venticinquenne rapito in Siria, dov’era impegnato in un reportage sulla guerra civile che la insanguina tuttora. Rye è rimasto 398 giorni nelle mani di maniaci assassini.
Otto dei tredici mesi di prigionia li ha trascorsi insieme ad altri prigionieri, tra questi, il giornalista americano James Foley, diventato suo amico e che gli ha affidato gli ultimi saluti da potare a voce ai familiari. Si ricorderà che nell’agosto 2014, Foley è stato il primo ostaggio occidentale ad essere decapitato dal terrorista kuwaitiano-inglese diventato noto col soprannome di Jihadi John. Complessivamente, sono stati uccisi sei dei ventiquattro compagni di prigionia nella prigione di Raqqa, cinque donne e diciannove uomini di tredici Paesi diversi.
Il lavoro di Puk Damsgard è un documento coinvolgente, spesso scioccante. Questa è la storia - scrive la cronista danese nella premessa - di come un uomo è sopravvissuto ad uno dei più clamorosi sequestri dei giorni nostri, commesso da fondamentalisti islamici, una delle organizzazioni più brutali al mondo. Il racconto giornalistico si basa su conversazioni con Daniel e la famiglia, con ex prigionieri, jihadisti e varie fonti danesi e straniere.
Nella ricostruzione si incontrano momenti di orrore, ma non mancano parentesi meno drammatiche. Nelle difficoltà, le risorse umane si moltiplicano e come un Robinson Crusoe moderno Daniel ricorda di aver sollevato il morale dei compagni di prigionia organizzando passatempi divertenti. Si sfidavano a RisiKo, avevano improvvisato un gioco da tavolo rudimentale
“ed io facevo esercizi di ginnastica e li insegnavo agli altri”.
Tanti gli episodi nel corso della lunga detenzione, tanti gli incontri, le persone, perfino i profili di gente “malata”. Tra i fanatici tagliagole, Daniel ricorda un carceriere, di cittadinanza francese e origini algerine. Da foreign fighter si faceva chiamare Abu Omar, era un picchiatore sadico, ammirava noti attori e famigerati delinquenti, aspirava a diventare famoso come loro. Sogno che ha realizzato: infatti è Mehdi Nemmouche, il ventinovenne francoalgerino di Roubaix, autore nel 2014 dell’attentato islamista al Museo ebraico di Bruxelles. Come si osserva nelle immagini delle telecamere di sorveglianza, il 24 maggio ha ucciso a colpi di kalashnikov due turisti israeliani, un francese e un dipendente del museo. Venne arrestato in un controllo casuale a Marsiglia, a bordo di un pullman. Abu Omar-Nemmouche è a suo modo un capostipite: il suo è stato il primo attentato in Europa il cui autore aveva dei collegamenti con l’ISIS.
Questo stesso uomo, incarcerato in Belgio, pare sia stato in grado di comunicare con Salah Abdeslam, “sopravvissuto” alla strage di novembre a Parigi (Bataclan). Erano in celle non lontane – tutt’altro che una leggerezza degli inquirenti, probabilmente un espediente per portarli a tradirsi – e pare gli abbia urlato di mantenere la bocca chiusa e di non parlare con la polizia.
Viene considerato un assassino asociale, anche se ha dimostrato di avere contatti con la cellula belga fondamentalista e di saper riconoscere gli attentatori dell’aeroporto di Zaventem individuati nei filmati. Quelli erano aspiranti suicidi pronti a morire, il “camionista” di Nizza era un disagiato esaltato, Salah invece un po’ di fifa l’ha provata, ma fino al momento in cui si è liberato della cintura esplosiva invece di sacrificarsi era spinto dall’odio, come gli altri.
È quello che colpisce, l’odio etnico, indiscriminato, verso occidentali di ogni età, sesso, condizione. In Europa sono lupi solitari – scrive Puk Damsgard - nel nord della Siria invece quelli dell’Isis sono uomini armati che si aggirano con lo sguardo folle e feroce.
Anche l’autista sorridente che ha scortato la giornalista diceva di aver combattuto per il Califfato. “Ma ora non più”, assicurava…
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