Della vita di Hector Luis Belial si sa soltanto che è nato nel 1987 e vive a Milano. Nessun’altra nota biografica o foto. Ha alle spalle due romanzi - “Saxophone Street Blues” (Editore Las Vegas, 2008) e “Making Movies” (Editore Las Vegas, febbraio 2009) - e riconoscimenti letterari importanti come il Subway e uno sfiorato Campiello Giovani, col racconto “Il problema dei sogni” arrivato in semifinale nel 2008. I curiosi lettori che avranno voglia di scavare nella sua quotidianità possono seguirlo sul blog (http://hectorbelial.blogspot.com) in cui, fra le altre cose, Hector si diletta a raccontare le sue biografie potenziali.
Hector, intanto ti do il benvenuto a quella che non sarà la solita intervista chilometrica, ma solo 4 chiacchiere contate.
- Prima chiacchiera: In alcune interviste spieghi questa decisione di non voler lasciare trapelare la tua vita vera, il tuo volto, come un lusso che puoi concederti perché sei uno scrittore, che gode della facoltà di scegliere di dire e basta, attraverso parole d’inchiostro. Mi chiedo se dietro le tue nobili motivazioni non vi sia anche la paura che raccontarsi con sincerità e regalare al pubblico la propria esistenza possa disattendere le aspettative, deludere in qualche modo il lettore. E poi uno scrittore misterioso, che si presenta agli incontri mascherato e ha scelto un nome così forte e particolare (Belial è Satana) incuriosisce e forse vende di più. Sbaglio?
Curiosamente, utilizzando gli stessi mezzi, tu (n.d.r. Matteo Grimaldi) ed io abbiamo costruito due tipi di rapporto col pubblico agli antipodi tra loro. Attraverso un blog, tu rendi pubblica la tua vita, io invece la mistifico e la reinvento. E’ chiaro che questi atteggiamenti rispecchiano, in qualche modo, le nostre relative personalità. Proiettandoli sul piano letterario, possiamo poi trovare giustificazioni e precedenti illustri; non tuttavia, dubito che, in fin dei conti, le mie motivazioni si possano considerare più o meno nobili delle tue… mi sembrano scelte fondamentalmente estetiche, e pertanto, soggette a giudizi di valore del tutto soggettivi.
Quanto all’incuriosire e vendere di più, non saprei. Non dico che mi dispiacerebbe, ma pare che a vendere meglio siano piuttosto gli autori che non rinunciano alla comparsata televisiva o al sorriso in quarta di copertina.
- Seconda chiacchiera: “Saxophone Street Blues” è ambientato in una metropoli fittizia, “Making Movies” a New York. Nel tuo blog dici di non averla mai visitata e che la New York che fai teatro delle vicende è una sorta di risultanza di tutte le New York che hai conosciuto attraverso la cultura popolare, da Taxi Driver ai Guerrieri della notte. Non pensi che, non essendoci mai stato, tu abbia stereotipato l’ambientazione del tuo romanzo e aver privato la tua storia dei profumi, dei suoni, di tutte quelle atmosfere reali e per questo forti e credibili?
Bisognerebbe dire che tutta la letteratura è fantastica, scriveva quel noto autore che ho il vizio di citare spesso (n.d.r. Jorge Luis Borges). Che cosa significa questo? Beh, io credo che voglia dire che c’è un dominio specifico per letteratura, che corrisponde al dominio della finzione. Trovo che ogni forma di realismo, verismo, o neorealismo che dir si voglia finisca inevitabilmente per scontrarsi con la soggettività dell’autore, oltre che con le caratteristiche specifiche della forma-romanzo, fisiologicamente diverse da quelle del lavoro giornalistico, storico, filosofico – per quanto ne possano essere contaminate. Alla luce di queste considerazioni, ho rinunciato deliberatamente ad ogni velleità di realismo. Tendo anzi a sottolineare la natura fittizia dei miei scritti.
Venendo alla New York di “Making Movies”, mi si potrebbe accusare di aver utilizzato materiale di seconda mano. In realtà ho voluto sfruttare la forza della cultura popolare; c’è chi la snobba e chi la considera superiore alla cultura convenzionale… io dico, semplicemente: pensiamo all’immensa quantità di immagini e connotazioni che ognuno di noi associa a luoghi come New York, Manhattan, il Bronx, perfino senza averli visitati di persona. Queste immagini ci derivano dal cinema, dalla televisione, dai giornali, dal rock, dai romanzi. Sono così vivide e consistenti da andare al di là del semplice stereotipo: saranno a volte il grezzo fondale di cartone di opere di consumo, altre, parti integranti di grandi opere d’arte. Ad ogni modo, costituiscono una miniera di informazioni condivise dai lettori. Temo allora che sarebbe un errore sottovalutare questo materiale quando possiamo rimaneggiarlo per i nostri scopi.
- Terza chiacchiera: Ho notato che ti piace buttare nel calderone personaggi e vicissitudini apparentemente slegati per poi ricomporre i pezzi di un puzzle imprevedibile, nel corso della narrazione. Sembrerebbe la metafora della vita, in cui le cose accadono presumibilmente senza nessuna trama scritta e gli incontri cambiano le strade di uomini che sembravano non aver nulla a che fare gli uni con gli altri. Molti le chiamano casualità, qualcuno coincidenze, qualcun altro fortuna, pochi destino. Tu credi nel destino?
Veramente mi considero una persona piuttosto razionale, ed anche abbastanza scettica. Non leggo nemmeno l’oroscopo! Forse proprio per questo nei miei scritti mi piace esplorare le dimensioni del sogno, dell’allucinazione, dei destini ineluttabili…
- Quarta chiacchiera: Ti ha pescato Andrea Malabaila, scrittore e giovanissimo editore di “Las Vegas Edizioni” che si è sempre vantato di te come del suo pupillo. Senti un po’ la responsabilità di essere la punta di diamante della casa editrice? Raccontaci l’incontro con lui: avevi provato a contattare altri editori oppure ti è andata subito alla grande?
Se dovessimo contenderci il titolo di Punta di Diamante di Las Vegas sicuramente ci sarebbero tutti i motivi per una zuffa! Per fortuna con gli autori che ho avuto modo di conoscere c’è più amicizia che competizione, anche perché pratichiamo tutti generi e stili molto diversi l’uno dall’altro.
C’era un romanzo, prima di Saxophone Street Blues, che si chiamava Spaghetti Pulp. Quello l’avevo proposto ad un certo numero di editori, senza alcun successo, e così alla fine l’ho accantonato. Con SSB è stato diverso. Ho terminato la stesura finale proprio nei giorni in cui Las Vegas apriva i battenti, ed era effettivamente alla ricerca di nuovi testi. Devo ammettere di aver pensato ad una qualche truffa, quando, dopo pochi giorni dall’invio del manoscritto, Andrea mi ha risposto confermandomi l’interesse a pubblicare il romanzo! Le cose però sono andate diversamente e mi sono trovato molto bene in questo progetto editoriale.
Questa era l’ultima chiacchiera e quindi ti saluto e ti ringrazio per aver accettato il mio invito. E, se un giorno dovessi decidere di rivelare la tua identità, concedici l’esclusiva.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Hector Luis Belial
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