Questa poesia di Montale fu pubblicata postuma, fa parte della raccolta Altri versi e poesie disperse (1981). Ho tanta fede in te era dedicata a una donna, Clizia, il nom de plume dietro il quale si celava Irma Brandeis, la giovane americana studiosa di Dante che il poeta aveva conosciuto a Firenze mentre lavorava al Gabinetto Viesseux. Il riferimento dantesco è presente anche in questo componimento, quando Montale allude al “divino poema” di cui si troverà a discutere qualche verso dall’interpretazione ambigua con l’amata in un presunto aldilà.
La fede di cui parla il poeta ligure in questi versi è una fede laica, infatti Montale affermò di vedere nella figura di Cristo soprattutto un uomo, divenne credente solo negli ultimi anni di vita ma si premurò sempre di dichiararsi “un cristiano senza dogmi”.
Del resto lui era sempre stato il poeta del dubbio, credeva - come dimostra anche in questa intensa lirica - che solo nella fede in un altro essere umano fosse riposta la vera salvezza in grado di riempire, cioè, il vuoto lasciato dall’assenza di Dio.
In questa poesia apocalittica, scritta probabilmente negli anni tumultuosi della Seconda guerra mondiale che segnarono il distacco definitivo tra il poeta e Clizia, troviamo il seme di una perdita di senso mollo contemporanea.
Professando la propria fede laica nella donna - l’amore per Clizia veniva a sostituire l’amore per Dio - Montale teorizzava l’impossibilità della dimensione ultraterrena “oltre il visibile e il tangibile non è vita possibile”: l’amore è in terra e non in cielo e in questo mondo, lontano dalla dimensione celeste, siamo tutti orfani di Dio.
Vediamone testo e analisi.
“Ho tanta fede in te” di Eugenio Montale: testo
Ho tanta fede in te
che durerà
(è la sciocchezza che ti dissi un giorno)
finché un lampo d’oltremondo distrugga
quell’immenso cascame in cui viviamo.
Ci troveremo allora in non so che punto
se ha un senso dire punto dove non è spazio
a discutere qualche verso controverso
del divino poema.So che oltre il visibile e il tangibile
non è vita possibile ma l’oltrevita
è forse l’altra faccia della morte
che portammo rinchiusa in noi per anni e anni.Ho tanta fede in me
e l’hai riaccesa tu senza volerlo
senza saperlo perché in ogni rottame
della vita di qui è un trabocchetto
di cui nulla sappiamo ed era forse
in attesa di noi spersi e incapaci
di dargli un senso.Ho tanta fede che mi brucia; certo
chi mi vedrà dirà è un uomo di cenere
senz’accorgersi ch’era una rinascita”.
“Ho tanta fede in te” di Eugenio Montale: analisi e commento
Quello descritto da Montale è un mondo di rovine, di macerie, che solo l’amore può salvare. L’immaginario montaliano fu certamente influenzato dallo scenario di guerra, ma in questo testo l’autore riesce ad andare oltre trovando l’indizio luminoso di un senso, come se avesse scovato il bandolo della matassa intricata dell’esistenza.
Il senso è, inaspettatamente, nel “noi”: la fede nella donna amata ha riacceso nell’autore la fede in sé stesso. La funzione di Clizia è salvifica quanto quella di Beatrice nella Divina Commedia dantesca: l’uomo si sente guidato dalla sua Musa e, raggiunto il Paradiso, è pronto a rinascere. Anche Montale si purifica e rigenera, da “uomo di cenere” a “uomo di luce”, come un’araba fenice. Questa poesia si riallaccia a un saggio che il poeta ligure scrisse proprio nell’immediato dopoguerra, nel 1945, dal titolo portoghese Auto da fé o in italiano L’atto di fede (sarebbe stato ripubblicato nel 1966 da il Saggiatore). Si trattava di una raccolta di un centinaio di scritti, articoli e interventi sull’arte, nel quale Montale condannava la barbarie del tempo contemporaneo: gli esseri umani, secondo il poeta, stanno vivendo in un’epoca deleteria in cui tutto, dall’arte ai sentimenti, è ridotto a pura merce. L’atto di fede di Montale è un tentativo di difesa contro la mercificazione dell’esistenza.
Nell’introduzione l’autore si premurava di ribadire che il “tempo psicologico” non coincideva con il “tempo cronologico”: un’affermazione che ci offre un’importante chiave di lettura della seguente lirica.
La dimensione trascendente si fa incerta rispetto a quella mortale, dove la presenza della donna rappresenta la vera salvezza. Ciononostante il poeta in questi versi apre una breccia di futuro che trascende lo spazio e il tempo, ricordo e futuro sono un tutt’uno come indica il verso “ti dissi un giorno” che indica una commistione di piani spazio-temporali. La Beatrice di Montale è la giovane studiosa di Dante, Irma Brandeis, colei che apre la riflessione sulla relazione che intercorre tra “l’oltrevita” e “quaggiù”. Eppure se c’è una cosa che accomuna il futuro ipotetico teorizzato da Montale “ci troveremo allora” e il futuro vero è proprio il suo essere irrealizzabile se non attraverso la trascendenza.
Il presente si eternizza in questo canto montaliano, diventa senza tempo, è una rinascita che avvera la vita nella vita.
“Ho tanta fede in te”: Eugenio Montale e Antonia Pozzi: similitudini e differenze
Spesso questi versi di Eugenio Montale vengono posti in relazione con una poesia di Antonia Pozzi, Confidare (1934), che ne sembra essere il necessario completamento:
Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.
Proprio a Montale dobbiamo, in effetti, la scoperta di Pozzi e anche il suo battesimo letterario: definì i componimenti della poetessa il “diario di un’anima”. La raccolta Parole, le poesie di Pozzi pubblicate postume, attirarono l’attenzione di Montale che nel 1945 in un articolo su Mondo scrisse un’intensa recensione che sarebbe poi diventata la prefazione di tutte le edizioni successive dell’opera, edite da Mondadori.
Dei versi di Pozzi, Montale si sarebbe ricordato mentre componeva Ho tanta fede in te, nel 1979, proprio sul modello anepigrafo di Confidare (1934), tra l’altro l’unica poesia di Pozzi citata testualmente nella prefazione montaliana di Parole. Il debito di Montale nei confronti della poesia di Antonia Pozzi è, in questi versi, chiaro ed esplicito.
Il poeta del dubbio e la poetessa dell’anima continuano a dialogare, nelle somiglianze tra le loro parole, nelle loro affinità d’anima e, sopra ogni cosa, nella comune fede laica nella creatura umana. La poesia per entrambi è ricerca dell’invisibile, di una verità oltre la superficie, ma non si avvera nel trascendente, si compie nell’immanente.
“Ho tanta fede in te” vuol dire che il miracolo si avvera nell’umano.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Ho tanta fede in te”: la poesia di Eugenio Montale sul miracolo dell’umano
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