

Le parole di Warsan Shire, poetessa britannica di origine somala, stanno facendo il giro del mondo dopo l’ennesima strage di migranti avvenuta al largo di Crotone.
La gente le cita sui social network, le recita sul palcoscenico, a teatro, in televisione, nelle piazze. Nella nostra impotenza dinnanzi al dolore altrui ci aggrappiamo alle parole come a uno scudo: sono la nostra arma, la nostra ancora di salvezza, il tentativo di essere partecipi di un dramma collettivo che, in fondo, sentiamo anche nostro.
La poesia Home di Warsan Shire è diventata il manifesto di tutte le migrazioni: non è un requiem, ma una riflessione, un grido di lotta e, al contempo, un appello alla nostra capacità di empatia. Mettetevi nei panni di chi mette i propri figli su una barca, ci dice, sperando che l’acqua sia più sicura della terra.
La lirica di Warsan Shire non è dolce, né consolatoria né tantomeno indulgente: ci pone dinnanzi al problema facendoci udire direttamente la voce di chi è costretto a lasciare la propria terra per garantirsi il futuro. Si mettono in mare, consapevoli di rischiare la vita, perché non hanno più nulla da perdere. Si guardano indietro con nostalgia, ma spingono quel sentimento in fondo al cuore, lo ricacciano come un boccone amaro: persino la speranza, alla fine, si affievolisce riducendosi a puro desiderio di sopravvivenza.
Home è una poesia dedicata a tutti gli esuli: alla loro nostalgia, alla loro perenne condanna di sentirsi per sempre “stranieri” nel mondo, alla loro dignità calpestata.
Il componimento si apre con parole incisive che nell’originale inglese scandiscono una sinfonia melodica, come una cantilena, basata sull’allitterazione delle consonanti:
No one leaves home, unless home is the mouth of a shark.
Letteralmente: “Nessuno lascia casa a meno che la casa non sia la bocca di uno squalo.” La parola che dà il titolo al componimento, Home, contiene un ammonimento implicito. L’immagine dello squalo-casa che inghiotte le storie dei rifugiati, coloro che secondo il ritornello corrente sarebbero da “aiutare a casa loro”. Warsan Shire, che sin da bambina ha ascoltato le storie di guerra narratole dal padre vissuto nella Somalia della guerra civile, ci mostra il vero volto di quella casa: delle fauci spalancate.
Home è tratta dal libro Benedici la figlia cresciuta da una voce nella testa, edito da Fandango nel 2023 con la traduzione di Paola Splendore.
Scopriamo un estratto della poesia Home e il libro da cui è tratta.
Home di Warsan Shire: testo
Nessuno lascia casa a meno che
la casa non sia la bocca di uno squalo.
(...)
dovete capire
che nessuno mette i suoi figli su una barca
a meno che l’acqua non sia più sicura della terra
(...)
a casa ci voglio tornare,
ma casa mia sono le mandibole di uno squalo
casa mia è la canna di un fucile
e a nessuno verrebbe di lasciare la propria casa
a meno che non sia stata lei a inseguirti fino all’ultima sponda
affretta il passo
lasciati i panni dietro
striscia nel deserto
sguazza negli oceani
annega
salvati
fatti fame
chiedi l’elemosina
dimentica la tua dignità
è più importante che tu sopravvivanessuno se ne va via da casa finché la casa è una voce
soffocante
che gli mormora all’orecchio
vattene
scappa lontano adesso
non so più quello che sono
so solo che qualsiasi altro posto
è più sicuro di qua.
Benedici la figlia cresciuta da una voce nella testa: il libro di Warsan Shire


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Nel suo ultimo libro, Bless the Daughter Raised by a Voice in Her Head, edito in Italia da Fandango e uscito in contemporanea in undici paesi, Warsan Shire canta la dignità delle vite degli immigrati: madri e figlie, ragazzi e ragazze, il coraggio delle donne nere.
Benedici la figlia cresciuta da una voce nella testa affronta argomenti delicati, quali la violenza, la guerra, la mutilazione dei genitali femminili, in modo poetico. Ne risulta una forma di poesia “terapeutica” che affonda le proprie radici nel dolore e attraverso il linguaggio lenisce le ferite, le cura, trasforma la sofferenza in salvezza.
Chi è Warsan Shire
Warsan Shire è nata in Kenya nel 1988, ma è cresciuta a Londra dove la sua famiglia si è rifugiata per fuggire alla guerra civile in Somalia negli anni Ottanta. Somala, ma naturalizzata britannica, Shire ha trasformato la propria difficile esperienza esistenziale in arte diventando una voce di punta del movimento letterario dei Black British Poets. A soli venticinque anni è stata insignita del Young Poet Laureate of London, il più alto riconoscimento per la poesia di lingua inglese ed è stata il più giovane membro ammesso alla Royal Society of Literature.
Oggi è considerata la voce di una generazione.
Il suo primo libro di poesie, Teaching My Mother How to Give Birth (letteralmente: Insegnando a mia madre come partorire, Ndr) è stato pubblicato nel 2011. A questa prima pubblicazione ha fatto seguito la breve raccolta Her Blue Body.
Il successo, però, è arrivato inatteso grazie allo zampino di Beyoncé che, dopo aver letto le sue poesie, l’ha voluta come co-autrice del suo album Lemonade, vincitore del Peabody Awards.
Così Warsan Shire è divenuta, suo malgrado, un’icona pop.
La sua è una poesia incisiva, audace e, soprattutto, onesta. Colpisce proprio perché arriva dritta al punto raccontando il caos disordinato della nostra contemporaneità con parole schiette, intrepide, coraggiose ma scritte con un lirismo ipnotico e seducente.
Le parole di Shire sembrano saltare fuori dalla pagina e diventare un grido: sono un appello alla nostra capacità di essere umani.
La sua poesia Home ci tocca nel profondo perché ci chiede uno sforzo di immaginazione: provate a mettervi su una barca di notte, ad affidare la vostra unica speranza a un mare in burrasca. Cosa fareste voi? Come vi sentireste voi? è questa la domanda implicita che trapela tra i versi.
Non è poi molto diversa da Shemà, la poesia di apertura di Se questo è un uomo di Primo Levi, solo che Home di Warsan Shire è coniugata al presente: e ci invita a prendere una posizione.
Meditate che questo accade, sembra dirci oggi Warsan Shire intitolando emblematicamente “Casa” - Home una poesia che parla di erranza, di un esilio senza ritorno. Ogni parola di questa poesia è un appello alle nostre coscienze: nessuno di noi può sentirsi assolto leggendola, ci sentiamo tutti, per forza, coinvolti in quanto esseri umani. Siamo tutti a bordo di quella barca, in fondo, anche se fingiamo di non accorgercene.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Home” di Warsan Shire: la poesia manifesto dedicata ai migranti
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