
I fiumi abbandonano le foci
- Autore: Marco Imbrogno
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2022
Quanti sconosciuti conserviamo dentro? Nel nostro intimo condominio d’anima, quante identità si amano, si odiano, patteggiano il futuro o provano a dimenticare il passato? E nel nostro “io” quante coscienze clandestine lottano per vincere la vita o salvarsi dal nulla? Ancora, chi siamo veramente? Riusciremo a distinguere il vero dal falso irrimediabilmente mescolati come sono nelle nostre viscere?
Domande che sgorgano inevitabili leggendo la toccante silloge di Marco Imbrogno, edita da Scrivere Poesia nel 2022, il cui titolo I fiumi abbandonano le foci già anticipa la tematica del distacco e del ritorno all’origine del pensiero. Sì, perché l’autore, con meravigliosa naturalezza, non si limita a depositare sulla carta delle poesie, ma semina fiori lirici, lasciando al lettore il compito di coltivarli e bearsene destinandoli all’eterno.
In questo prezioso scrigno, ogni parola, ogni pausa persino, dialogano – con lo stupore di chi stringe i desideri – con i sentimenti dell’essere umano osservato nelle sue ampie sfaccettature. Fra le pagine dell’opera resiste e abita il bagliore di un padre (“È una persona / che contiene mia figlia / È una persona / la mia famiglia”), l’esigenza di amarsi (“Assenza di protezione / il cuore è coniugato / in prima persona”), il fascino verso il mistero che ci avvolge (“migrare verso una sterminata solitudine / Il cielo è terra desertica”), la piega benevola dell’amarezza (“Correre più veloce del solito / con stupore / Le persone hanno melodia / perfino nel dolore”), il domani ignoto (“Corteccia del paradiso / danzante e di nuovo profumata / nuda e con pugni di seta”), l’onirico fattosi carne:
Stanotte cos’hai sognato? / Il verso puro / sottratto al fiato / Il sorriso è il linguaggio / espressivo del significato / Ho bevuto il sangue per amarti / È una bella giornata / così ho pensato di chiamarti.
Degna di nota è pure l’architettura dell’opera che, sebbene sia scomposta in cinque sezioni, rimane un unico atto e un unico fotogramma emozionale che scaraventa il lettore sul ciglio delle incertezze per indurlo a sondare nuovi equilibri, sfrattandolo dalla zona confort. Grazie alla riuscita altalena di versi, le immagini diventano scatti d’autore che innescano un miracolo sensoriale, forgiando le chiavi di una macchina del tempo capace di catapultarci indietro fino all’infanzia, lì dove eravamo liberi di disegnare mille percorsi, e poi in avanti fino al tramonto, lì dove arriveremo ancora bambini se sapremo restare fedeli alle nostre promesse.
Quello di Marco Imbrogno è linguaggio moderno che affonda le radici in terra antica, la sua è un’esposizione scorrevole ma densa di crudi strappi esistenziali. La silloge non è che il racconto ironico e drammatico dell’essere uomini e al contempo anticipazione divina in affanno con il cosmo, antitesi della ricerca esasperata dai ritmi dell’oggi che mal si conciliano con il balsamo della lentezza. Passaggi surreali e tangibili che si muovono per sottrazione, espellendo il superfluo, trattenendo l’essenziale. Testi che tatuano sulla pelle magnifiche rivoluzioni. Un libro che resta.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: I fiumi abbandonano le foci
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