Il Quinto Stato. Perché il lavoro indipendente è il nostro futuro. Precari, autonomi, free lance per una nuova società
- Autore: Giuseppe Allegri, Roberto Ciccarelli
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Ponte alle Grazie
- Anno di pubblicazione: 2013
“Il Quinto Stato” ha l’indiscutibile pregio di mettere finalmente sotto i riflettori del dibattito sul lavoro, ovvero sulla disoccupazione che attanaglia il nostro bel paese, una categoria di lavoratori che viene sistematicamente non presa in considerazione dalla classe dirigente che ci governa. Parliamo dei precari, degli autonomi e dei free-lance cioè, per non restare legati alla logica delle categorie, di tutti coloro che seppur lavoratori, non sono iscritti ad alcun albo o che, molto più semplicemente, lavorando nel campo dei beni immateriali, sfuggono a qualsivoglia forma di inquadramento in un paese che è abituato a distinguere i lavoratori in dipendenti o liberi professionisti non comprendendo che, non da oggi, ma da almeno una decina d’anni, le suddette categorie vanno sempre più vedendo restringersi il numero dei loro appartenenti.
“Sta emergendo una nuova figura sociale, quella dell’apolide integrato, che paga le tasse, vota, esprime la sua opinione in piazza, ma non esce mai dalla zona grigia tra lavoro e non lavoro. Questo apolide è il rompicapo della cittadinanza contemporanea.”
In queste poche parole possono essere sintetizzate la caratteristiche essenziali dei componenti del Quinto Stato che, in una cultura che riconosce in capo ai cittadini adulti una serie di diritti in base alla loro collocazione lavorativa, non avendo una precisa collocazione nella categoria “lavoratori dipendenti” o “indipendenti”, si vedono negati diritti di cittadinanza basilari. Il lavoro di Allegri e Ciccarelli mostra questa nutrito gruppo di lavoratori in ogni sua sfaccettatura, a partire dalle sue origini: il mondo della piccola-media borghesia. Il Quinto Stato infatti è figlio del ceto medio e, pur essendone idealmente erede, ne è lontano anni luce, ne è ripudiato: non ne incarna gli ideali, non riesce ad avere continuità sul piano della produzione e quindi i suoi rappresentanti non siedono a nessuno dei tavoli dove si decidono le strategie di sviluppo del paese. La crisi non ha fatto altro che evidenziare il fenomeno portando sotto gli occhi di chi vuole vederlo, un problema sociale senza precedenti che vede milioni di giovani, di uomini e donne tra i 18 e i 40, in alcuni casi anche 45 anni, privi di ogni forma di tutela, in primo luogo, di quella previdenziale.
Certo, tra le pagine vengono snocciolati numeri da brividi ma, se, come giustamente hanno intravisto gli autori, il lavoro di domani sarà sempre meno lavoro dipendente, è giusto investire sul Quinto Stato e trasformare quella che oggi è una categoria a rischio in una categoria di rilancio, pronta a fronteggiare qualsiasi difficoltà e che, in questi anni di dura crisi, è l’unica che ha saputo adeguare il proprio tenore di vita a una riduzione dei consumi privilegiando quelli essenziali e in un certo senso riacquistando il rapporto con il prossimo, (attraverso la condivisione di spazi, tempo, etc.) che anni di individualismo sfrenato hanno ridotto al lumicino.
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