Il figlio perfetto di Catherine Chidgey

Due aggettivi mi salgono alla mente alla fine della lettura del lavoro di Catherine Chidgey, Il figlio perfetto (edizioni Paginauno, 2019, traduzione di A. Patriarca): duro e difficile.
Duro perché il romanzo descrive pienamente l’illusione infusa nel popolo tedesco, durante la Seconda Guerra Mondiale, nella Germania Nazista, in un orrore che non ha risparmiato nessuno; difficile perché, sebbene lo stile dell’autrice sia inconfutabilmente accurato, raffinato e ricercato, proprio queste sue caratteristiche rendono faticosa la lettura e il dipanarsi della trama.

Una voce fuori campo, non identificata e non identificabile, se non alla fine del romanzo, ci introduce nella vita di due famiglie tedesche dal Luglio del 1939: una famiglia medio borghese che vive a Berlino e segue ossequiosamente le direttive del Reich, tra ostinata cecità e incrollabile fiducia, da una parte, e dall’altra una famiglia contadina di Lipsia, che venera, come un dio, il volto bronzeo del Führer.

Emergono, tra le figure dei rispettivi familiari, due fanciulli, Sieglinde o Siggi, una bimba arguta e curiosa nella casa berlinese, che cerca di comprendere il lavoro svolto dal padre per il regime, ed Erich nella campagna di Lipsia, bambino gracile e solitario, che pone domande senza risposta.

Al tramonto della gloria nazista, in fuga da una nazione in declino, e ormai vicina alla resa, i due ragazzini si incontrano e si aiutano, trovando rifugio in un vecchio teatro abbandonato. Ma sarà allora che la loro innocenza, la loro visione della vita, la loro fuga incontrerà l’ostacolo più crudele.

Lascio al lettore la possibilità di scoprire cosa si cela dietro uno spaccato di vita tedesca in piena ascesa e caduta del Reich, avvertendo che l’approccio che la scrittrice sceglie di dare non risparmia da crudeltà, efferatezze e ferite mai totalmente rimarginate, dove la memoria resta l’unica difesa consentita, con un colpo di scena finale sapientemente costruito.

"Le mie figlie vogliono conoscerti" dice. "Vogliono sapere cosa è successo."
"E allora diglielo" risponde. "Prima che cominci a dimenticartene."