Il filo di Auschwitz
- Autore: Veronique Mougin
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Corbaccio
- Anno di pubblicazione: 2019
“Il filo di Auschwitz” (Corbaccio 2019, titolo originale "Où passe l’aiguille", traduzione di Lucia Corradini Caspani) è la storia drammatica e di rinascita di un ragazzo ungherese redatta dalla giornalista e autrice francese Véronique Mougin, la quale con questo romanzo ha vinto il premio del Salon du roman historique de Levallois-Perret.
I tedeschi ci hanno invaso l’altro ieri. L’Ungheria, adesso, è casa loro.
Aprile 1944. Il mondo di Tomas Kiss è cambiato per sempre con l’arrivo del nemico dentro casa, nella piccola cittadina, dove vive insieme alla sua famiglia. L’adolescente è sempre stato scapestrato e indipendente quasi fin dalla nascita, impossibile fermare le sue monellerie e i suoi colpi di testa. Il padre di Tomas, Herman Kiss, è un bravo sarto innamorato del proprio mestiere, complice la sua adorata macchina per cucire, la sua Pfaff 130 ultimo modello. Il padre di Tomas desidera che il figlio diventi un sarto come lui, “Kiss Couture, di padre in figlio”, ma Tomas vuole diventare un idraulico.
I risultati scolastici di Tomas lasciano a desiderare. Sulla pagella del ragazzo, in alto a sinistra, c’è scritto il suo nome di battesimo, il suo cognome e poi ISR, abbreviazione di israelita. No, a Tomas non piace per nulla studiare, il suo passatempo preferito è osservare il mondo dalla cima del suo albero ed è da lì che l’adolescente può scrutare l’intero suo quartiere senza essere osservato. “Il bacillo ebreo ci divora”, scrivono i giornali, ed è anche per questo che al signor Kiss, in quanto ebreo, è stato impedito di esercitare la sua professione, anche se continua a cucire di nascosto in casa. Ma piano piano i clienti di una volta hanno abbandonato il loro sarto abituale in funzione della religione, della legge e della politica. La popolazione ebraica è sotto sorveglianza, le guardie giurate verificano se gli artigiani ebrei “privati dei loro laboratori hanno la sfrontatezza di lavorare a domicilio".
La vita di Tomas e di quelli della sua razza si fa ogni giorno più difficile, adesso è rigorosamente vietato uscire senza una stella gialla cucita sul bavero. Bisogna stare al loro gioco finché si calmano le acque, ma è dura recitare la parte del bravo ebreo ubbidiente quando il mondo attorno a te sembra impazzito. E poi arriva la deportazione della famiglia Kiss ad Auschwitz e sembra la fine di tutto. “Credete ancora alle favole, ragazzi?”.
Se è vero che “L’eleganza è anche sapersi adattare a tutte le circostanze della vita”, secondo la filosofia di Yves Saint-Laurent, frase presa in prestito dall’autrice come esergo del testo, per non perdere il filo della Memoria, Véronique Mougin nel romanzo dedicato “Ai miei cari cugini G. e L., i cui ricordi hanno ispirato questo libro”, racconta una storia drammatica incentrata sulla figura di un giovane uomo che non intende arrendersi. Sarà proprio il mestiere di sarto, che Tomas si era sempre rifiutato di imparare dal padre, a salvargli la vita. Il duro e orribile apprendistato umano nel campo di concentramento di Auschwitz, dove paradossalmente “il lavoro rende liberi”, farà sbocciare la vera personalità dei Tomas. Ma il ragazzo che oltrepasserà quel maledetto cancello sovrastato da quell’ironica scritta, sarà un ragazzo diverso, anzi un adulto che non si fa più illusioni sulla bontà del genere umano. Può essere altrimenti quando si è stati testimoni dell’inimmaginabile?
È davvero ora di andarcene da qui.
Il filo di Auschwitz
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