

Il mio grande, bellissimo odio
- Autore: Elisabeth Åsbrink
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Iperborea
- Anno di pubblicazione: 2025
Victoria Benedictsson è alta, longilinea, moglie, madre, solitaria ma, soprattutto, avida lettrice e scrittrice svedese, e la sua esistenza è raccontata in Il mio grande, bellissimo odio di Elisabeth Åsbrink, edito da Iperborea nel 2025. Il libro, tradotto da Katia De Marco, è un appassionante viaggio dentro la vita di una donna dalle grandi aspirazioni letterarie che lavorò tanto, in modo quasi ossessivo e tormentato, per trovare il proprio posto nel panorama letterario svedese dominato da figure maschili. Allo stesso tempo, la ricostruzione della sua esistenza ci permette di conoscere la società di quei tempi, dove erano presenti discussioni religiose, culturali, sociali, sul ruolo della donna in famiglia e in società, se doveva essere dipendente dal marito o poteva essere autonoma. In questo ambiente visse Victoria Benedictsson che sperimentò in prima persona una situazione simile.
Victoria sposò Christian Benedictsson, funzionario postale con figli a carico. Un’unione, come si noterà leggendo il libro, dove l’amore vero non fu mai presente per una diversità di caratteri e di vedute che, nel corso degli anni, nonostante i figli nati, lasceranno spazio a un abisso sempre maggiore tra i coniugi. Per salvarsi da quel senso di solitudine che la attanagliava e tormentava anche quando era circondata da qualcuno, Victoria cominciò a scrivere un suo quaderno segreto (in realtà nel corso della sua vita ne ebbe altri a seconda dei momenti esistenziali ed emotivi) e a usare un linguaggio cifrato quando non voleva che gli altri capissero quello che lei raccontava.
La Benedictsson si divideva tra famiglia e libreria a Hörby, in Scania (Svezia del Sud), dove viveva, e qui maturò sempre più l’idea di scrivere. Dopo i primi tentennamenti, Victoria decise di provare a scrivere storie e scelse un nome maschile – Ernst Ahlgren – e un amico con la stessa passione letteraria – Axel Lundegård – che, tra alti e bassi, le fu sempre vicino come autore e sostenitore. La scelta di Victoria non ebbe molto appoggio invece dal marito, il quale non fece altro che cercare di limitare l’estro della moglie, non accettando i rapporti di amicizia della donna e nemmeno gli scritti che lei pubblicava con pseudonimo, perché lui (successivamente anche l’intera comunità) ci vedeva molto, anzi troppo, della loro vita coniugale e di quella di Hörby.
Nonostante gli ostacoli e la malattia, Victoria non si perse mai d’animo e viaggiò in luoghi altri dal suo abituale, andando anche a Parigi, per poter apprendere la vita, la cultura, la letteratura e metterla poi nei suoi testi. Significativo l’incontro con Georg Brandes, con il quale ci fu qualcosa in più di una semplice amicizia ma, nonostante questo, Victoria si rese sempre più conto che se anche lei era donna e desiderava essere amata dal vero amore, la sua testa pensava sempre come un uomo. Certo è che i suoi testi furono uno sguardo attento e realista sulla società svedese della sua epoca, sui conflitti e contrasti che potevano esserci nel vissuto di un singolo individuo e nella comunità, sulle diverse visioni nei confronti della figura femminile e del ruolo che doveva, poteva e voleva avere nella società svedese dell’Ottocento, con tutte le relative conseguenze.
Elisabeth Åsbrink ci accompagna nella vita e negli scritti della Benedictsson, dentro un’esistenza segnata da vari tentativi di suicidio e da una profonda sofferenza fisica ed emotiva, che portò la protagonista, morta suicida a 38 anni, a sperimentare più conflitti: come vivere di scrittura o no; essere autonoma e indipendente dal marito, unita a quella sensazione di non poterlo fare perché sposata con famiglia; essere libera di essere ciò che era e la difficoltà a farsi accettare come tale dagli altri.
Quella di Victoria Benedictsson in Il mio grande, bellissimo odio fu una vita forte e, allo stesso tempo, fragile, piena di incontri, di persone, di successi letterari e cadute e di voglia di mettersi in gioco dove però, ci si rende conto, era presente una costante solitudine con la quale Victoria fu costretta a confrontarsi e convivere fino alla scelta finale.

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