La poesia di Natale di Gabriele D’Annunzio si intitola Il presepio ed è dedicata alla nonna paterna Anna Lolli. Si tratta di una poesiola in rima che il poeta vate scrisse in età giovanile; in essa rievoca i propri ricordi d’infanzia legati alle festività natalizie con la voce propria di un bambino che attende incantato e pieno di aspettativa la notte più magica dell’anno.
Forse non tutti sanno che D’Annunzio mantenne il culto del presepio anche da adulto, come testimoniano biografi e critici: è ottimo praticante cattolico, scrivevano, perché ogni Natale “riordina a casa sua il presepio con assai sfarzo di lumini e melarance”. E ancora, ricordano che per le feste natalizie D’Annunzio era “munifico con tutti” e la sua casa di Pescara ricordava “un gran porto di mare” poiché vi si ritrovava tutto quello che si potesse vedere con gli occhi o “desiderare con la gola sul mercato”. Il vate era inoltre prodigo di attenzioni e generoso, perché “fare regali era un bisogno irrefrenabile, più forte di lui”.
D’Annunzio si professava “cattolico, apostolico, romano”, di conseguenza per lui il Natale era la festività cattolica per eccellenza, degna di essere festeggiata in grande stile. A quella ricorrenza dedicò diverse poesie, tra le quali ricordiamo I Re Magi contenuta nelle Laudi del cielo, e persino alcuni racconti natalizi destinati a un pubblico adulto, Le favole di Natale edite nel 1916 dall’editore Bideri di Napoli.
I racconti di Natale di Gabriele D’Annunzio risentono fortemente dell’oralità e di quella tradizione popolare abruzzese che diede origine anche alla poesia giovanile Il presepio, nella quale rivive un tenerissimo ricordo d’infanzia che, a ben vedere, tutti noi potremmo condividere.
Scopriamo testo e analisi della poesia di Natale di D’Annunzio.
“Il presepio” di Gabriele D’Annunzio: testo
A Ceppo si faceva un presepino
con la sua brava stella inargentata,
coi Magi, coi pastori, per benino
e la campagna tutta infarinata.
La sera io recitavo un sermoncino
con una voce da messa cantata,
e per quel mio garbetto birichino
buscavo baci e pezzi di schiacciata.
Poi verso tardi tu m’accompagnavi
alla nonna con dir: “Stanotte L’Angelo
ti porterà chi sa che bei regali!”.
E mentre i sogni m’arridean soavi,
tu piano, piano mi venivi a mettere
confetti e soldarelli fra’ i guanciali.
“Il presepio” di Gabriele D’Annunzio: analisi e commento
Il presepio è una filastrocca in rima , emblematica dell’incredibile varietà stilistica di cui era capace la penna di D’Annunzio. Innanzitutto abbiamo un chiaro riferimento topografico: “A Ceppo”, dice il poeta, facendo riferimento alla località montana, in Abruzzo, ai piedi dei Monti della Laga. In quel luogo, appartenente alla terra abruzzese arcaica dei pastori, D’Annunzio era solito trascorrere le festività natalizie da bambino, con la famiglia e la nonna paterna Anna Lolli.
Nei pochi versi de Il presepio vengono evocate delle immagini nitidissime e al contempo tenere come “la campagna tutta infarinata” per indicare il finto effetto neve dato alla costruzione di cartapesta. Il presepe evocato da D’Annunzio è, per l’appunto, un “presepino” che non ha nulla di pretenzioso, ma ha tanto di familiare: ha la sua brava stella argentata sopra la capanna, la farina bianca per simulare il nevischio, i pastori e, naturalmente, i Re Magi - cari a D’Annunzio, che danno il titolo alla celebre poesia omonima - che qui addirittura sostituiscono - e in parte occultano - il riferimento alla natività.
In seguito il focus si sposta sull’atmosfera della notte di Natale : il poeta-bambino è chiamato a recitare ad alta voce un sermoncino che lui ha mandato a memoria e ora ripete compito con una voce “da messa cantata”, un riferimento che già ci lascia presagire il futuro D’Annunzio e le sue doti carismatiche da oratore. Qui il tono si fa però via via più intimo e più familiare mostrandoci un bambino dal viso birichino, da furbetto, che viene viziato e coccolato dalla nonna. In particolare quelle parole pronunciate dalla madre (e forse anche dalla nonna), l’unico dialogo inserito nella poesia, danno corpo a un intero immaginario dell’infanzia che appartiene indistintamente a ciascuno di noi:
“Stanotte L’Angelo
ti porterà chi sa che bei regali!”
In quella promessa affettuosa prende forma tutto il mondo confortante, ovattato dell’infanzia e il sentimento più bello legato al Natale: l’attesa. Il bambino D’Annunzio si addormenta facendo bei sogni pieni di speranza, certo della felicità che troverà al risveglio. La poesia Il presepio si conclude non con un’epifania divina, ma con un gesto d’amore umano: è la madre, quel “tu” inespresso, che ripone dolcemente sotto il cuscino del piccolo caramelle, confetti e soldatini.
Se il significato religioso del Natale è ben espresso da D’Annunzio nelle Laudi e nella poesia dedicata ai Re Magi, ecco che invece il senso laico della festività è tutto contenuto nei versi teneri e familiari del Presepio, dunque nella stella di carta argentata, nei baci e nei pezzetti di schiacciata dati al bambino come carezze per viziarlo e coccolarlo e, infine, nella premura della nonna che infila i doni sotto il cuscino.
La poesia si intitola “Il presepio” e, leggendola più attentamente, possiamo comprendere che il motivo per il quale la natività non viene menzionata nei versi. Il vero presepio cui D’Annunzio fa riferimento nella sua filastrocca non è la costruzione che appare nelle prime righe, ma l’epifania dell’amore umano che la conclude. Ricordiamo a questo proposito che il termine “presepe” deriva dal latino “praesaepium” che fa riferimento a un luogo chiuso, recintato, come una stalla o la mangiatoia nella quale fu riposto Gesù. L’immagine conclusiva della poesia con il piccolo che riposa nel letto richiama proprio l’idea del bambino divino che dorme nella mangiatoia, si tratta di un simbolismo delicato ma a ben vedere molto incisivo che ci ricorda che “ogni bambino è Gesù bambino”, il messaggio cristiano per eccellenza.
Se il senso del Natale è l’amore e il calore familiare ecco che in questa semplice poesiola in rima Gabriele D’Annunzio è riuscito a raccoglierlo attraverso un simbolo e a farcene dono a piene mani, restituendoci quell’atmosfera incantata e serena dell’infanzia, come il più bello dei regali.
Siamo stati tutti, in fondo, il bambino che fissa estatico la stella argentata sulla capanna e vede davvero la neve al posto della farina bianca sparpagliata sulle statuine, crescendo poi abbiamo dimenticato che la cosa più bella del Natale era tutta lì: nel senso estatico del nostro stupore. Non è troppo tardi, tuttavia, per ricordarcelo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il presepio”: la poesia di Gabriele D’Annunzio dedicata alla nonna
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