Il ritorno. Padri, figli e la terra fra di loro
- Autore: Hisham Matar
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2018
È il 2012. Hisham Matar è all’aeroporto, in partenza per Bengasi. Ritorna in Libia dopo più di trent’anni di assenza. Una parte di lui non vorrebbe tornare: il suo corpo rimane rigido, incapace di muoversi e di affrontare il ritorno nella sua terra. Alla fine, Hisham sale sull’aereo, solcando il baratro tra il bambino di otto anni e l’uomo di oggi: è il momento di affrontare il ritorno.
Il ritorno. Padri e figli e la terra tra di loro (Einaudi, 2018, trad. A. Nadotti) è, in gran parte, il racconto autobiografico della storia che sta in mezzo alla partenza di Hisham Matar e della sua famiglia dalla Libia e il ritorno, avvenuto appunto nel 2012, immediatamente dopo la rivoluzione.
Lo spazio intermedio tra la partenza e il ritorno è segnato da un’assenza importante, esistenziale: il rapimento del padre di Hisham, Jaballa Matar, da parte delle autorità libiche.
Nel 1969, un colpo di stato guidato dal colonnello Muammar el-Gheddafi rovesciò la monarchia filo occidentale di re Idris. Il consiglio rivoluzionario, presieduto dallo stesso Gheddafi, proclamò la repubblica araba di Libia. Poco tempo dopo fu chiaro che quello instaurato da Gheddafi non era altro che un regime dittatoriale. Negli anni ’80, come riferisce Matar:
“Gli oppositori del regime venivano impiccati nelle piazze e negli stadi. Ai dissidenti in fuga nel paese si dava la caccia e alcuni venivano sequestrati e assassinati”.
Jaballa Matar era una delle figure più di spicco dell’opposizione. Rifugiatosi al Cairo, guidava un’organizzazione di lotta, anche armata, contro Gheddafi. Nel marzo 1990 i servizi segreti egiziani lo rapirono per consegnarlo al leader libico. Matar fu condotto nella terribile prigione di Abu Salim, a Tripoli, “conosciuta come l’ultima fermata, il posto dove il regime spediva coloro che intendeva dimenticare”.
Nel 2011, con la caduta di Tripoli in mano ai rivoluzionari, furono abbattute le porte di Abu Salim, i prigionieri liberati. Nessuna notizia di Jaballa Matar: fu a quel punto evidente a Hisham che il padre era stato impiccato o fucilato, o torturato a morte.
Hisham Matar vive all’estero da molti anni. È uno scrittore e una figura di spicco nell’ambiente culturale internazionale. Londra è la sua città di elezione, anche se quando apprende la notizia dell’arrivo dei rivoluzionari ad Abu Salim si trova a New York. Dopo lo smarrimento iniziale, si muove in lui la spinta dell’attivismo. Interpella le sfere politiche, Amnesty international e le altre organizzazioni per i diritti civili, i media, la diplomazia. Il suo obiettivo è scoprire se il padre sia ancora vivo, o almeno conoscere le circostanze della sua morte: la ricerca, affrontata con perseveranza e coraggio, diventa quasi un’ossessione. Un’ossessione che è anche il percorrere la terra di mezzo tra lui e il padre, lontani da anni ma legati da un’assenza-presenza ineludibili.
A un certo punto la perdita originaria, il punto di partenza, il momento in cui la vita è definitivamente cambiata, assume le sembianze di una presenza reale, con una sua forza e un suo temperamento.
È nel ritorno alla terra del padre che Hisham Matar ritrova la sua identità, quella che solo il legame paterno restituisce. È quasi come se il DNA del figlio non fosse completo senza il legame con quello del padre. La conclusione della ricerca restituisce al protagonista una nuova armonia con la sua storia e con la sua terra, ma anche una serena consapevolezza della sua umanità. In fondo Hisham è un nuovo Telemaco, smarrito nel territorio che separa i padri dai figli, nel tentativo vano di conoscere davvero il padre.
Il padre sprofonda ogni giorno di più nella sua notte, si spinge più oltre nella nebbia, lasciando indietro resti di se stesso e il dato di fatto colossale quanto ovvio, insieme frustrante e misericordioso – giacché come potrebbe un figlio continuare a vivere se non dovesse anche dimenticare –, che per quanto ci sforziamo non arriveremo mai a conoscere davvero i nostri padri.
Non è possibile leggere Il ritorno senza prendere in mano la storia recente della Libia: i riferimenti agli eventi e ai personaggi sono frequenti e numerosi, a partire dalla lunga parentesi del colonialismo italiano. Ma il libro non si esaurisce mai in una cronaca o in una memoria autobiografica narrata in prima persona: la poesia trasfigura ogni episodio e ogni personaggio. Lo sguardo di Matar si posa con sensibilità e dolore sul mondo: sul dramma dei giovani caduti durante la rivoluzione contro Gheddafi; sulle donne, forti e silenziose vedove di mariti o figli. Non mancano i passaggi alla letteratura e all’arte, percepita come antidoto al dolore: l’arte ci salverà, restituendoci l’umana pietà per la storia e la vita umana. Ma anche, l’arte è evocazione del destino, come nei bianchi cinturoni di cuoio del plotone nell’Esecuzione di Massimiliano di Manet, che evocano la probabile fine di Jaballa Matar nella prigione di Abu Salim.
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