L’ultimo film di Nanni Moretti ora in concorso al Festival Cannes, Il sol dell’avvenire, è una pellicola meta-letteraria ma anche meta-filmica. Un autentico film nel film, denso di riferimenti e citazioni letterarie, cinematografiche e canore.
Agli occhi dello spettatore-lettore appare subito evidente l’impianto pirandelliano su cui Moretti costruisce l’intera pellicola: la scena si apre narrandoci di un film in corso di produzione diretto dal regista, ambientato nella Roma del 1956. Proprio come in Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello ci troviamo ad assistere alle prove per la messa in scena e allo sdoppiamento tra autori e interpreti, tra palcoscenico e vita vera.
Nel mezzo della rappresentazione cinematografica, in un turbinio inarrestabile di immagini, poesie e canzoni, il regista romano inserisce riferimenti alla letteratura contemporanea, alla narrativa e all’editoria novecentesca e alla drammaturgia poetica di William Shakespeare. Scopriamo quali sono le citazioni inserite da Nanni Moretti ne Il sol dell’avvenire e la loro finalità.
Il sol dell’avvenire: da Pirandello a Fellini
In apertura del film troviamo il regista Giovanni - autentico alter ego dello stesso Moretti - in piena crisi creativa che si lagna di realizzare soltanto un film ogni cinque anni e sembra essere imprigionato in una gabbia asfittica di superstizioni e ridicoli rituali sui quali si stende un pessimismo di fondo.
La moglie Paola (Margherita Buy, Ndr), fidata compagna e collega di una vita, ha deciso di produrre un altro film, scelta che lui subito interpreta come un personale “tradimento”; inoltre lei sta per lasciarlo, ma questo ancora lui non lo sa.
Moretti, proprio come Pirandello, spezza la linearità dell’ordine temporale, disintegra lo spazio scenico-teatrale e rompe la quarta parete. Ne risulta un effetto grottesco e comico che, però, sfocia nel malinconico con un inevitabile rivolgimento drammatico. Non passa inosservato neppure il riferimento a 8 1/2 di Fellini (1963) e al suo protagonista, il regista Guido Anselmi di cui il Giovanni interpretato da Moretti appare il doppio speculare.
Realtà e immaginazione si mescolano e confondono in una crisi di ispirazione che, ben presto, diventa una forma di autoanalisi. I film girati dal regista Giovanni, come scopriremo, sono infatti due: uno è ambientato nella Roma del 1956 ai tempi del partito Comunista con sullo sfondo l’invasione russa dell’Ungheria, l’altro invece è la sua pellicola ideale, il suo “sogno registico”, che si svolge solo nella sua mente, una storia d’amore “i cinquant’anni di vita di una coppia” raccontati attraverso i grandi brani del cantautorato italiano, da Luigi Tenco a Franco Battiato a Fabrizio De Andrè, in un formato musical.
Lo stesso Moretti rende omaggio a Federico Fellini inserendo le scene in bianco e nero della Dolce vita, una proiezione muta dall’immediato effetto nostalgia, che però viene stroncata dal protagonista immaginario di Nanni Moretti come “un dramma borghese”.
Il sol dell’avvenire: da Shakespeare a Dostoevskij
Un altro dei temi centrali della pellicola di Moretti è la riflessione sul primato del potere commerciale sull’arte e l’omologazione - inevitabile - che ne consegue.
Quanta violenza c’è nel cinema contemporaneo? Il regista romano si interroga su questo quesito, anche dal punto di vista estetico e non solo morale, servendosi di alcuni pensatori, filosofi e scrittori della nostra epoca: dall’architetto Renzo Piano, passando per Corrado Augias sino all’acuta riflessione “matematica” di Chiara Valerio. Ancora una volta si rompe la quarta parete e, mentre assistiamo a un film nel film, la narrazione prende un’imprevista - ma piacevole - piega da talk show televisivo. Chi ha ragione e chi a torto? Non abbiamo il tempo di riflettere nel sovrapporsi cacofonico delle voci e delle opinioni, ma in cuor nostro sentiamo che il regista Giovanni, pur nelle sue posizioni minoritarie e indisponenti, ci sta mettendo sotto gli occhi uno dei mali della nostra epoca. L’arte ha ancora uno scopo in una società dominata dall’egoismo e dalla violenza? questa è la domanda intrinseca nel film di Nanni Moretti che, lo capiamo presto, aspira in ogni sua minima sequenza all’onestà intellettuale.
Sul tema della violenza il regista cita Shakespeare e Dostoevskij, che nelle loro opere non usano mai la violenza fine a sé stessa, la violenza pura intesa in maniera anti-etica. La violenza, in Shakespeare e in Dostoevskij, è infatti sempre finalizzata a una morale. Invece oggi - questa l’aspra condanna di Nanni Moretti che interrompe con fermezza la scena di un’esecuzione - nei film c’è spazio solo per il Male, usato e legittimato senza dare alla sua rappresentazione alcun peso:
Tutti quanti, registi, produttori, sceneggiatori, sono preda di un incantesimo. Un giorno vi sveglierete e piangere, rendendovi conto di ciò che avete combinato.
L’arte non deve mai essere retorica o sottoposta alla fruizione pura del pubblico, è questo il messaggio di Moretti che tira una stoccata a Netflix, il colosso dello streaming seriale che ha ribaltato le logiche televisive e cinematografiche, e cita i grandi scrittori come “migliori sceneggiatori” in barba a tutte le nuove tecnicistiche regole del cinema contemporaneo ormai divenuto seriale, ai suoi cosiddetti plot time e turning point.
Il sol dell’avvenire: da Calvino a Pavese
La chiave di lettura de Il sol dell’avvenire è tuttavia riscontrabile in una citazione che fa lo stesso Moretti nelle scene finali del film. Il regista, con un cappio al collo, un attimo prima di cambiare il finale pronuncia queste esatte parole:
Pavese si è ammazzato perché noi imparassimo a vivere, scrisse Calvino.
Pensaci, poi però dimenticatelo.
È questa la morale della pellicola matrioska di Nanni Moretti: “imparare a vivere”. Ed è nel gesto di ribellione finale che comprendiamo che ciò che ci era stato presentato al botteghino come una “commedia” in realtà di comico aveva ben poco. Il sol dell’avvenire , pur nella sua invincibile ironia, è un film drammatico che ci narra della malinconia del tempo che passa e della strenua ricerca di un senso nel caos nevrotico dell’esistenza.
Calvino che parla di Cesare Pavese muta la nostra stessa prospettiva e ci invita a guardare il suicidio dello scrittore con altri occhi: la morte di Pavese era in realtà una protesta di vita, una fame di vita non appagata, non ricompensata.
Nanni Moretti si serve di due grandi nomi della letteratura italiana novecentesca - che, non a caso, hanno fatto anche la storia editoriale di Einaudi - per spiegarci il suo intimo punto di vista in maniera non didascalica, non aneddotica, ma artistica.
Detto ciò ecco che si toglie il cappio dal collo - perché capisce che a morire non era il suo personaggio, ma lui stesso, il suo Io più profondo - e sceglie la vita più difficile e ardua da raccontare: “imparare a vivere”.
Per insegnarci il mestiere di vivere - per dirla sempre con Pavese - Nanni Moretti decide di seguire la strada dell’immaginazione servendosi della magia del potere controfattuale che è capace di riscrivere la Storia.
La storia non si fa con i se
Afferma Moretti nel conclusione ed ecco che ribalta ogni stereotipo e luogo comune, ritrattando il passato, riscrivendo la Storia. Si prende la libertà di stracciare il ritratto di Stalin come se fosse una semplice comparsa - lui nel mio film non ce lo voglio! dice - e immagina che il partito comunista italiano condanni i fatti di Ungheria. Scrive un finale diverso, fa sventolare bandiera rossa sul Colosseo.
Nanni Moretti si serve della letteratura, del peso delle parole per riportare giustizia nella miseria della Storia. Solamente allora capiamo che Il sol dell’avvenire non è un film sul passato , sulla malinconia e la Roma degli anni Cinquanta, ma sul nostro presente incerto, smarrito: e, soprattutto, parla di futuro, di un modo diverso di immaginare i giorni che verranno. Persino la guerra in Ungheria raccontata dagli schermi dei televisori in bianco e nero riflette in realtà la nostra contemporaneità, la guerra che oggi si consuma nel cuore dell’Europa.
Pe raccontarci la schizofrenia del presente Nanni Moretti si affida alla grande letteratura, matrice della creazione artistica, e ci ricorda cosa deve fare il Cinema, quello vero. Il senso è custodito non in un’immagine, ma in una citazione: Italo Calvino che parla di Pavese e, così, ci ricorda cosa ci rende umani.
Il sol dell’avvenire brilla alto nel finale, in quella imponente e grottesca parata con gli elefanti lungo la via dei Fori Imperiali che sembra ribaltare il lato buio della storia facendo risplendere il futuro. Il tutto culmina in una danza propiziatoria; servendosi della musica popolare del grande cantautorato italiano che è poi la nostra poesia profana, Nanni Moretti non ci spiega la vita, ma ci invita a viverla con tutte le nostre forze ricordandoci il valore della solidarietà, dell’unità e, soprattutto, della verità che è chiara e diafana come un sole che abbaglia.
Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti: il trailer
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il sol dell’avvenire”: i riferimenti letterari nel film di Nanni Moretti
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Curiosità per amanti dei libri Dal libro al film
Lascia il tuo commento