Alcide Pierantozzi è uno scrittore italiano, nato a San Benedetto del Tronto nel 1985. Conseguita la maturità classica, studia Filosofia teoretica all’Università Cattolica di Milano, città in cui ha vissuto e dove ancora oggi ha motivo di recarsi, non lasciando, però, San Benedetto - per inciso chi scrive ha vissuto tredici anni a Milano, fino alla seconda media inferiore e un anno a San Benedetto, nel 1983, per motivi di lavoro paterni, e ritiene che sia una piccola città di incomparabile bellezza.
Nel 2006 arriva il primo libro, che ha recensioni entusiaste. Il libro edito da Hacca, è Uno in diviso ed è un’opera originale, un punto di vista sulla figura di Pier Paolo Pasolini.
Per Rizzoli editore esce, nel 2008, L’uomo e il suo amore, un’opera che al suo interno ospita riflessioni filosofiche che vanno da Parmenide all’ultimo Pasolini.
Sergio Pent, su "La Stampa", definisce il libro: "Aspro e impervio, noioso (sic!) e intrigante, crudele e fagocitante".
Nel 2012 esce Ivan il Terribile, sempre edito Rizzoli, che tratteggia con grande sensibilità gli amori adolescenziali, e poi il nel 2015, per i tipi di Laterza, Tutte le strade portano a noi: lo scrittore gira a piedi l’Italia intera e ne ricava un reportage memoir.
Alcide Pierantozzi scrive per "Rolling Stone", ma ha scritto e scrive anche per quotidiani, "Il Riformista", "Il Resto del Carlino", "Il Messaggero". E ancora, scrive per "Nuovi Argomenti", per "Il Corriere della Sera" e "Rivista Studio".
L’intervista che segue è incentrata sul suo ultimo romanzo, del 2020, per Bompiani, il bellissimo L’inconveniente di essere amati.
- Grazie mille Alcide Pierantozzi per la cordialità. L’inconveniente di essere amati è un romanzo bellissimo per stile e contenuto. Anche se il 2020 non è ancora finito, direi uno dei migliori romanzi italiani di quest’anno, per altri versi così tremendo, difficile. Anche lei è contento di questo libro, lo percepisco dalle risposte che ha dato per quotidiani e siti online. È così?
È vero, sono molto soddisfatto, anche se non mi azzarderei a definirlo un romanzo bellissimo o uno dei migliori. Non lo dico per modestia, ma perché ne riconosco la natura sghemba, per certi aspetti inclassificabile, per altri banale, per altri ancora – come è stato scritto – “paternalista”. Faccio fatica anche a chiamarlo romanzo. Cos’è un romanzo? Io non l’ho mai capito. A scuola, quando mi interrogavano sull’Odissea, io non sapevo nulla di strutture, proemi, canti, onomatopee, non ero in grado di tradurre nemmeno una parola dal greco senza il vocabolario GI. Sentivo rivolgermi queste strane domande, perché le persone sono molto brave a mettere nomi complicati alle cose che non conoscono – ma io vedevo solo Ulisse che si ferma in mezzo all’onda per paura che la risacca lo sbatta sulle rocce, loro mi chiedevano la perifrastica, ma io vedevo solo Arete, quando lui la saluta in quel modo dolcissimo, “addio, mia regina” le dice. Per me l’Odissea era e resterà sempre quel “mia regina”. Io scrivo e ho scritto questo libro seguendo la scia d’argento di quel “mia regina”.
- Lei aveva già in mente un titolo simile, perfetto per chi poi legge il libro, o ha subito la fascinazione del saggio di Cioran? Sa se qualche lettore un po’ distratto, pur volendo l’ultimo di Pierantozzi, nel dubbio ha comprato anche quello di Cioran? O solo quello?
In realtà il titolo c’entra poco con Cioran, non è un omaggio. Si immagini se mi mettessi a omaggiare i grandi alla mia età. Tutti sono, chi in una misura chi nell’altra, più grandi di me. Dovrei omaggiare chiunque. A parte gli scherzi, non credo che il mio libro abbia suscitato interesse, tra i miei lettori, anche per quello di Cioran. Forse il contrario: qualche estimatore di Cioran si è diffidentemente, e a ragione, avvicinato al mio.
- L’attesa di Paride che torna nella sua terra natale avviene subito dopo, ma nel frattempo ci fa conoscere Sonia e il suo bambino Gianmaria. Sono loro i protagonisti del primo capitolo. Come mai questa scelta?
Ho praticamente ricalcato l’inizio di Mommy di Xavier Dolan, film che ho amato moltissimo anche se non piaceva a Bertolucci (mi disse che il ragazzino mancava di poesia). Per me, invece, l’inizio di quel film è stato come la rima baciata che costringe a scegliere tra una serie limitata di significati, amplificandoli. Era difficile partire da un punto per una storia che si svolge in pochi giorni, così densa e su piani temporali diversi; è sempre difficile partire con la narrazione per me, iniziare sembra facile ma è sempre la cosa più difficile. Di solito si parte da un punto ragionato, ma com’è noto io e la ragione non andiamo molto d’accordo. Allora ho rivisto più volte quel film, e ho trovato che l’ingresso con la mamma che va a riprendere il figlio a scuola fosse così archetipico da non poter essere considerato imitazione.
- Come è stato scrivere di Paride, un giovane uomo che ha subito un grande trauma a Milano, con la decisione di chiudere un amore tossico con un uomo influente e conosciutissimo e ripartire dalle proprie terre natie?
È stato il personaggio più difficile. Certo, da una parte lui sono io, soprattutto per la precarietà della sua professione (lui è musicista, ma poco cambia), e sono io nelle ossessioni, nelle fragilità, nello sguardo sul mondo e nel modo di parlare. Però poi io non sono d’accordo con quasi niente di quello che fa. A un certo punto dice “mamma non tornerà più, i ricordi sono solo le cose morte del passato che non tornano più”. Chi mi conosce sa che, da fan numero uno di Emanuele Severino, non direi una cosa del genere nemmeno se giustiziato per eresia. Ma certi pensieri, a trentacinque anni, non posso ancora permettermi di scriverli in un mio libro, è presto, l’ho fatto in passato, l’ho fatto sempre, e non glien’è mai fregato niente a nessuno. I contenuti importanti sono come le acque gelate delle sorgenti di montagna: le migliori, perfette per la palingenesi, le più terse, ma se ti butti di colpo rischi di rimanerci. Devi entrarci piano, devi ambientare il corpo, devi trasporre il più possibile in immagini, e non in concetti, ciò che è stato riservato alla tua attenzione.
- Rifaccio la domanda ma sul personaggio di Sonia, che lei mantiene egregiamente su una corda dove confidarsi con Paride, andare oltre col giovane uomo, ci sembra naturale, non forzato. Ha mai pensato che potesse uscire come una che investe Paride con la sua infelicità coniugale per potere approfittare della vulnerabilità del giovane uomo traumatizzato dai fatti di Milano?
Diciamo che Sonia si fa molti meno problemi morali di Paride, e in un certo senso vuole vendicarsi del marito – anzi, credo che una donna costretta a subire simili angherie si voglia vendicare di un intero contingente sociale che non è solo la provincia marchigiana, ma qualsiasi luogo pretenda di mantenere intatta una tradizione oramai impossibile da recuperare e giustificare. Nella scena in cui fa sesso con Paride mi sono divertito molto a inserire una serie di quadretti votivi di santi sulla parete. Sonia capisce delle cose di sé attraverso Paride, è stato scritto, ma non sono molto d’accordo; se mai è lui a capire da lei le cose che teme in un rapporto sentimentale. Comunque io ne so quanto ne sa il lettore, dei miei personaggi. Per tutto il tempo in cui ho scritto il romanzo non sono riuscito a mettere a fuoco una cosa molto semplice che Simonetta Sciandivasci ha colto subito: il protagonista per tutto il libro non fa altro che smontarsi la personalità, che sfasciarsi l’identità. Un romanzo di sfascio, dice lei, altro che di formazione. Non ci avevo pensato ma sono molto d’accordo e adesso spiego il personaggio, durante le presentazioni, facendo ricorso alla sua bellissima recensione.
- Non mi vergogno per niente se dico che in alcune parti questo libro mi ha commosso fino alle lacrime. Io ho pianto anche quando, a metà romanzo, arriva una mail di Sandro Marraffa che si prende tutta la colpa di quello che è successo e scrive: "Tutto ciò che ci fa sentire vivi è logorante". Cioran avrebbe apprezzato questa frase. Quindi se vivi sul serio sei sottoposto a un logorio incessante?
Anche il sasso e il tappo di sughero vivono "sul serio", anche la muta abbandonata del serpente e le incrostazioni in un vecchio wc vivono sul serio. Credo che una quercia viva molto più seriamente di me, e sono convinto che la più umbratile delle creature non abbia niente da invidiarmi. Anzi, chissà l’occhiolino di Manolo quante cose sa più del mio occhio, e chissà cosa vuole dirmi il cenno di questo ramo d’ulivo che mi sovrasta, in giardino, mentre scrivo. Il piacere è dolore, sempre, e se non provassi dolore per questo ramo non ne scriverei. A chi scrive, o canta, o recita, o dice messa, capita ogni giorno di confrontarsi con il trauma del significato della vita, ma per la maggior parte delle persone sentirsi vivi significa solo tenere lontana la morte e illudersi di esercitare un controllo su di lei.
- Tornando alle lacrime, come ha costruito un personaggio così perfetto ed esagerato come Manolo? Come è riuscito a scrivere pagine squisitamente camp su questo "tamarro" col codino, che si rivelerà la persona più morale e "seria" di tutti i personaggi romanzeschi?
Dal libro credo si percepisca che è il personaggio che amo di più. Ma sa, a me piacciono le cose così. Se mi porti a cena da Cracco, e poi alla Scala, e poi alla Biennale, mi annoio. Se mi mandi una cuorata su Messanger posso mettermi a piangere. Per raccontare Manolo, ma in generale per scrivere questo libro, ho dovuto rinunciare alla mia un po’ ridicola tenuta da scrittore. Scrittore è un attributo troppo generico e impoverente per definire un ruolo che non è né una professione né tanto meno un ruolo – ma una necessaria coincidenza. È coinciso, ad esempio, che a un certo punto della mia noiosissima vita di ragazzo mi concentrassi su alcune immagini e su una storia che hanno assunto la forma del mio piccolo libro. Con Leopardi, ad esempio, è coinciso che un giovane che qualsiasi psicologo odierno non esiterebbe a definire depresso un bel giorno cambiasse per sempre l’intera cultura dei secoli successivi solo osservando una siepe. Leopardi è scrittore? Allora anche Einstein è scrittore, nella misura in cui ha scritto su una risma di fogli la sua teoria della relatività. Anche Zidane è scrittore, dal momento che per preparare le partite prende molti appunti. Io parto dal presupposto che lo scrittore, come genere, non esiste, così come non esiste il lettore se non eredita ciò che ha letto e se non eredita solo quando ha capito a fondo il testo. Molti leggono i libri senza concentrarsi con attenzione massima su tutte le frasi. Eppure di un libro basta saltare una sola frase per non averne letto nemmeno una riga. Immagini se della Commedia saltassimo il “finalmente uscimmo a riveder le stelle”. La retorica del leggere a tutti i costi va smascherata, non se ne può più. Quello che conta è la totale vocazione verso la letteratura, non leggere molto e male e di tutto un po’. Quello che conta è capire, pensare, non leggere. Perciò, per Manolo, più che per altri, ho fatto silenzio dentro di me, ho sputato sopra la mia bibliomania. Ho scritto rivolgendomi direttamente a un lettore che fosse come lui, e mi sono spiccato il cuore dal petto per fargli prendere a un certo punto il sopravvento del romanzo.
- Anche se Manolo cambia pelle nel corso della storia, il tono del suo romanzo alterna ironia e sentimento. La storia intrecciata tra Paride, Sonia e Manolo sembra una rivisitazione postmoderna delle sorelle Brontë. Ma, in realtà, quali sono stati i riferimenti letterari e cinematografici del suo romanzo, ammesso che ci siano?
Non ho ancora letto niente delle sorelle Brontë, che a questo punto mi andrò a leggere (lei è la seconda persona a farmi notare una somiglianza). Comunque i riferimenti letterari per questo libro sono stati davvero scarsi – parlo dei riferimenti consapevoli: ho studiato qualche “accelerazione” di Arbasino perché mi piace molto come riesce a sintetizzare le scene, soprattutto ne La bella di Lodi, ho avuto accanto La pioggia nel pineto di D’Annunzio, ma riferimenti veri e propri no… nemmeno riuscivo a leggere nei cinque mesi in cui ho scritto il romanzo! Per il cinema il discorso cambia, perché l’idea del romanzo è nata a casa di Bernardo Bertolucci, che ho avuto la fortuna di frequentare anni fa. Cosa farebbe Bernardo in questa scena? Cosa farebbe indossare a Sonia? E Manolo, qua, lo farebbe fumare o no? Che cosa voglio dire con questa scena, con questa parola, con questa interruzione di paragrafo?
- Mi sono informato sul nome Paride. Alcuni Paride sono stati ciclisti o letterati di una certa fama. In Italia ci sono 5756 persone che hanno questo nome, lo 0,0074%. Pochissimi. Nondimeno nelle presentazioni che ha fatto, virus permettendo, le hanno chiesto se era lei Paride Negri. Continuerà con le presentazioni e forse sta già scrivendo qualcosa?
Vede, io da un po’ di tempo detesto citare, tranne quando si tratta di Elsa Morante. In quel saggio inarrivabile sul romanzo, contenuto nel libro Contro la bomba atomica, a un certo punto dice che il romanzo, e quindi il tipo di avventura umana che un romanzo racconta, è innanzitutto il dispiegarsi della psicologia dell’autore. Morante, che fortunatamente non era filosofa, usa la parola “soggettivo” ed è spiazzante come, dovendo rinunciare alle sue parole, alle parole della fiaba, ogni tanto in questo capolavoro d’articolo scivoli in questi strafalcioni novecenteschi (come Cristina Campo che, tra un’immensità e l’altra, scivolava sulla parola “cervello”), ma riesca a mettere a fuoco lo stesso certi temi, meglio, ad esempio, di Pasolini. Tutto questo per dire che se scrivessi di un personaggio in modo documentaristico, senza cioè essermi caricato i suoi peccati sulla schiena, senza essere non tanto io ma ciò che io amo e desidero e temo, scriverei magari con molte fonti ma senza una fonte. Invece è solo la fonte che conta. E la fonte per L’inconveniente di essere amati non è altro che il risultato dell’Inconveniente di essere amati. Cosa è uscito dalla mia fonte? Cosa ho creduto di scorgere tra i riverberi dell’acqua? Ho visto una moto con la marmitta arrugginita, ho visto un cane dalmata, ho visto mia mamma che quando ero piccolo mi urlava di uscire dall’acqua del mare, ho visto il ponte Marche-Abruzzo. Cosa non ho visto? Non ho visto Parigi, né Roma, né Damasco, ma San Benedetto del Tronto. Anche se il libro è pieno di riferimenti contemporanei, credo di non aver visto il 2020, ma un presente invecchiato. Ci sono cose che ho visto e che vedo, parole che mi colpiscono come dardi infuocati, e altre che non ho mai preso in considerazione e di cui non me ne importa nulla. Per questo detesto chiunque si permetta di toccare il mio libro o di giudicarlo, perché per me scrivere questo libro non è stata un’operazione intellettuale, o un pensamento, ma è stato l’unico modo che ho avuto per volermi bene in un periodo particolarmente difficile. Quanto alle presentazioni, spero di farne altre, ma spero soprattutto che chi ha letto il libro mi scriva, sempre se gli è piaciuto. Altrimenti no, per carità, che poi ci sto male. Anche le recensioni ho smesso di leggerle, gli do una scorsa veloce ma non mi è mai venuto in mente di prendere sul serio quello che dicono.
- Dal momento che personalmente ritengo che il suo libro possa essere letto da tutti, dai 16 anni ai 120, la infastidisce se trova il suo romanzo, accade in alcune grandi librerie anonime, nella sezione letteratura Lgbt?
Ma no che non mi infastidisce. Le sezioni delle librerie non sono discriminatorie, sono solo indicatori pratici che servono al lettore per orientarsi meglio. Il libraio intelligente è quello che fa l’angolo Lgbt ma ci mette anche L’isola di Arturo e Il bacio della donna ragno.
- Col terrore di dire qualcosa del sublime finale, mi sono scordato di un personaggio chiave, Margherita, il Grillo Parlante. Una ragazzina molto intelligente che si fa scudo della sedia a rotelle per avere sempre ragione. È lei che parla della madre di Paride, che dice a lui che deve superare la morte della donna. Perché il nostro giovane uomo è così ossessionato dalla figura materna?
Come si fa a non essere ossessionati dalla figura materna? Ormai c’è la tendenza a considerare psicosi la profonda attenzione verso qualcuno o qualcosa. La psicologia contemporanea, e con lei la letteratura, vivono in uno stato di disattenzione costante nei confronti delle domande importanti, che ormai vengono tacciate tutte per “marzulliane”. E così riescono a coesistere, senza nessuna logica, tutta una serie di superstizioni: la retorica della libertà e del rispetto verso l’altro vuole giustamente coabitare con la sperimentazione scientifica, ma anche con la stuporosità religiosa verso la fisica quantistica e quindi con la new age... è il disastro, come dice il trailer di Suspiria. È tutto un disastro. Temi come la morte, l’educazione, la democrazia, la sessualità oggi galleggiano in un buio tale che non mi meraviglierei di sentire quella voce che chiede: sentinella, a che punto è la notte?
Per me, che pure sono il primo a far parte di questo calderone caotico, la figura materna è come una rosa, è la quéte dell’anima, è lasciarsi sollevare come figlio da mani complici, severe, protettrici. Margherita è il grillo parlante, è vero, anzi ne è il canto, che è poi la coscienza. È una coscienza sulla sedia a rotelle, un po’ insolente, un po’ magica, solo lei sarà in grado di tesaurizzare il finale del romanzo e di dare al libro un significato che altrimenti non avrebbe. Se questo non si capisce, allora non sono stato abbastanza bravo.
- Paride Negri pensa che se girasse un film, se scrivesse un libro, i suoi personaggi non farebbero altro che girarsi. Perché è l’unica cosa poetica in questa vita d’inferno girarci verso qualcuno?
È quello che vedevo mentre scrivevo il libro, sagome in controluce che si voltavano rivelando un volto in penombra. Ho cominciato a scrivere il libro poco dopo la morte di una persona a me molto cara, e una notte l’ho sognata che si girava sorridendomi, nella stessa luce che provo a raccontare nel libro, che volevo fosse la luce del mio libro. Girarsi per me non è simbolico di qualcosa, anzi direi che niente nel mio libro è simbolico di qualcosa. Girarsi è semplicemente l’unico gesto che reputo immortalabile nel raggio di quella luce.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista ad Alcide Pierantozzi, in libreria con L’inconveniente di essere amati
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