Uscito un mese fa e presentato al Salone del Libro, l’ultimo romanzo di Cristina Stanescu La linea della vita (SEM, 2022) è una piacevole scoperta. Come avete potuto leggere nella bella recensione di Ornella Donna racconta la storia di un amore, di una donna di una famiglia. Ma non solo.
Nella piacevole atmosfera del Salone del Libro, nell’accogliente spazio di SEM, ho avuto modo di parlare con l’autrice. Una chiacchierata per Sololibri, in cui Cristina Stanescu ci ha raccontato qualcosa di più che vi farà coinvolgere ancora di più in questa storia.
- Cristina, che piacere poter parlare del tuo testo. Devo dire che tra le proposte di SEM, tutte interessanti, mi ha colpito da subito grazie alla copertina: che in un sol colpo di dice luogo, tempo e soprattutto protagonista. Fin da subito si può intuire infatti che la collocazione storica è intorno agli anni Venti del Novecento, la protagonista è una donna e correggimi se sbaglio la location narrativa è la Transilvania, nelle vicinanze di Brașov.
Marzia, sei la prima (se escludiamo i famigliari e il mio editore) che ha da subito individuato i tre punti del triangolo narrativo. Ma come hai fatto?!
- Diciamo che “gioco in casa”. Quell’area della Romania è un po’ di casa per me per motivi di famiglia. E la curiosità di sapere delle “storia” narrata è stato una conseguenza necessaria a prendere in mano il tuo testo e leggerlo con avidità fino alla fine.
Mi fa piacere quanto mi dici. Pochi conoscono la storia della Romania, quella parte della storia che racconto.
Ti confesso che era una dei miei obiettivi: quello di riportare in questo romanzo non solo una storia di vita di un amore, di una famiglia. Volevo che si respirassero quelle atmosfere, la storia di una regione dell’Europa dimenticata. Una storia che negli anni si è accorciata fino a farla dimenticare dal periodo Nazista, a cui seguì il primo dominio sovietico, fino ad arrivare a Nicolae Ceaușescu. Una storia soffocata, quasi, in Occidente, che per anni ha visto nell’accrocco tra popolo rumeno e zigano un tutt’uno di cui diffidare.
- Spesso si dimentica che Bucarest era una delle tappe dell’Orient Express e perciò una città di rilievo nei Balcani. Esempio di quella Belle Époque respirata in tutta Europa.La si respira anche nel tuo racconto. Nelle tue righe si ritrovano le atmosfere anche di un altro testo (che consiglio di leggere): Lungo la via incantata di William Blacker.
Hai nuovamente fatto centro, Marzia. Ti dirò che non è un caso. Narrare gli anni dello splendore della Romania, con Re Fernando, creando un personaggio come il padre della protagonista Nina, è stato un pretesto e una volontà.
Un desiderio anche. In qualche modo di ritrovare e di andare in cerca di quel periodo storico che mi raccontava mia nonna, e che mio padre aveva forse voluto coscienziosamente dimenticare e di cui, narrandolo, mi sono resa conto di avere bisogno.
- Quindi il tuo romanzo è una sorta di romanzo storico di famiglia?
Non proprio. O meglio non del tutto. C’è una forte parte storica che sa di “romanzo storico”, fatta di ricerca, di ricostruzione di fatti realmente accaduti accanto a fatti ricreati ma totalmente credibili. La stessa storia di Nina nasce così.
Gli anni che ho voluto narrare sono quelli dell’apice, del fulgore di quella Romania, che forse gli stessi rumeni oggi non sanno sia mai esistita. O la credono storia di altri. Ma in quegli anni, tra il 1920 e prima della II Guerra Mondiale, la Romania era un centro vivo e vitale di cultura di bel vivere, di quello sfarzo tipico dell’epoca.
- Potremmo dire che il romanzo ha una componente “favolistica”. E volendo cercare un genere in cui identificarlo, è anche un romanzo romantico, basti pensare alla scintilla dell’incontro tra Titus e Nina.
Direi di sì. L’amore di Titus e Nina nasce un po’ come se fosse una favola. L’amore è così. Il loro innamorarsi in fin dei conti con un ballo è quanto di più favolistico ci possa essere. Ma anche di più veritiero di quegli anni. Un ballo in cui Nina per caso, ma poi lo è davvero, si trova a ballare con Titus, che poi diventa quella linearità di vita che la poterà a non rinnegare mai principi e sentimenti.
- Ecco qui un’altra linea identificativa della narrazione. La linearità delle decisioni. Che poi si trova anche nel titolo del tuo romanzo. Ma forse c’è anche altro. Quando ho letto il titolo mi è venuta subito in mente la linea della vita della nostra mano. Quella che se viene letta “per bene” ci racconta il nostro destino.
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Anche in questo ho voluto ripescare la mia rumenità. O meglio quella tradizione “zigana” che fa della mia terra d’origine una terra magica. Dove il destino è scritto, dove il destino è proprio in quella linea della mano. Quella che la zingara che legge che non è una trovata da turisti, ma una vera e propria credenza, che è verità.
A Nina viene prevista, pronosticata la sorte leggendo "la sua linea della vita". Tra credenza e magia e tradizione. E tutto si verificherà. Crudo, bello e doloroso.
Ma è proprio in questa nettezza, in questo destino scritto a portata di mano a cui Nina non si adatta. Non si abbatte, ma lo accetta lottando.
Nina in questo è una donna decisa e forte. Volitiva e testarda. Decisa e certa di quello che sente per coloro che sono la sua famiglia.
- Lo si vede subito del resto. Nella decisione di amare Titus, un amore che la travolge con una nuova vita. Ma anche dopo, quando cercherà il fratello e con i figli. Una donna moderna diremmo.
Io credo che le donne non siano moderne o meno. Quello che è certo e che le donne credono in quello che sentono. Nel loro cuore se vuoi. Non che siano semplicemente sentimentali, ma sembra che un filo leghi il loro cuore al loro pensiero e giudizio. E il loro sentire si realizza come giusta lettura e azione delle cose.
- Abbiamo visto come nasce il titolo, ma i protagonisti la storia come nascono? Hai fatto ricerche particolari per rendere così veritiere le loro storie? E non mi riferisco solo alla “storia storica”.
Potremmo dire che le due storie vanno di pari passo. Prima di tutto c’è una temporalità scandita a inizio di ogni capitolo, che parte dal 1920 e arriva fino al 1960/61. E una scansione di luoghi per lo svolgimento dei fatti, tra Bucarest, Moldavia, Oldavia e Brașov.
Per i personaggi, invece, la ricerca è qualcosa di più personale. Nasce tutto da una scatola, una scatola lasciatami da mia nonna. Me la consegnò come sua eredità in qualche modo. Da lì, da sempre, quando ero piccola riusciva a far venire fuori mille storie. Non inventate, erano storie vere: le storie della mia famiglia, del suo amore, di uomini e donne che in fin de conti sono la mia famiglia, la mia rumenità. In quella scatola, che ho riaperto durante il lockdown, ho visto e ritrovato le mie origini. Li c’è tutto. Foto, articoli del tempo, cimeli. Una vita, ma in realtà tante vite. Una storia che forse mio padre ha voluto nascondere, non dico dimenticare. Per facilitare la sua e la nostra vita in una terra nuova che ci accoglieva: l’Italia.
In quella scatola, aprendola respirandola leggendola, in ogni appunto riportato su retro di foto, scritto in lettere o a margine di articoli ormai ingialliti, ho trovato Nina, che è un po’ mia nonna. Il mio libro è un omaggio a lei e alla sua voglia di ricordare. E di farmi ricordare le mie origini.
L’idea di questo libro credo sia nata proprio li, sfogliando questi ricordi. Scriverlo ha sicuramente uno sanato strappo che non mi rendevo conto di avere, ma come dicevo il romanzo è anche un omaggio a mia nonna e a quella necessità di radici che tutti abbiamo. Radici che devono essere delineate e mai rinnegate per tracciare e ritracciare quella linea di vita che spesso svanisce, facendoci perdere nel nostro essere e vivere.
Grazie a Cristina Stanescu e buona lettura de La linea della vita!
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Cristina Stanescu, in libreria con “La linea della vita”
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